SILVIO, IL MIMO CHE IMBRIGLIÒ MATTEO

Sono mancate le corna, quelle dei bei tempi, alzate durante un vertice internazionale di qualche anno fa, per alleggerire la tensione, dietro al capo del ministro spagnolo Piquet. Per il resto Berlusconi ha prodotto il meglio del suo repertorio spostando di lato, senza neanche forzare il bacino, un disorientato Salvini che ieri per distinguersi s’era pure fatto venire in mente di indossare, nel confronto clou quirinalizio, la cravatta verde Padania.

Il Berlusconi bombastico, teatrale, un po’ mimo e un po’ ermeneuta, ha compiuto, in favore delle telecamere, la sua prova nella nuova veste di Signor No. Interdetto dal Parlamento perché condannato, non gli è stato impedito di salire lo scalone del Colle e lui subito se ne è approfittato. Fregando sul tempo al rallentato leader padano il posto d’onore nel salotto di Mattarella, primo a sinistra invece che secondo, in modo che anche lì fosse chiara la misura della responsabilità. Poi, al l’uscita, nel salone della Vetrata, rendendo le dichiarazioni salviniane un intermezzo triste delle sue virtù comiche.

Ha fatto prima il bravo presentatore, come già il grande Biagi aveva profetizzato (se solo avesse una “puntina di tette” Silvio farebbe anche la presentatrice) e poi il mimo. Ha irretito il nuovo leader avvertendo che avrebbe dovuto dire solo ciò che era contenuto nella dichiarazione pattuita, “abbiamo discusso su ogni parola”, senza farsi venire in mente sillabe non concordate, e poi gli ha rotto le scatole seguendo – da mimo – la lettura del testo. Uno, due, tre. Col capo ciondolante, oppure lo sguardo fisso, la mano nel doppiopetto Saraceni oppure nascosta dietro le spalle, teneva il ritmo. Cosicché il leader si è ritrovato gregario, e l’interdetto ha svolto il ruolo dell’interditore.

Spassosissimo, B. traduceva col corpo le frasi che Salvini, anch’egli esperto di teatro, era costretto a pronunciare con sofferto senso dello Stato. Il giovane Matteo si è trovato a illustrare gli accordi di Pratica di mare, rievocare la bellezza della Nato, la cattiveria di Assad (e quindi del suo alleato Putin), promettere fedeltà imperitura all’Occidente, all’Europa. Un altro po’ e sveniva. Mentre Salvini giaceva sotto i colpi del comunicato unitario, con la straziante presenza di Giorgia Meloni a rendere ancora più incredibile la sua prima prova da direttore d’orchestra, il Cavaliere godeva da matti nel sospingerlo verso la rappresentazione dell’assurdo: il centrodestra unito.

Salvini floscio nell’angusta condizione di padano self-control, Berlusconi scompisciato. Salvini apriva a Di Maio, Berlusconi chiudeva a Di Maio. Matteo ha anche aumentato il ritmo della scansione di quelle maledette parole pur di terminare al più presto la pièce. Sembrava di esserci riuscito quando il B. ancor più galvanizzato per la piega che aveva preso l’evento, ha introdotto, lui pregiudicato, il principio del bianco e del nero. Arraffando il microfono per la seconda volta, con Salvini già in fuga verso un capanno verde, ha chiesto ai giornalisti di spiegare bene chi fossero i Cinquestelle: gentaglia che non conosce l’abc della democrazia. Il senatore grillino Giarrusso – quasi in diretta -ha subito colto la dolcezza del confronto: “Conosciamo bene Berlusconi, pregiudicato e frequentatore di prostitute minorenni”.

Cosicché tutto si è concluso nel migliore dei modi. Di Maio è salito al Quirinale ringhiando dopo che Salvini ne era ridisceso ringhiando. Tutto grazie a B., tornato statista.

Da: Il Fatto Quotidiano, 13 aprile 2018

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