Come un romanzo

comeunromanzoFRANCESCA SAVINO

“Come se”. Come tutti i racconti, il giornalismo si nutre di “come se”. Serve a riempire i vuoti o, a seconda delle occasioni, a alleggerire i pieni. A volte per avvicinare un’immagine, altre volte per stemperarla. O per capovolgerla senza senso, nello spazio di sette battute. Il punto non è l’omosessualità. Non è la sessualità in genere, né i dati sensibili. Il punto è che i “come se” sono bestie strane, e uno dei motivi è nascosto nella storia di un giovane stewart morto ma non ancora sepolto sulle pagine dei nostri quotidiani. I fatti sono semplici: una sciagura aerea a Barajas, Madrid. Centocinquantatre morti. Fra loro, anche un italiano. Si chiamava Domenico Riso, aveva 41 anni e al suo fianco in aereo c’era la sua famiglia: Pierrick Charilas e il figlioletto di quest’ultimo, Ethan. Lo abbiamo letto solo fra le righe dei giornali, che al massimo si sono spinti a usare nella loro storia le parole coninquilino, amico più caro, “famiglia” ma solo fra virgolette. Lo abbiamo intuito guardando i telegiornali, e sentendo cugini intervistati che parlavano di “un bimbo amato come se fosse un figlio”, scorrendo articoli in cui si diceva che vivevano tutti a Parigi “come se fossero una famiglia fra le tante”. Trattati come se non lo fossero stati.

Olimpiadi e basta

olimpiadiFLAVIA PICCINNI

C’è chi aspetta da anni le Olimpiadi di Pechino. C’erano atleti, appassionati di sport, giornalisti e, poi, il mondo intero. Tutti ad attendere, con il fiato sospeso, la cerimonia iniziale. Splendida e disturbata dai commentatori Rai che hanno forse dimenticato, per più di una volta però, come debba essere lo sport centrale in una manifestazione del genere.
Adesso i giochi sono al loro sesto giorno, le medaglie italiane stupiscono meno delle non-medaglie e c’è sempre, ancora, una scusa per parlarsi addosso. Può essere il flop annunciato di Rosolino o quello di Montano, la svista della Pellegrini sui 400 stile libero, la determinazione della Vezzali che spiazza tutti dicendo “Fra quattro anni ci sarò ancora”. E poi ancora il caso Rocchi, la vittoria della Pellegrini sui 200, un giornalista malmenato dalla polizia durante una protesta pro-Tibet.
Sembra assurdo ma è così e ieri iun giornalista britannico che cercava di assistere a una protesta filo-tibetana nei pressi del principale stadio olimpico di Pechino è stato bloccato e trascinato a terra dalla polizia cinese che gli ha sequestrato tutto il suo equipaggiamento.
Sembra assurdo, sì, ma a Pechino succede anche questo.
E sembra, questa volta naturale, chiedersi dove sia finito lo sport, che rimane sempre velato anche nelle sue massime esposizioni, oscurato da proteste e da aggressioni che dovrebbero avere altri palchi e altri sipari.

Cronache marziane

cronachemarzianeFRANCESCA SAVINO

 

«Ogni cosa a suo tempo
ha il suo tempo»

Fernando Pessoa

 

Porte sempre aperte. Soprattutto durante le pause. L’ufficio postale di Galatone, grazie alla cortesia di una sua impiegata, ha accolto così per mesi un’anziana signora salentina. La solerte addetta allo sportello aveva proposto alla donna l’orario straordinario per evitarle, sussurrava, lo stress della coda. La fiaba si è interrotta solo quando la figlia della vecchietta, tornata a casa per le vacanze, ha scoperto che dall’ultima busta della pensione mancava qualcosa: circa 400 euro. Un “presente”, ha dichiarato l’impiegata, per la sua “cortesia”. La cinquantenne non si spiega perché gli agenti del commissariato di Nardò l’abbiano denunciata per peculato e falsità ideologica. Lei aveva anche fatto gli straordinari. In pausa pranzo, giovedì pomeriggio, erano anche gli impiegati in una filiale barese di banca Intesa. Un ventenne, entrato con l’aria svogliata, ha approfittato della sala deserta per annunciare loro che era in corso una rapina. Peccato solo che le casse, data l’ora, fossero chiuse. Il ragazzo non si è perso d’animo e ha confortato i bancari: sarebbe ripassato nel pomeriggio. Lo aspettano ancora: un rapinatore così cortese non lo avevano mai incontrato. Si attende la pausa estiva della politica italiana. Giusto per capire di quale cortesia saremo vittime.

Un quartiere senza ascensori

MARCO MORELLO

La nuova ferita di Pietralata si nasconde tra il ronzìo dei condizionatori e le auto di lusso, la schiera di bandiere rosse lise di via Peperino e le crepe sul muro di via Silvano. Segna i volti degli anziani rimasti a casa anche ieri, costretti a una spola, vana, tra la sedia, il letto e la finestra, in attesa di un segnale, uno qualsiasi, meglio se di accensione. Fa rispondere in coro un po’ a tutti che «’sta storia degli ascensori “ce fa’ rode”». E davvero non esiste commento migliore per sintetizzare lo stato d’animo di un quartiere in ostaggio del caldo e delle scale.
Il blocco degli elevatori deciso dall’Ater non ha fatto vittime, solo prigionieri: «Tre piani a 83 anni non sono uno scherzo, mia madre è disperata», quasi grida Alessia. «Abbiamo sempre pagato l’affitto in maniera puntuale – aggiunge – hanno appena aumentato l’acqua e la luce e non abbiamo protestato. Quanto sta succedendo è il colmo. Ci faremo sentire». In passato Pietralata la chiamavano il «monte del pecoraro» per la presenza delle dune dove la gente si andava a rifugiare durante la guerra. Chi ci vive da sessant’anni ha la pelle dura e pochi peli sulla lingua. «Se pensano di farci paura si sbagliano – tuona Sor Antonio – aspetteremo domani (oggi, ndr) poi vedrete».Continue reading