Più poltrone per tutti

Poltronismo, poltronite. La malattia è presto definita: raccogliere sotto lo stesso corpo più incarichi possibili. La prima poltrona dà potere e visibilità. La seconda fiducia e tranquillità. Se casco lì, rimango in piedi qui. O viceversa.
La Prima Repubblica aveva molti difetti ma alcune virtù nascoste. Tra queste separare in modo indiscutibile la guida degli enti locali con l’impegno da parlamentare. Il divieto, contenuto in una legge del 1957 e limitato ai centri con più di ventimila abitanti e alle province, tutte, trovava fondamento nell’idea di offrire parità di condizioni ai candidati. Un deputato che fosse in corsa per fare il sindaco aveva più possibilità di captare voti. Dunque avrebbe violato la par condicio.
Per anni norma osservata, e disciplina dei sensi unici assoluta. Con Tangentopoli il mercato della politica si è però ristretto. Molti presentabili sono divenuti impresentabili. Molti politici in carriera si sono ritrovati in panchina. Molti altri colleghi addirittura oltre le tribune, fuori dal gioco, alcuni dietro le sbarre.Continue reading

Il vescovo-impresario denunciato all’Antitrust

E’ stato definito presule testardo ma operoso. Infatti. Al magazine “Den- Il mensile del denaro” il vescovo di Vallo della Lucania fece ai fedeli una promessa niente male che il titolista riassunse così in cima all’articolo: “Con l’aiuto di Dio vi rifaccio il Cilento”.
Mai promessa fu ipotecata da mille e mille impegni con i quali monsignore negli anni è andato sviluppando, di pari passo all’intensa catechesi, un’attività edilizia assai coinvolgente, con incursioni nel mondo della ristorazione e del teatro.
Favale è un costruttore di opere. E l’abbiamo detto. La prima (e la più nota) è un piastrellato che impreziosisce la facciata principale della Curia dove il medesimo Favale è raffigurato appena un passo dietro Gesù, ma in linea con l’incedere del Papa.
Nella cinta muraria del vescovado c’è anche un ottimo ristorante, Si chiama Il Sinodo. Ampie vetrate, piatti ricercati, un clima elegante ma sobrio. Chi desidera, paga. Nelle immediate vicinanze un gran bel teatro, La Provvidenza, che raccoglie in cartellone le più note compagnie, artisti di fama, personaggi dello star system. Biglietto salato ma spettacolo assicurato.
Il problema, ma è davvero un problemuccio, è che l’operosità del presule è appena finita sulla scrivania dei commissari dell’antitrust per “abuso di posizione dominante”.Continue reading

Vero e falso

Qualunque mestiere ha la sua scienza, i suoi segreti. C’è bisogno di conoscerli, studiarli, approfondirli. Qualunque lavoro ha un codice deontologico, una cornice di regole entro cui svolgerlo. Un elettricista sa bene come realizzare un circuito elettrico e se, per ipotesi, gli fosse chiesto di realizzarlo contro le regole, fuori dalle regole, fuori dalla scienza, dalla sua conoscenza e competenza, egli probabilmente rinuncerebbe. Dichiarebbe impossibile il compito. La lampada mai si accenderà, malgrado la nostra richiesta di vederla viva e accecante, se non sarà connessa a una rete, a un conduttore di energia.
Il giornalismo è l’unico mestiere in cui il codice deontologico, la cornice fondamentale di regole che lo ispira, può essere violato e anche piuttosto vistosamente.
Il giornalista conosce il modo in cui nasce la notizia. Sa cos’è la notizia; è erudito sulle verifiche che sono d’obbligo prima di comunicarla. Eppure il giornalista può, senza subire alcuna censura, realizzare anche le più ardite operazioni di camuffamento della realtà, di occultamento, di travisamento.
Può tacere di una notizia, anche nel caso sia consapevole della sua rilevanza. Può addirittura procedere alla falsificazione del vero o anche promuoverne il cammino opposto: rendere reale un fatto inventato.
Il giornalista sa che non incorrerà in alcuna censura, non subirà alcun patimento professionale. La sua cattiva coscienza testimonia anzi una fede, una relazione quando non una servitù. Il cattivo giornalismo sarà sempre molto ben retribuito e spesso anche onorato col massimo della lode.

