Nel cerchio di fuoco delle lobby

Cosa succede se un movimento apre le braccia a ogni richiesta? Che rinuncia a indicare una direzione e accetta di essere sballottolato da ogni lobby. Mercoledì i noleggiatori hanno bloccato Roma e bruciato una bandiera dei Cinquestelle perché nella finanziaria un emendamento riduceva i margini di attività che i tassisti, loro acerrimi nemici, giudicano illegalmente concorrenziali. L’emendamento punitivo è stato aggiustato, dal ceffone si è passato alla carezza, e allora in piazza sono scesi i tassisti che sempre dai Cinquestelle si aspettavano maggiori tutele. E oggi Roma è bloccata dai bus turistici perché il comune di Roma ha deciso di bloccare il loro ingresso nel centro storico. Una decisione sacrosanta che però è contestata con l’arma di sempre: bloccare tutto, fin quando la forza della pressione non si farà così forte da allontanare da sé il rigore della legge.

Sono poche le lobby che possono permettersi queste attività di ostruzione e regolare, a propri fini, le norme che dovrebbero invece tutelare la collettività. Nel cerchio delle lobby chi è dentro è dentro, chi è fuori là rimane. Pensate a cosa è successo per le concessioni demaniali delle spiagge. I gestori pagano allo Stato meno di quanto paga un ambulante per un banchetto 5X3. Il giro d’affari è di due miliardi l’anno e le casse pubbliche incassano royalties per 103 milioni di euro. Praticamente nulla. Anche per questo l’Europa chiedeva di rimettere in gioco le concessioni, aprendole a una concorrenza salutare e virtuosa. Invece i Cinquestelle, ascoltando solo la campana dei possessori delle licenze, hanno da subito trasformato quella norma che apriva al mercato come una legge che affamava i cittadini. Nemmeno si è voluto affrontare il problema, magari mitigandolo e correggendolo (tutelando chi avesse appena  investito risorse per quell’attività). Semplicemente si è deciso, qualche giorno fa, di allungare di altri quindici anni le concessioni in scadenza, e prorogare così i detentori a cui quel pezzo di carta frutterà parecchio.

In questa proroga si vede chiaro chi ha vinto ma non si nota chi ha perso. Perché le imprese che non potranno concorrere allo sfruttamento di un bene pubblico non hanno un registro, un sindacato, non hanno voti da offrire e nemmeno la possibilità di bloccare Roma.

Una lobby è infatti per sempre.

da: ilfattoquotidiano.it

Il bitume armato e ad alta precisione

Il bitume armato ci salverà.

Le buche per strada, che notoriamente necessitano, per essere riparate, di tecnologia ad altissima precisione, saranno curate dal Genio militareL’amica geniale di Virginia Raggi è Elisabetta Trenta, ministra della Difesa di nomina grillina, a cui il governo si affida per agevolare la risoluzione dei problemi stradali della Capitale.

Siamo contenti che finalmente i militi del Genio potranno dimostrare sull’asfalto romano del talento di cui dispongono. Si terranno in allenamento quando scoccherà l’ora X e intanto faranno una buona azione.

Potendo estendere la logica bituminosa ad altre attività, si potrebbe pensare di affidare agli ospedali militari le cure per i malati in eccedenza, alle cucine delle caserme i poveri da sfamare o anche gli immigrati da tenere al caldo. La gran mole dei bus, che pure l’esercito ha in dotazione, potrebbe essere utilizzata per agevolare l’Atac, notoriamente in bolletta e senza pezzi di ricambio.

Per sindaco, e perché no, anche premier, il capo di Stato maggiore. Si risparmierebbero tempo e soldi. Una sola pistola al comando, e tutti in riga.

Da: ilfattoquotidiano.it

Da una mazzetta all’altra. E noi a sbadigliare

E’ il secondo governatore che finisce alla dimora obbligata. Prima la Basilicata con Marcello Pittella oggi la Calabria con Mario Oliverio. Il tema è lo stesso: le clientele alla radice del potere. Lo sperpero come mezzo per mantenerlo più a lungo. L’appalto visibilmente tarocco come sistema di programmazione automatica dei consensi futuri, cosicché nulla sarà lasciato al caso, tantomeno al buon governo. Tutto il male possibile deve venire, e caparbiamente i nostri politici ci riescono. La cosa che stupisce, o meglio fa rabbrividire, è che l’unico sentimento assente è lo stupore. Tutto quel che oggi si sa, già si supponeva, si pensava, o al limite si temeva. E tutto quel che verrà, come per esempio i nuovi leghisti che traghettano il loro passato oscuro sopra la ruspa del vincente di turno, è già messo in conto, calcolato, previsto e immaginato.

Se manca lo stupore è perché è svanita la rabbia, dell’indignazione non sappiamo che farcene, figurarsi dell’onestà, abbiamo visto gli ultimi epigoni come si comportano, della trasparenza non ne parliamo più, del talento men che mai.

