Il colore dei soldi: sui costi della politica minacce tra PD

RENZI USA I VECCHI BILANCI PER FAR PAURA ALLA MINORANZA. MA TACE SULLE CENE
L’idea di Renzi per contrastare l’opposizione interna, e quindi annegarla nella vergogna, sarebbe quella di rendere pubbliche le spese della segreteria Bersani e di quella Epifani. L’idea di Matteo genera, come figlioletti in grembo, due altre verità. La prima: che i bilanci pubblicati sono effettivamente carta straccia, specchio per le allodole, ammesso che le allodole ci caschino. Sono cifre buone a imbonire. Perché le voci di cui si compendia il bilancio del Partito democratico (e di tutti gli altri partiti) tutelano la segretezza delle singole percentuali che i dirigenti attivano per le proprio competenze. Gli euro – si presume molti oltre il lecito – che sono andati a questo e a quello. Sul cattivo odore dei soldi domani Francesco Bonifazi, il tesoriere del nuovo corso renziano, potrebbe attardarsi un pochino di più, sottolineando nella relazione che sembra farà all’assemblea nazionale, le destinazioni d’uso per voci superiori a centomila euro. Non arriverà dunque al singolo destinatario ma lo accarezzerà crudelmente, farà trasparire quel di più che potrebbe uscir fuori, se solo si dovesse decidere di elencare il numero dei peccati e la quantità dei peccatori.
LA SECONDA VERITÀ è nell’aspetto spiccatamente “ritorsivo” che la questione assume nel confronto politico. Di ritorsione parla più distintamente degli altri Chiara Geloni, portavoce di Bersani, ex dipendente del Pd, infilzata da un dossier renziano, al tempo in cui la rottamazione era il sol dell’avvenire, nel quale si spargevano, ma in forma anonima, velenose rivelazioni. Tra le molte proprio quella sul capo della Geloni, incolpata di ricevere 6 mila euro mensili per la direzione della metafisica Youdem, web tv ora in stato vegetativo.
“Pubblichino quel che vogliono, come vogliono, dove vogliono. Io non ho nulla da temere”, dice Antonio Misiani, l’ex tesoriere che ha firmato i conti sia della stagione di Epifani che di quella Bersani. “C’era il finanziamento pubblico integro, molto superiore a ciò che oggi arriva in cassa, che investivamo nelle diverse campagne elettorali. C’erano poi retribuzioni che andavano a chi era impegnato nel partito e variavano da un minimo di mille a un massimo di 4 mila euro per le diverse competenze”. C’era anche dell’altro a dire la verità: un sito web che costò un occhio della testa, una serie allegrissima di consulenze, un fiotto di carta moneta verso destinazioni incerte.
MA IL FUOCO con cui Renzi ha deciso di rispondere all’ar mata contraria testimonia non solo del livore che lega i sentimenti degli uni e degli altri (“Riecco la premiata ditta Bindi-D’Alema di nuovo in azione”, diceva ieri Debora Serracchiani a commento della bocciatura di parte del testo di riforma costituzionale), ma anche dell’incendio che potrebbe presto scoppiare. Perché ai soldi si risponde con i soldi. E alle furbizie con le furbizie altrui. Se Bonifazi dovesse provare a spegnere le contestazioni interne elencando le spese stravaganti, i contestatori avranno di che controbattere. Potranno, come fanno sapere, illustrare che il miracolo di un Pd dimagrito ma in salute, senza che un solo dei 189 dipendenti abbia dovuto subìre il licenziamento, è dovuto solo a una emigrazione verso lidi istituzionali. Ai 55 già in forze ai gruppi parlamentari e alle strutture dell’esecutivo precedente, si sono aggiunti altri 40 (cifra non verificata ndr) lavoratori che il governo Renzi ha dirottato tra Palazzo Chigi e altri dicasteri. Una partita di giro molto tradizionale, a cui la politica ricorre quando può per trasferire gli oneri propri allo Stato. Finanche il ricco Berlusconi – divenuto premier – trasferì la sua fedele e privata scorta armata nei registri pubblici…
I soldi, sotto i quali il Pd di Roma è travolto e svergognato, sono ugualmente fastidiosi per Renzi perché le sue cene elettorali hanno avuto finanziatori dal nome ancora sconosciuto. La lista degli invitati è sotto chiave, ma la partecipazione, rivelata dall’in chiesta romana, a una di queste del gruppo Buzzi, famigerato dispensatore di suffragi e di offerte votive ai maggiorenti del partito, rende opaco tutto il cerchio dei commensali. Oltre a Buzzi chi, allora? E anche la Fondazione fiorentina di Renzi, sostenuta da una nutrita schiera di donatori, è sotto chiave. E, andando più indietro nel tempo, i soldi spesi da Renzi al tempo in cui era sindaco di Firenze per assumere a chiamata diretta una moltitudine di amici? E quelle altre spese promozionali durante la presidenza della Provincia per Florence Multimedia?
Migliaia, centinaia di migliaia, e poi milioni. Sarà a colpi di zaffate di euro la contesa che domani porterà il Pd all’ultimo round?
da: Il Fatto Quotidiano 13 dicembre 2014

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