L’inferno dentro e fuori dal bus

GIORGIO MOTTOLA

La strada sempre di fronte. E la gente, vista solo di sfuggita, come in una foto sfocata, oppure deformata nello specchietto retrovisore. Fare l’autista di quei pullman arancioni, che ti portano in giro per tutta la città, non è sicuramente il mestiere più avventuroso del mondo. Ma a Napoli anche il monotono percorso tra vie, che ormai i conducenti conoscono a memoria, diventa quasi un’impresa. Innanzitutto le strade: rimangono sempre le stesse, ma la loro fisionomia cambia minuto per minuto a seconda del numero di automobili, che sono in doppia o in terza fila. E poi i passeggeri. Nel tratto tra la stazione Garibaldi la 167 (dove si trovano le case popolari), ne salgono, a volte, di strafatti o carichi delle droghe da spacciare in tutte le province della Campania. Oppure le botte che ti prendi per il traffico bloccato: nell’ultimo mese, quattro conducenti sono stati picchiati mentre lavoravano. A raccontare queste storie di ordinaria follia cittadina è un autista dell’Anm, i suo nome è Emanuele.Continue reading

Scaramanzie

“Al nord la Lega, al sud la Camorra”. L’Italia sembra già separata e divisa in due metà perfettamente uguali. E il Mezzogiorno lasciato al suo destino, alla percezione che la propria vita debba essere regolata dalla barbarie criminale, dai regolamenti di conti: a pistolettate o anche, come è successo tra i giovani del Pd di Salerno, a cazzotti.
E’ significativo, e suona come illuminante (e sinistra) conferma, che a Battipaglia, città piegata dalle faide, capitale della piana del Sele, luogo per eccellenza del lavoro nero appaltato ai nuovi schaivi maghrebini, il nuovo sindaco abbia scelto di combattere la tradizione di anarchismo democratico con la scaramanzia.
Gianni Santomauro ritiene che l’ufficio del primo cittadino porti sfiga. Nella storia recente troppi sono stati i tranelli e i tradimenti che hanno mandato a tappeto i predecessori. Imponente la mole di episodi di malcostume. Un mondo politico corrotto nell’animo.
Così Santomauro per ripristinare la legalità, o almeno per tentare di rendere evidente che il livello del degrado raggiunto è ai massimi, ha deciso di rifiutare di occupare la stanza che tanta sfortuna ha portato ai suoi predecessori. “E’ vero, non lo nascondo affatto, la mia decisione è legata alla scaramanzia visto che quella stanza ha portato tanto male a tanti sindaci”.
Ecco dunque che l’antidoto al malcostume, in perfetta coerenza col genius loci, è un corno rosso.
Occhio e malocchio e incenso. Contro la camorra e la malapolitica l’idea è vincente: facciamo intervenire il mago Otelma.

(da Repubblica.it del 16 luglio 2009)

Dossier terremoto

Il papocchio abruzzese nasce dalla necessità di mostrare al Paese e al mondo qualcosa di unico, straordinario. Mai fatto e mai visto prima. Silvio Berlusconi si è fatto portare per mano da Guido Bertolaso alla ricerca del colpo magistrale, di una gestione dell’emergenza e della ricostruzione che non avesse pari, per celerità di scelte e offerta di soluzioni logistiche innovative.
Per raggiungere questo obiettivo si è scelto di consentire che il capo della Protezione civile ottenesse poteri oltre ogni ragionevole soglia, gestisse l’emergenza e la ricostruzione, con potestà di integrare alla bisogna la legislazione ordinaria e ogni altro potere discendente: dal caffè da bere al mattino nelle tendopoli (quanto e come) alle case da rifare, quante e come, alle aziende da sostenere, chi e perchè.
Avendo statuito il principio del nuovo e dell’incomparato, è iniziata l’avventura.Continue reading

Nei panni dell’avversario

Quando discuti con un avversario, prova a metterti nei suoi panni. Lo comprenderai meglio e forse finirai con l’accorgerti che ha un po’, o molto, di ragione. Ho seguito per qualche tempo questo consiglio dei saggi. Ma i panni dei miei avversari erano così sudici che ho concluso: è meglio essere ingiusto qualche volta che provare di nuovo questo schifo che fa svenire.

La Città Futura, 1917

Il saccheggio dei palloncini

GIORGIO MOTTOLA

A Napoli, ormai, solo nel quartiere di Forcella si possono ancora trovare le sigarette di contrabbando. Sono esposte per strada, in via Giudecca Vecchia, su tavolini di legno, a cui siedono anziane con il nasone e i capelli crespi da zingara. Di fronte a loro, cumuli di immondizia fetida, sovrastati dalla merce invenduta o “invendibile” dei fruttivendoli e dei pescivendoli ambulanti. A fianco ai cassonetti, hanno, da vent’anni, le loro bancarelle attrezzate su cassette di plastica: ogni giorno, le montano al mattino per poi smontarle la sera. Lasciando il posto, quando cala il buio, agli immigrati di tutto il mondo. Davanti ai phone center e agli alimentari, aperti fino a notte fonda, e gestiti da gente con diverso accento ma ugualmente straniero, trascorrono la loro silenziosa e malinconica movida, appollaiati su scatole di cartone. Lontani anni luce dalle schiumose birre doppio malto della studentesca piazza del Kesté o dai mojto che a San Pasquale fanno scorrere più fluide le serate della borghesia napoletana.
Ora, provate a immaginare che in un posto come Forcella, in una domenica di fine giugno, compaia all’improvviso un cavallo bianco. Bardato e con il pennacchio, legato a una carrozza scoperta, con le imbottiture bianche e soffici. Sarebbe un perfetto quadro surrealista. Un provocatorio paradosso degno di un film di Bunuel o forse di Ciprì e Maresco.Continue reading

