Craxi, aragosta e Ben Alì. Ritirata ad Hammamet

LA VITA IN TUNISIA NEL 1994 CON LA MOGLIE. LUI SPIEGÒ: “QUI CI SONO SERPENTI, SCIACALLI E QUALCHE VOLPE, MA I CONIGLI SONO IN ITALIA”
Era una strada sterrata che si inoltrava verso la campagna, meno di un chilometro, ornata ai lati da maestosi fichi d’India e piccoli cumuli di immondizia. C’era un carrozziere, un venditore annoiato di arance, un’officina meccanica zeppa di vecchie Peugeot da riparare. “Potrebbe essere a Parigi o ad Hammamet. Tu vai in Tunisia”mi disse il caporedattore di Repubblica, il giornale per cui lavoravo. Bettino Craxi era sparito qualche giorno prima che il Gip di Milano Italo Ghitti, accogliendo le richieste della Procura, gli imponesse il divieto di espatrio. Il passaporto perduto è l’unica connessione dolorosa che lega Silvio Berlusconi al suo primo tutore politico poi ripudiato per convenienza (e forse per necessità). Silvio ha scelto di rinchiudersi a nord, nel recinto imponente della villa di Arcore. Bettino volò invece verso sud dopo un intermezzo parigino. Differente lifestyle. Il grigio metallurgico meneghino contro il bianco splendente; la pioggia ricorrente della Brianza invece che il sole luccicante dell’Africa del nord. Sfarzosa la residenza del Caimano, essenziale quella del Cinghialone. É vero, con la C iniziano pure i nomi della loro seconda vita, quella da “perseguitati” dalla giustizia.
IL PRIMO è farina del sacco di Nanni Moretti. Il secondo lo dobbiamo a Vittorio Feltri, nel crescendo epico dei suoi titoli avversativi, delle parole che cadevano come grappoli di bombe a mano sulla testa di chiunque fosse solo sospettato. Feltri dirigeva il Giornale da cui oggi parte la contraerea verso i giudici. 16 maggio del 1994. Non è il più bel posto di Hammamet, è lontano dal mare e dalle fogne. Mi stupisco quando con il mio compagno di lavoro, Andrea Purgatori del Corriere della Sera, ci inoltriamo lungo la via ai piedi del monte che domina la città. Amava questo posto, gli era caro. Sarebbe stato vicino, aveva spiegato, “a sciacalli, serpenti e qualche volpe, ma lontano dai conigli”. “Quelli, invece, sono in Italia”. Abbiamo appena intercettato sulla spiaggia dello Sheraton la moglie Anna. “Abbiate fede, prima o poi si farà vivo”. L’ombrellone è il solito: primo della prima fila (ce lo avevano già indicato i camerieri). Con lei una piccola corte: un antico e premuroso amico di famiglia, sessant’anni portati in sgargianti camicie hawaiane e la bella ma sgarbata segretaria egiziana di Bettino.
ANCHE L’ORA è la solita: a mezzogiorno la Land Cruiser nera lascia la signora davanti l’albergo, un’ora, forse più, poi il gippone di casa riporta il gruppo in villa. Le mani intrecciate, i ricordi che iniziano ad affiorare: “La prima volta che venimmo, nel ’67, il paese era tutto dentro le mura del castello. Sul litorale c’era solo un alberghetto coloniale. Poi hanno cominciato a costruire disordinatamente, un po’ co me da noi. A luglio e agosto non si cammina, vengono persino quelli della Germania dell’est, tanto che sono strapieni anche i posti più economici”. Craxi è per Hammamet un caro, vecchio e fedele amico. E Ben Alì, il presidente dittatore, più di un fratello. L’Italia di Bettino ha donato alla Tunisia l’unica autostrada degna di questo nome e circa 1400 miliardi di lire in investimenti. Azioni e opere fruttuose. La Tunisia è nel cuore di Craxi al punto che per i suoi due figli, Stefania e Bobo, ha deciso di destinare una seconda dimora sulla via di Bir Bouregba, appena fuori la città. É fatto notorio: l’elettrauto ci spiega a che ora possiamo trovare i muratori, e l’indirizzo lo conosce bene anche il tassista, che però trema al solo pensiero di sostare davanti alla costruzione: “La polizia non vuole”. É una grande, bella villa: una struttura centrale a un solo piano, dietro la piscina. I lavori sono iniziati da tempo, adesso resta da terminare il solenne muro di cinta. Poi si baderà alle tinteggiature. Arriviamo, osserviamo senza indugiare troppo. “La polizia sorveglia”. Un poliziotto la sera prima in perfetto italiano mi aveva risposto al telefono di casa Craxi: “Se non la smette di stazionare qui avrà modo di capire che ha commesso una grande leggerezza. La picchiamo”. Picchiare, questo il verbo che aveva usato. Le passeggiate di Craxi in città si sono interrotte. Di mattino andava sempre al mercato del pesce, e al pomeriggio visitava il suk. Non lo ha più visto il cameriere del ristorante Achour, il locale chic. Da Achour c’ è sempre un tavolo riservato per lui. Una spigola o un’aragosta innaffiata da Cateau de Chartage, il suo menù fisso. “Siete andati a mangiare da Achour?” domanda la signora Anna. “Ricordo quando con Bettino andammo per la prima volta tanti anni fa. C’ era ancora il padre dell’attuale gestore, e il ristorante era appena una bottega con dei tavolini di legno. Adesso è diventata un’industria”. Gli occhi del gruppo sorvegliano le parole della signora.
LA SEGRETARIA s’insospettisce per una conversazione che non sembra ancora finita. Le parla all’orecchio, la mette in guardia. La signora, stizzita, sbotta: “Ho 50 anni e saprò bene io cosa fare”. La signora è da circa un anno cittadina tunisina e non mette piedi a Milano da mesi. Tornerà Bettino in Italia? “Qui sta bene, perchè tornare a Roma?”. Ci salutiamo. “Posso disturbarla ancora?”, chiedo. “Certo”. Il giorno dopo compongo il numero della villa: “Cerco la signora Craxi”. “Sono il marito, può dire a me”.
da: Il Fatto Quotidiano, 14 settembre 2013

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