Plexiglas, discoteche: “Lobbisti somari e colpe della stampa”

ANSA/Andrea Fasani

 

 

Molti soldi già spesi, moltissimi altri da spendere. E dunque: piatto ricco mi ci ficco. La pandemia sta producendo una leva straordinaria di lobbisti che – arruolati in tutta fretta – mostrano però segni inequivoci di competenze ora confuse ora approssimate. La nostra conversazione con Pier Luigi Petrillo, docente di teoria e tecniche del Lobbying alla Luiss, prende in esame l’esito sfortunato di alcune azioni di dirottamento della spesa pubblica. Vengono anche rilevate però soluzioni vincenti di pressione.

“Mi faccia dire che la rappresentanza degli interessi diffusi non solo è legittima ma, se condotta con trasparenza, aiuta il decisore politico ad allocare nella giusta misura le risorse finanziarie”.

Professore, qui prendiamo in esame i lobbisti che zoppicano. La sua dev’essere una sintetica lezione di recupero.

Il più clamoroso tonfo mi sembra possa annoverarlo l’industria del plexiglas.

Fantastico quel cubo di plastica trasparente posizionato sulla spiaggia dove rinchiudere i bagnanti e farli arrostire.

Non è da meno il cubo scolastico. Plastica a scuola più che libri.

Idee fuori dalla realtà accreditate come plausibili.

Per accreditarle come tali c’era bisogno di una seconda figura di riferimento: il giornalista. Il disegno dell’architetto anonimo che immagina il plexiglas al posto dell’ombrellone viene ospitato, e dunque reso plausibile, dai mezzi di informazione. Le ragioni possono rinvenirsi prevalentemente in una connessione diretta tra lobbismo e giornalismo. Altre volte la battaglia politica o la linea editoriale sviluppa sull’idea eccentrica una campagna d’opinione. Più estrema e sconveniente appare, meglio è per chi la contrasta.

In quel caso si voleva vendere il plexiglas.

Il naufragio è stato causato da un lavoro lobbistico lacunoso che ha proposto soluzioni impraticabili a problemi veri, come il distanziamento in classe e nei luoghi di ritrovo.

Altri lobbisti zoppicanti: quelli delle discoteche.

Per arginare la chiusura disposta dal governo hanno tentato la carta – ragionevole – del danno che avrebbe patito l’occupazione. Poi però, hanno esagerato producendo una stima delle perdite (ho letto di quattro miliardi di euro!) così elevata da apparire poco plausibile. L’agenzia dell’entrate, riferendo le dichiarazioni dei redditi dei discotecari, molto al di sotto della più modesta delle previsioni, ha dato il colpo di grazia. La difesa degli interessi del mondo delle discoteche, che pure è comparto non marginale dell’industria del turismo, ha così perso ogni reputazione pubblica.

Cosa si sarebbe invece dovuto fare?

Confutare la tesi del governo secondo la quale dove si balla ci si infetta con valutazioni opposte, di valore scientifico, persuasive e rigorose. È il cosiddetto lavoro preparatorio, o di back office, che è mancato. Documentazione analitica, riferimenti fattuali o legislativi certi e indiscutibili.

Quelli dei monopattini hanno vinto alla grande però.

Quelli non hanno mosso un dito perché una forza di governo, i Cinquestelle, promuoveva la politica della mobilità alternativa (bici, monopattini, auto elettriche) senza alcun bisogno di spintarelle. Sono solo dovuti intervenire ex post in Parlamento perché la norma non venisse ghigliottinata dalla crescente opposizione a queste misure.

Esiste un esercito di lobbisti avventurosi.

Le situazioni straordinarie agevolano nuove, spesso improvvisate immissioni in ruolo.

Con i social fare lobby è più facile.

In questo caso è un’attività di grassroots lobbing. La capacità di mobilitare interessi e attenzioni di una platea larga rendendo generali questioni in verità particolari e pressanti bisogni invece modesti. Dunque urgenti e collettivi provvedimenti in realtà di nicchia.

I social sono una pacchia.

Con mille tweet al seguito di un hastag azzeccato la politica prende premura, a volte spaventa. Si interroga, si mobilita, spesso si piega.

Da: ilfattoquotidiano.it

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