Conosciamo il film, la sua trama, gli attori. Siamo, purtroppo, spettatori annoiati ma pazienti.

da: ilfattoquotidiano.it

L’immondizia brucia. Pecunia non olet

Pecunia non olet. Seguite lo sporco o la puzza e arriverete ai soldi. Bruciano i tritovagliatori della Campania, si incendiano anche alcuni in Lombardiaun fumo alto inquina l’aria di Roma da stamane: è il Tmb del Salario che scoppia. E allora ci sono soldi in agguato. Affari che si devono fare oppure affari che si devono impedire.

Quando siete a mare e notate una macchia gialla, oppure una spuma fetida che cinge a mezzaluna l’acqua dentro cui vorreste bagnarvi, dovrete sempre ricordare di ringraziare un depuratoreche non c’è o è guasto o non funziona come dovrebbe.

Se avete la sfortuna di essere migranti ospitati e vi servono a pranzo dei cibi avariati, proprio vomitevoli e infatti vi fanno vomitare, com’è accaduto in alcuni centri di accoglienza siciliana, o è così sporco che vi raggiungono le zecche sul corpo, ricordate sempre la ragione: i soldi da truffare.

Pecunia non olet. Dove c’è puzza ci sono milioni di euro che transitano da una tasca all’altra.

Il più grande e fruttuoso mercato illegale è quello della raccolta dell’immondizia, sia essa riunita in sacchi di plastica, diluita in acqua, dispersa tra le lenzuola o contenuta nei cibi da dare agli affamati.

Un popolo di santi, navigatori e troppo spesso truffatori. Alè!

da: ilfattoquotidiano.it

Il ministro Toninelli, il Terzo Valico e quei soldi buttati dalla finestra

Il governo sbaglia molto, qualche volta però ci azzecca e bisogna pur dirlo. Per esempio il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli, molto sbeffeggiato in rete per le sue gaffes (vere e/o presunte), ha voluto l’analisi tecnica dei costi/benefici su tutte le grandi opere. Un’idea di buon senso: se decido un investimentoimportante devo anche esser certo che l’opera sia davvero utile. L’idolatria verso le cosiddette grandi opere ha scambiato questa valutazione come un capriccio, come un no a prescindere. Ne è perfino nato un movimento, “Quelli del sì”, che ci spiega come siamo più moderni e al passo coi tempi se diciamo sempre sì, e magari a prescindere. Cosicché Toninelli, molto colpito dalla magistratura dei sì (gente con la testa sul collo, impegnata a produrre e non a distruggere), ha scelto anch’egli di stare al passo coi tempi. Qualche giorno fa la commissione tecnica ha comunicato che sono soldi buttati quelli che andranno alla costruzione del Terzo Valico. L’opera (53 chilometri di ferrovia – prevalentemente in tunnel – per merci tra Genova e Tortona) costa troppo (ad oggi 6,2 miliardi di euro) e produrrà quasi certamente uno danno economico (1,5 miliardi rispetto ai benefici che otterrà). Delle tre ipotesi prese in considerazione dalla commissione (la più favorevole, la più sfavorevole e quella mediana) due sono infatti negative. Al punto che i tecnici scrivono che, se proprio bisogna spendere tutti quei soldi, certamente i benefici economici al territorio sarebbero maggiori se si distribuissero brevi manu ai residenti: che so, diecimila euro a famiglia e arrivederci (dalla relazione: “Nell’ipotesi in cui il progetto non fosse realizzato e le risorse a esso destinate fossero direttamente spese dai consumatori per l’acquisto di beni o servizi, il beneficio conseguito sarebbe con certezza superiore alle risorse impiegate”). Dopo aver analizzato bene i costi, e valutato con scrupolo i benefici, Toninelli ha deciso che l’opera non conviene affatto, ma si farà. Urrà!

da: ilfattoquotidiano.it

Lega a piazza del Popolo: se la Digos diviene l’esercito padano

Le spie del pensiero politicamente corretto sono entrate nel nostro tempo e battono forte. Sui social network è all’opera sin dalla nascita una commissione moralizzatrice che fustiga, sulla base delle risultanze di qualche algoritmo, con sospensioni e censure prevalentemente inappellabili, il destinatario di segnalazioni, più propriamente spiate. Per via di insondabili processi matematici vengono spesso fustigate dichiarazionibanali, anche condivisibili, e lasciati liberi di scorrazzare nel web pensieri violenti contro le persone quando non calunniosi. Ma la spiata, o il giudizio sull’onorabilità altrui, si va facendo strada tanto che Cinquestelle hanno provveduto a creare uno spioncino virtuale per le segnalazioni sull’altrui condotta immorale o politicamente inopportuna sulla base della evidente valutazione che i militanti di quel movimento siano corpi estranei, perfetti sconosciuti, l’uno nemico dell’altro, riuniti alla rinfusa sotto una bandiera.

