L’ombrello di Stato e l’invasione invisibile. Il calcio dello zar di Russia

Più della papera del portiere francese, della forza atletica di Mbappè, di quel delizioso tiro da fuori area di Pogba, del volto scarnificato e depresso dello sconfitto Moric, mi rimarranno in mente due altri frame della finale mondiale. L’invasione di campo, quasi impercettibile, e l’ombrello di Stato che tutela dal diluvio solo la pelata dello zar di Russia, il padrone di casa, a dispetto di ogni cerimoniale.

Il primo episodio, benché inquadrato nelle cose che non si fanno, lo giudico delizioso per due motivi. Il primo: l’intelligenza ha sempre la meglio sulla forza, e si vede. Disturbare anche solo simbolicamente la perfezione del regime poliziesco e repressivo che si vive in quel Paese è segno di una energia vitale non scomparsa, è dimostrazione di un talento non appannato. A conferma è venuta la sostanziale invisibilità dell’atto. Avete notato come immediatamente la regia abbia coperto con precedenti azioni da rete i tre magnifici incoscienti invasori moscoviti?

Nessuno ha visto e capito bene. Né il telecronista di Mediaset, forse distratto dal suo amore per il calcio, ha rilevato che il pallone è il più grande testimonial che il potere ha per procacciassi simpatie e amicizie. E infrangerlo assume anche una sua rilevanza, Non c’è pass partout migliore, chiedetelo a qualunque industriale, per fare affari che acquistare una squadra di calcio. Lo zar di Russia organizzando i campionati voleva proprio dimostrare, purtroppo riuscendovi, la sua supremazia nel panorama mondiale.

E infatti l’ombrello che a fine partita si è aperto solo sulla sua testa, lasciando gli altri capi di Stato (e uno di essi era una signora) sotto il diluvio, è testimonianza che la forza si misura anche con la maleducazione. È il segno dei tempi e poteva Putin non esserne l’interprete perfetto?

da: ilfattoquotidiano.it

Arcelor Mittal e quel bond acquistato dalla Lega

Luigi Di Maio, ministro per le Attività produttive, ha passato a Raffaele Cantone, il presidente dell’Anac, l’anticorruzione, il dossier sulla vendita dell’Ilva alla multinazionale indiana Arcelor Mittal. Che veda, controlli, indaghi, verifichi se l’acquisizione è corretta dopo che il governatore della Puglia Michele Emiliano ha denunciato zone d’ombra.

Molto impressionato è rimasto Carlo Calenda, predecessore di Di Maio, che di quella vendita è stato tutor.

Poco impressionato invece Matteo Salvini, l’unico che avrebbe da perdere qualcosa, avendo la Lega, ai tempi belli, investito 300mila euro in un bond corporate proprio di Arcelor Mittal.

Guarda tu come il mondo è strano!

da: ilfattoquotidiano.it

Il mistero delle bandiere blu

E’ un miracolo che si compie ogni anno, come il sangue di San Gennaro. E ogni anno dà soddisfazioni. Questo 2018 promette non bene ma benissimo per chi ama il mare perché le bandiere blu, il riconoscimento alle spiagge più belle e pulite d’Italia assegnate ai comuni virtuosi sono aumentate: erano 163 e ne sono diventate 175 per un totale di 368 spiagge.

Tra coloro che hanno conquistato la bandierina virtuosa c’è anche Sorrento, che è meta internazionale di turismo, località imprescindibile per chiunque voglia dell’Italia farne cartolina da asporto.

Il miracolo è dovuto al fatto che lo scorso 17 giugno il Corriere del Mezzogiorno segnalava le analisi batteriologiche effettuate dall’Arpac che lungo il tratto poi acclamato come blu rinvenivano “molteplici sforamenti nelle concentrazione di enterococchiintestinali ed escherichia coli, batteri che oltre un certo limite rivelano una contaminazione del mare da scarichi fecali tali da sconsigliare la balneazione”.

Analisi negative a Sorrento, ma anche a Meta e a Vico Equense.

Noi però vogliamo bene alla costiera sorrentina e ci mancherebbe! E’ bellissima.

E crediamo anche agli organizzatori di questo riconoscimento, che assicurano indagini rigorose, analisi approfondite, premiando i migliori.

