Nicola Amenduni 100 anni di lavoro. Dall’olio del padre al trono d’acciaio

PIETRANGELO BUTTAFUOCO E ANTONELLO CAPORALE inviati a Vicenza

Il suo pane, amore e fantasia è, va da sé, Olio, acciaio e fantasia. È il titolo del suo memoriale. Ed è l’unica concessione, neppure vanitosa, alla curiosità altrui. È la storia di Nicola Amenduni – l’ingegnere dell’acciaio – che in tutti i suoi 100 anni, festeggiati il 4 aprile scorso, nei limiti della cortesia ha rifiutato onorificenze, cavalierati, titoli, scegliendo sempre la regola del “fare senza dire”. Ed è come il moto quasi perpetuo della sua idea d’industria: “Ho robotizzato il magazzino della Valbruna, un gioiello alto trenta metri, che preleva i prodotti d’acciaio che produciamo, prepara, prepara i pacchi sulla base degli ordinativi, carica gli autotreni al ritmo di quattro ogni quarto d’ora”.

L’apparentemente immobile ulivo millenario forgia ellissi e cerchi di centrifughe dinamiche. Come il celebre Profilo continuo di Renato Bertelli, capolavoro futurista, che Amenduni tiene sulla scrivania, al quinto piano del palazzo uffici delle Acciaierie: “Il dinamismo antiretorico del capo, vigile e insonne, che tutto vede e sorveglia”, per dirla con Marco Moretti.

Arrivato da Bari, Amenduni è il negro per eccellenza di Vicenza se a ripercorrere le pagine del suo libro “i difficili inizi vicentini” torna alla memoria la straordinaria Italia dei miscugli, quella che negli anni del dopoguerra, meticcia il meglio del sud col meglio del nord.

Un imprenditore di macchine oleari qual è lui arriva alla Valbruna per litigare col capo stabilimento – questioni legate alle commesse – e però fa amicizia con Ernesto Gresele, il proprietario. Lo invita a Bari per una vacanza e lì Nicola ne conosce la figlia Maria, anzi Mariuccia – ma anche Mariù come la chiama solo lui – se ne innamora e le chiede il permesso di corteggiarla.

Sono sul Lungomare Araldo di Crollalanza: “Giravamo per Bari”, racconterà dopo Amenduni a Marino Smiderle, “ci salutavano con deferenza e la mia futura moglie pesava che io fossi un mafioso”.

Li sposa padre Pio, è il 1957, ma il Sud del Sud dei Santi approda nella città del Palladio anni dopo quando Nicola, titolare della fonderia Michele Amenduni&C – specializzata nella fabbricazione di macchine per le olive – assume anche la guida delle Acciaierie Valbruna alla morte del suocero.

Nicola Amenduni, ancora oggi, ogni giorno, non manca all’appuntamento col lavoro. Dirige e decide le strategia di un’industria che s’avvale della presenza dei suoi figli: Michele, Ernesto, Massimo, Maurizio e Antonella. Tutti all’opera, nell’inossidabile acciaio del patriarcato.

da: Il Fatto Quotidiano, 7 giugno 2018

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