Il giorno dell’America

(…) Così, è vero — secondo Rudyard Kipling — le scimmie Bandar Log della giungla cantano ogni minuto di ogni ora, di ogni settimana, di ogni mese, di ogni anno. Cantano e non fanno, parlano e il verbo non diventa mai carne (le scimmie sono erbivore e gli alti prezzi non stimolano in loro le iniziative individuali). La democrazia italiana non è invece tribù di scimmie: alle parole fa seguire i fatti, educa le velleità e le fa diventare volontà consapevoli dei mezzi e dei fini. Il giorno dell’America ne ha dato una prova. Il giorno dell’America è stato un momento di vita democratica: il «popolo» italiano vagamente sentiva il bisogno di entrare in comunione spirituale col «popolo» degli Stati Uniti. Abbandonato a se stesso questo bisogno vago e indistinto si sarebbe esaurito tutto in vane esteriorità, in manifestazioni di spolvero: cortei, fiaccolate, grida di abbasso ed evviva; non si sarebbe la commemorazione in nulla distinta da una sagra cattolica. Ma il «popolo» italiano ha la rara fortuna di possedere nel suo seno la democrazia, cioè l’organizzazione politica che trasforma il pensiero in volontà, in consapevolezza le indistinte tendenze dell’«anima» popolare. (…) Non fu davvero una giornata perduta. Il popolo italiano apprese a conoscere meglio un altro popolo: furono suscitate simpatie solide, condizione necessaria per la pacifica convivenza internazionale, garanzia preziosa che se domani un gruppetto di scalmanati (tutto è possibile!) predicasse la necessità della guerra agli Stati Uniti, spontaneamente il popolo rigetti le invenzioni interessate e abbia gli elementi per giudicare le manovre interessate. La democrazia ha svolto opera nobilissima, altamente encomiabile. Ha svolto? Ohibò, ha svolto o svolgerà; il futuro è uguale al presente: se non lo ha fatto quest’anno lo farà l’anno venturo o in un altr’anno. Si farà, si farà… noi siamo i più saggi, i più geniali, i più chiaroveggenti uomini della terra, vedrete cosa saremo capaci di fare… domani, perché la vita nuova incomincerà domani, come per i Bandar Log della giungla di Rudyard Kipling.

Sotto la Mole, Avanti!, 8 luglio 1918

Commercio e crisi

MARCO MORELLO

Per scovarlo, a Roma, bisogna lasciarsi alle spalle il Senato, camminando lungo corso del Rinascimento verso il curvone che svela piazza delle Cinque Lune. Dall’esterno, accanto al civico 72, il negozio ha l’apparenza di una comune enoteca, con la vetrina a specchio, le bottiglie disposte in fila indiana, persino una botte in legno e tre grappoli d’uva stilizzati, a conforto della tesi di un passante distratto. Bisogna varcare la soglia perché «Ai monasteri» sveli tutto il suo potere evocativo, la forza di un passato impacchettato in confezioni e vasetti eleganti, dal sapore marcatamente retrò e il marchio di fabbrica dell’esclusività.
Qui si vendono, e il proprietario assicura sia un caso unico al mondo, i prodotti realizzati dalla maggior parte degli ordini monastici: liquori e miele, cosmetici e dolciumi. Tutti preparati ubbidendo a ricette antichissime, tramandate di generazione in generazione nel segreto buio e inviolabile delle celle. Il presente, però, rischia di coniugarsi al passato: a fine anno le saracinesche potrebbero abbassarsi per sempre. Colpa della crisi, dei conti che non tornano più, di una domanda che langue anche quando l’offerta non ha rivali ma solo goffi imitatori, pure quando le principali guide turistiche dedicano uno spazio o una citazione al negozio da non perdere, all’attrazione del tempo in formato souvenir.
«Sto facendo un grande atto d’umiltà a lanciare questo grido d’allarme, vorrei evitare di chiudere, di imboccare quella che al momento mi pare una direzione obbligata», chiarisce Umberto Nardi, un uomo d’altri tempi per stile ed eleganza, che quando pronuncia la parola fallimento abbassa gli occhi, quasi arrossisce. Che di mestiere non fa il venditore, ma il professore di Botanica Farmaceutica alla Cattolica. «Ai monasteri» per lui non è soltanto un hobby, ma anche una lucente eredità di famiglia, il ricordo tangibile di una storia centenaria. Fu il bisnonno Domenico ad aprire i battenti nel 1894, sempre nello stesso angolo sonnacchioso al centro di Roma: era un medico che partecipò a numerose spedizioni in Africa Orientale, finché non divenne una sorta di messo dei monaci, un inviato sul campo a caccia di erbe rare.Continue reading