E crediamo che dove la scienza non arriva c’è il mistero che soccorre. Miracolo!

da: ilfattoquotidiano.it

Un solo giorno da migrante per Matteo Salvini

Con gli occhi di un clochard. Così un titolo del Corriere della Sera sulla esperienza visiva di un uomo senza tetto e senza pane. Ha avuto in regalo dal fotografo del Papa una macchina fotografica per raccontare ciò che noi altri non vediamo.

Avremmo bisogno tutti di fare questa esperienza. Usare la fotografia per ritrarre la realtà in cui siamo immersi e che non vediamo più. Il pane che si butta, l’acqua che scorre inutilmente, il condomino scostumato, il conoscente litigioso, l’impiegato fannullone. Per quel che mi riguarda – se avessimo potuto – avrei voluto usare la macchina fotografia per ritrarre il volto dello studente super raccomandato, quel figlio di papà di Matera che ha ottenuto dall’università di Bari di poter dare in cinque giorni cinque esami fondamentali al corso di laurea in Giurisprudenza.  Trenta e poi trenta e poi due ventotto e un ventisette. E avrei voluto ritrarre il volto dei professori che si sono piegati per viltà a questo oltraggio e del rettore che è riuscito a dire che in teoria è possibile superare in un sol boccone e con successo queste prove. La laurea in tre settimane, week end esclusi!

Io vorrei fotografare i volti d’odio di quei parlamentari che usano i migranti per coprire le loro vergogne, per lanciare a noi affamati un bocconcino gustoso da addentare. Vorrei fotografare Giorgia Meloni mentre si fa il selfie, lei che da più di un decennio gode di una busta paga che supera i tredicimila euro al mese, per irridere Gad Lerner ritratto con la maglietta rossa e il rolex al polso.

Vorrei ritrarre gli invidiosi e gli accidiosi, coloro che non fanno, non sanno ma parlano, commentano, giudicano.

Vorrei ritrarre Matteo Salvini mentre, solo per finta, si imbarca per l’America in cerca di fortuna, come ha fatto suo nonno, o un suo pro zio, o il nonno del più caro suo amico.

Vorrei ritrarre la nostra memoria, fotografarla come se fosse un cofanetto di  pietre preziose in modo da leggere noi cosa abbiamo cosa abbiamo fatto per gli altri, cosa abbiamo detto degli altri. E poi, come un selfie tematico, cosa gli altri hanno detto e pensato e fatto per noi.

Avremmo così, tra le altre cose, l’esatta misura dell’ipocrisia, della viltà che ci prende quando invece di riflettere su ciò che dovremmo essere, vomitiamo parole rotolando nel fango, incolpando poi gli altri degli schizzi che ci lordano il volto.

da: ilfattoquotidiano.it

Il bisogno di eroi dalla pelle scura. Per riscattare l’onore che sentiamo perduto

Il dritto e il rovescio di una notizia che stupisce, rallegra e fa però pensare. Quattro atlete, tutte e quattro italiane di colore, hanno vinto l’oro della staffetta 4X400 ai Giochi del Mediterraneo.  Ragazze fortissime, che hanno issato sul podio la bandiera del Paese che le ha accolte e del quale sono divenute cittadine e protagoniste. È l’Italia aperta al mondo che sconfigge quella che oggi si vuol chiudere, s’è detto. È il Paese che offre opportunità e in cambio ne riceve l’onore più grande: vederle vincere, raccogliere nelle mani quell’oro che consacra la loro integrazione, un successo comune. E nei giorni scorsi abbiamo ascoltato le parole di orgoglio e di dignità di un altro nostro concittadino, Aboubakar Soumahoro, che ha rivendicato la morte di quel suo compagno colpito dal fuoco razzista di un italiano nelle campagne calabresi e ricordato a noi le migliaia di braccianti, italiani e no, clandestini e no, la loro fatica, la schiavitù praticata contro i poveri, gli ultimi. Abbiamo ascoltato le sue parole fiere, contenti che finalmente ci fosse uno, uno solo, capace di parlare il linguaggio della dignità, della semplicità e della verità e orgoglioso di farlo. Aboubakar è del Mali, come il suo “fratello” ucciso, riportato in patria dopo una colletta fortunata. Le atlete sono nate chi in Nigeria, chi in Sudan, chi a Cuba. Il rovescio della medaglia è che abbiamo bisogno di eroi in questo tempo così povero e triste, così pieno di parole violente e di paura e li cerchiamo altrove. Li cerchiamo con la pelle scura, lontani dalla nostra vita, perfetti nell’orgoglio e nell’onore che forse sentiamo di aver perduto.

da: ilfattoquotidiano.it