Napolitano fa dire agli amici: tra sei mesi via. Il Colle tace, B. eleggerà anche il successore

L’impegno era per diciotto mesi, ne sono trascorsi dodici, ne restano solo altri sei. Tra sei mesi Giorgio Napolitano lascia il Quirinale. Saluta, semplicemente. E va via. L’insistenza con la quale Emanuele Macaluso, amico di una vita e compagno tra i più cari del presidente, va annunciando l’abdicazione di questo re senza regno, che più ha segnato la scena dell’ultimo decennio, merita maggiore attenzione di quella che finora ha ottenuto. Secondo Macaluso, ancora ieri sul Corriere, Napolitano ha posto un limite al suo secondo mandato: ha accettato la rielezione vincolandola a un periodo transitorio, un anno e mezzo prima di lasciare. Dopo la riforma elettorale infatti “lascerà”. Colpisce la nettezza dell’affermazione ma anche, se Macaluso permette, la leggerezza con la quale si avanza questa prospettiva che pare, dalle parole del suo autore, un fatto deciso, consolidato, ingiudicabile. E colpisce il fatto che il Quirinale non abbia ritenuto di smentire una fonte così amichevole e così ben accreditata.
OGNI COSA che nasce male ha molte possibilità di finire peggio. E il settennato ridotto a poco più di una annualità, invece che chiudere la pagina nera della più grave crisi della storia della Repubblica aperta con la rielezione, dopo il tradimento dei 101 del Pd, acuisce le caratteristiche opache dell’operazione. Napolitano ha detto sì quando non doveva, e forse nemmeno poteva, e dice no adesso, senza alcun motivo intellegibile. È l’età che lo indurrebbe a questa scelta? Un elemento così macrospcopico all’atto dell’accettazione diviene solo oggi limite e vincolo? E il Parlamento chi pensava che stesse rieleggendo? Malgrado ogni logica e misura ha ritenuto di sorvolare. E prima dell’anagrafe il presidente della Repubblica ha dovuto compiere una piroetta costituzionale, sovvertendo le sue stesse parole messe per iscritto allo scadere del settennato sull’impraticabilità tecnica della rielezione, sullo “strappo” costituzionale che avrebbe provocato un evento così inedito, formalmente non impedito ma mai realizzato nella storia costituzionale. Ecco, nessuno allora rammentò quale dimensione potesse avere quella lacerazione che oggi, seguendo le parole di Macaluso, ne produce un’altra anche più grave. Dice sempre Macaluso: “Si aprirà un problema enorme, che tutti sottovalutano”. È vero, il problema c’è ed è enorme. E questa enormità sembra sia affare sconosciuto, responsabilità indefinita. Di nuovo, e ancora una volta, il Parlamento sarebbe chiamato ad affrontare una crisi istituzionale senza pari, anticipata dall’agenda personale del capo dello Stato. E ancora una volta sarebbe questo Parlamento, in cui Silvio Berlusconi detiene la golden share,a dover esprimere il successore.
Perchè oggi si può affermare con sufficiente nettezza che il Partito democratico non ha mai cercato una alternativa al patto col Cavaliere, anzi e i fatti sono così concludenti da essere non indizi ma prove conclamate ha compiuto ogni mossa per rendere evanescente la prospettiva di mandare Berlusconi all’opposizione. Figurarsi tra sei mesi, con il governo Renzi che deve durare fino al 2018 e per farlo deve ringraziare la “profonda sintonia” con Forza Italia e il suo leader. Pregiudicato per i tribunali ma protagonista della nuova riforma costituzionale. L’asse Renzi-Berlusconi finora ha tenuto meravigliosamente e proprio sulla legge elettorale, il provvedimento che dovrebbe indurre Napolitano a decretare la sua uscita dal Palazzo, l’intesa ha funzionato così bene da essere stata salutata con soddisfazione.
BISOGNERÀ chiedere a Berlusconi quale altro nome sia di suo gradimento. Il costo politico di questa operazione è così alto che nessuno dovrebbe nemmeno pensare a paventarla. Invece tutto sembra deciso, concordato, e già felicemente messo in cantiere. Oggi va di moda la velocità, c’è in campo il turboRenzi e il Quirinale pare un palazzo svuotato dal potere interdittivo. L’inquilino allora prende cappello. Fa annunciare per tempo che se ne va. Come se fosse, appunto, una casa privata. Da dove si entra e si esce ogni volta che si vuole.
da: Il Fatto Quotidiano 18 marzo 2014

Share Button