Su Twitter la ricerca disperata dei ragazzi inghiottiti a Parigi

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Lui e i lego montati a formare una spada. Avrà quarant’anni Robert Rouhier e un figlio. L’avrà fatta per lui quella spada. Ecco, è la foto messa su Twitter: lui con la spada. Tragica beffa, destino capovolto. Non ride ma piange chi adesso cerca Robert. È vivo? È morto? E il suo corpo è intero o straziato dalle bombe. Era anche lui nel recinto della mattanza del Bataclan? Di sicuro sono 129 quelli che non ci sono più, si sa che 352 sono i feriti di cui 99 in condizioni critiche. La questione ora è conoscere in quale fila il nome di Robert debba essere iscritto.

Un tweet al minuto, una foto ogni dieci, un appello con l’hashtag. Sono gli scomparsi, quelli che non hanno telefonato a casa, che ancora forse non sono stati registrati in ospedale. È una lavagna di dolore, di appelli disperati, di ultimi sospiri. “Marie e Mathias ci hanno lasciati. La ricerca è finita”. Je n’ai plus de mots, que des larmes. Solo lacrime ha chi piange i suoi amici, la coppia giovanissima finita sotto i colpi del fanatismo. D’altronde la traiettoria delle pallottole non ha preso di mira intellettuali, o poliziotti, o ebrei. La morte ha colpito soprattutto i giovani, lungo quella che è una passeggiata, da place de la Republique, la piazza di Parigi, anzi della Francia, a rue San Martin. Sparavano all’impazzata all’angolo di Rue de Faubourg du Temple con Rue de la Fontaine.

È lì che si trovava Cedric Santos? Non ha più di vent’anni, si è fatto un selfie con la maglia della sua squadra di calcio. Ha la barba curata, i capelli corti. Eleonore Cucca, belga venticinquenne invece è stata ritrovata. È salva. Grazie a facebook si è fatta viva. Cerca, cerca. Non si trova Sven Alejandro Silva, è portoghese, trent’anni, robusto, i capelli gonfi e ricci, il pizzetto, la maglia rossa.

L’avete visto? Gli internauti sono viandanti. Ascoltano e riferiscono. “So che c’è un morto di nazionalità portoghese”, scrive uno. Un altro corregge: “Ma quello aveva 63 anni”. Allora non è Alejandro. Siamo sempre alla ricerca di Juan Alberto Gonzales Garrido. È spagnolo, ha ventinove anni, risiede a Parigi. Era al Bataclan ieri sera. Chi l’ha visto? Twitter è misericordioso, accoglie tra le sue fila il nick dell’Angelo Gabriele: “Togliete l’avviso. Juan Alberto è morto”. Ora lacrime.

PIANGE MARIE: “Uno spagnolo che viene a morire a Parigi. Resterà sempre nel mio cuore”. Sono cinquanta circa coloro che non hanno voce, non danno conto. Staccato il telefono di Valeria Solesin, alla Sorbona per un dottorato di ricerca. Il suo ragazzo è salvo e ha dato notizie, suo fratello e la fidanzata anche. Non è tra i morti però, ed è un sollievo. Non sembra ancora tra i vivi, ed è disperazione. Ci sono altri cognomi italiani tra quelli coinvolti nella mattanza. C’è una Mazzoleni, per esempio.  Amelie Ameldou non riusciva a trovare la sua amica Laura Croix, la faccia da rockettara. “L’abbiamo ritrovata! È all’ospedale Pompidou”.

Il fatto è che le misure di sicurezza hanno imposto anche una cortina fumogena nelle corsie d’ospedale. I feriti sono identificati e ogni nome è indagato nella premura di evitare che i carnefici siano confusi con le vittime. E che si sa di Cecilie Martin? È bionda, capelli lunghi, un sorriso appena accennato, una vita davanti. Forse è all’ospedale. Invece di Fanny Minot? È una mamma giovanissima, ha un bimbo tra le braccia, avrà partorito da poco. Niente, come niente si sa di Sanjah, indiano quarantenne.

ROMAIN ha tredici anni invece. È un ragazzino, gli occhiali da miope, la faccia sveglia, un gran chiacchierone di sicuro. E di Thomas Dupperon? È una rete di cuori e di dolori. Se potessero avere lemani questi computer, quante carezze…

Urgente, cerchiamo Pierro Innocenti e Stephane Albertini. La foto è in bianco e nero, sono due maschi adulti. Avete info? È stata una strage popolare, una uccisione di massa della gioventù, un fuoco anarchico distribuito ai passanti tra bistrot e stadio, concerti e caffè, in piazza o in strada. Dentro al portone di casa o appena davanti, come è capitato al giornalista di Le Monde sceso in strada per dare ricovero ai feriti che giacevano sul marciapiedi. Mentre ne tirava uno dentro, una pallottola l’ha preso a un braccio. Non c’erano ambulanze disponibili, una sua amica gli ha indicato come fermare con la camicia l’emorragia e aspettare i soccorsi senza collassare. Armer Pumir Antivecic, ha origini slave, forse trent’anni o poco più. Sapete niente?

Da: Il Fatto Quotidiano, 15 novembre 2015

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