Michela Marzano, l’onorevole incompresa: “È la legge del Parlamento, se non sei fedele sei invisibile”

Cosa ci fa una filosofa in un Parlamento senza pensieri? Scrocchia le dita, sbuffa, s’annoia. Michela Marzano è deputata in sovrannumero. È un’intelligenza in esubero, un corpo in più a cui hanno detto di stare buona e lasciare fare agli altri. “Mi hanno subito spiegato, appena ho varcato il portone, che in politica la competenza non è una qualità oggettiva, un dato certo, il risultato di una fatica. Buffo, no? Perché so che non esiste talento senza fatica, applicazione, studio”.
Lei sta per lasciare Montecitorio. Arrendersi, esporre bandiera bianca e dire: scusate, sono entrata nell’edificio sbagliato.
Io sarei fuggita già un anno fa, non ora. Appena ho capito che qua dentro sei invisibile, che ogni tipo di investitura risente dell’obbligo della fedeltà, di avere truppe nel contado, armi di scambio a disposizione. Sa come mi hanno catalogata al tempo della schedatura dei grandi elettori per il voto? Indipendente a rischio. Essendo indipendente, cioè pensando con la mia testa, ero obbligatoriamente un voto ballerino.
Lei fuggirà da questo Palazzo.
Però ogni volta che decido poi mi trattengo: l’etica applicata alla realtà, ciò che insegno peraltro all’università (la Descartes di Parigi), mi fa dire che esiste un dovere da adempiere, un lavoro da concludere.
L’etica applicata all’indecisione.
Durerà poco, mi conosco. Io qui non valgo più niente: azzerata la competenza, il ruolo. Si smarrisce persino l’identità personale. Chi sei e cosa ci fai. Ogni cosa che ti avvolge poi rischia di soffocarti.
La politica non ammette intrusi. Lei vuole essere liberata dalle catene.
Perciò ho scritto questo libro. Per spiegare cosa sia la politica, i cardini del potere, le regole che soggiacciono a questa catena di comando.
“Non seguire il mondo che va” è un titolo che non fa percepire la denuncia, lambisce lo scontro, anzi lo sotterra. Lei depista, cara professoressa…
È un lavoro più complesso: per metà rispondo alle domande della sua collega Giovanna Casadio. Per l’altra metà spiego eccome il fallimento, illustro le ragioni, elenco le speranze. Mi prendo anche le mie responsabilità.
Il suo nome finirà nella lista degli intellettuali rancorosi. I talenti inespressi che per ripicca vanno via, abbandonano il campo da gioco.
Non m’interessa e non so ancora se finirà proprio così.
Ma anche un pulcino sapeva che il potere prescrive una gerarchia e lei, la filosofa che Nouvel Observateur indicò come una dei cinquanta maitre à penser della Francia, era la ciliegina sulla torta, un fiore da esibire.
Sapevo anch’io, non mi faccia così ingenua. Anche se insegno a Parigi, scrivo su Repubblica e spesso mi sono trovata a commentare le cose italiane, indicare, censurare, prospettare cosa sia il bene comune. Quando Pier Luigi Bersani mi offrì la candidatura, lasciandomi ventiquattro ore per decidere, pensai che fosse un dovere applicarsi, accettare un ruolo che magari non senti tuo.
Siamo nel corridoio detto della Corea, il lato nascosto di Montecitorio.
Noto che questi abitanti li conosce meglio di me.
È un luogo di schiene abbastanza curve, ignoranze da catena di montaggio, gonne e cravatte dall’andatura veloce. Ma ci sono anche buoni cristi, gente che si ammazza di fatica.
Condivido. In maggioranza aspirano a un ruolo di comando o sottocomando. Una poltrona o un predellino, un pennacchio, una qualunque cosa che esibisca il potere, anche minuscolo. C’è anche gente che dà tutto quel che sa, e mette a disposizione ogni sua possibilità. Fatica per la gloria. È giusto dirlo.
Conosce Renzi?
No.
Non è riuscita mai a parlargli?
Ci siamo scambiati degli sms. Vediamoci… ma sì dai ci vedremo…
Conosce almeno il suo capogruppo Roberto Speranza?
Non bene.
Cosa pensa di Renzi?
Che forse manca di spessore culturale. Indubbiamente però ha un’abilità che nessun altro possiede. La sua è fama meritata.
E del capogruppo?
Mah. Non penso.
Si sforzi
Ho difficoltà a capire ciò in cui crede veramente.
Sono corpi che vagano.
Nel Transatlantico ha visto quanti?
Chi conosce meglio?
I grillini. Almeno quelli che siedono con me nella commissione Cultura. Si dice che siano volenterosi ma ingenui. Io non credo. Se sbagliano è perché mancano di umiltà. Non si preparano come si deve, non accettano la fatica come carburante necessario del talento. Quindi si rifugiano nel no apodittico. È breve e calda la via del no a prescindere. Ma non sanno perché dicono no.
Qui fa la parte della professoressa.
È una parte che mi viene bene, ah ah.
Lei non li sopporta.
Non li sopporto, non sopporto questo mondo, non sopporto le mediazioni, i traccheggiamenti. Mi sento immersa in una mediocrità, di avere lo status dell’irrilevanza.
Onorevole.
Per me onorevole significa avere l’onore di rappresentare i cittadini. Fu deputato mio nonno, è stata una grande emozione venire eletta.
Tutto scorre.
Mi conosco e penso che da qui debba uscirne viva. Devo tornare al mio lavoro.
da: Il Fatto Quotidiano 5 febbraio 2015

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