Ora la svolta anche nella polizia di Stato, che in teoria dovrebbe arrestare i criminali e non giudicare i pensieri altrui. Alla manifestazione leghista di domenica scorsa, come ha documentato Diego Bianchi a Propaganda Live, la Digos ha cacciato con la forza da piazza del Popolo un signore che reggeva il cartello “Ama il prossimo tuo”. La Digos, nell’occasione in tenuta da spia padana, ha ritenuto dichiaratamente offensivaproditoria e anti italiana, l’esibizione dell’insegnamento evangelico (infatti tutto nacque a Betlemme, in terra ostile e straniera): una provocazione bella e buona contro il noto ministro dell’Ordine, quello che bacia il crocifisso.

da: ilfattoquotidiano.it

Pisa: la scuola Normale e la lotta leghista contro il pericolo napoletano

Primarie Partito democratico, caro Marco Minniti non si corre solo quando si vince

Chi scrive questa rubrica non è un accanito fan di Matteo Renzi. E tra i meriti di Marco Minniti vi è quello di non essere un professionista del bla bla bla. Conserva ancora un certo pudore a parlare a vanvera e si vede che tenta in tutti i modi di dire dopo averci pensato. Fa dunque un effetto strano che egli abbia rinunciato a proseguire nella candidatura a segretario del Pd dopo aver scoperto che Renzi non l’avrebbe accompagnato nella corsa e che, anzi, gli avrebbe messo il bastone fra le ruote costruendosi un partito tutto suo. Perché Minniti era stato chiaro: la sua candidatura nasceva per dare un futuro al Pd, per salvarlo dai personalismi e dall’odio, per offrirgli la possibilità di tornare presto al governo esercitando un’opposizione dura e illustrando un’alternativa chiara.

Un partito esiste e resiste a dispetto delle persone che lo animano. Un partito vale più del destino del singolo, proprio come dieci giorni fa diceva Minniti. E se lo diceva dobbiamo immaginare che non fingesse. E se non fingeva perché poi, scoprendo che il suo potenziale supporter non era con lui e magari neanche più nel partito, ha cambiato idea? La revoca della disponibilità a candidarsi invece che offrire il senso di una misura, di un limite, ha il sapore amaro della fuga dalle responsabilità, della retromarcia davanti a un insuccesso possibile. Ma la politica è passione, abbiamo detto. E allora non si corre solo per vincere la gara. Si può persino accettare di perdere se si vuol bene alla ditta.

da: ilfattoquotidiano.it

L’amica geniale. Quando studiare era un sogno e poi un bisogno

Tra i meriti impareggiabili di chi ha scritto “L’amica geniale” e di chi ora l’ha riproposta alla platea infinitamente più vasta e popolare di RaiUno, è di aver illustrato come “studiare” ancor più che una scelta fosse un bisogno. E quel bisogno una necessità, una sorta di difesa civile. Lenù e Lila non sanno cos’è la borsa nera, cos’è la monarchia, il fascismo. E Lenù, napoletana di strada, vede il mare, il suo mare, nel giorno in cui mette piede al ginnasio. Studiare significa dunque difendersi dalle angherie, capire chi sei, dove vivi e la ragione della tua vita grama rispetto a quella ricca e sazia dei tuoi dirimpettai.

La povertà dell’Italia del primo dopoguerra, gli anni cinquanta e i primi sessanta, l’età della trama, segnano un abisso dai tempi nostri. L’alfabetizzazione di massa ha cambiato assetti sociali e stili di vita. Adesso però i laureati sono i nuovi poveri. Questo senso così attuale di inutilità dello studio, della fatica di conoscere (e del piacere di sapere, della forza che il sapere dà) ci sta facendo accettare l’idea che l’ignoranza, se di di massa, divenga ancor prima che una necessità (“tanto laurearsi non dà da mangiare”) una scelta e infine una virtù. La virtù dell’ignoranza che ci porta dritti verso l’età della contumelia, del malanimo, del pregiudizio.

da: ilfattoquotidiano.it

Il sosia nigeriano di Matteo Salvini

Il presidente della Nigeria Muhammadu Buhari ha diramato una nota ai suoi concittadini informandoli di essere vivo e soprattutto vegeto, in forze. La nota dovrebbe servire a eliminare il dubbio social che il presidente sia morto e che al suo posto sia stato messo nottetempo un sosia: “Sono proprio io, non il sosia”, ha spiegato piccato. Non sappiamo se la notizia abbia rinfrancato lo spirito dei nigeriani, quel che conosciamo con esattezza è che al tempo di internet ogni apparenza si fa realtà.

Qualche mattina fa, per esempio, girando per Roma, ci è parso di vedere un tizio, molto simile al ministro dell’Interno, su una ruspa nell’intento di buttare giù le case di alcuni notissimi abusivi della Capitale: i Casamonica. Non era sua la ruspa, non era suo il provvedimento di demolizione, non aveva proprio nulla di cui vantarsi. Quindi abbiamo pensato che fosse un sosia. Invece lui ci ha detto: “Sono proprio io, Matteo Salvini”. Allora abbiamo capito: la Nigeria è qui.

Da: ilfattoquotidiano.it