ALFABETO – PIERLUIGI CAPPELLO: “Il sisma è una livella. Per un po’ hai l’idea che si sia tutti uguali”

pierluigi cappelloNoi terremotati siamo così tanti che potremmo edificare una Patria e avere una bandiera, una lingua comune. Con Pierluigi Cappello, il poeta della gentilezza, lo scrittore friulano che più ha dato all’Italia con la sua penna e la sua lirica, abbiamo un terremoto in comune. Lui, quando il 6 maggio 1976 il Friuli tremò, aveva nove anni. Io diciannove il 23 novembre 1980, il giorno del boato che distrusse le aree interne di Campania e Basilicata.

Quel rombo mi ha trafitto il petto a Chiusaforte, nella gola di monti che danno la schiena all’Austria. Stavo leggendo Tex, erano le nove di sera. Attraversai correndo la porta di casa a piedi scalzi e la corsa si arrestò quando le mie narici si intasarono dell’odore acre della pietra macinata e la polvere causata dalle frane mi chiuse la vista.

Quel tuono ti accompagna tutta la vita.

Schivai del tutto inconsapevolmente le tegole che cadevano dal cielo e sembravano mi inseguissero. Il terremoto sceglie le sue prede e lascia che ci sia chi ne faccia poi cronaca e conto. È una faglia che scompone in due l’esistenza. Io rivivo nitidamente il prima e il dopo del sisma. Sono due vite, non una sola.

Io sobbalzo ancora a ogni tremolio, eppure sono 36 gli anni trascorsi.

La frustata non è solo geologica ma anche biologica. Ti entra dentro il vuoto della terra che si apre e tenta di inghiottirti. Quel senso di vuoto ti affligge e ti fa ricordare il dolore, il buio, le lacrime.

Tu eri più piccolo di me, ma i giorni che seguirono alla scossa sono stati i più densi, pieni di energia, di vita. Vedevo gente nuova, conoscevo dialetti mai ascoltati prima, e un mucchio di doni. Mi pareva tutto magnifico.

A me toccarono così tanti giocattoli che non riuscivo nemmeno a farli funzionare. Noi eravamo abituati a giocare con la fionda, bambini di una montagna povera e lontana. Anch’io ho poca memoria di lacrime. Però assistetti al pianto di mio padre che al mattino dopo la scossa si recò a far visita alla casa che aveva ristrutturato con le sue mani per tutta una vita. La trovò distrutta: prima urlò, poi pianse. Lui non sapeva che c’ero anch’io. Lo vidi piegato, con in mano una boccia di grappa. Si ubriacò per la disperazione.Continue reading

ALFABETO – Pierluigi Cappello: La malattia cambia la capacità di sentire. Non quella di amare

cappello-pierluigiLa malattia ti colloca in una unità di misura strana, fuori del cerchio della vita ufficiale, senza il carburante che gli altri utilizzano per arare l’esistenza. Diventi osservatore, e in questo senso la poesia mi aiuta a riconoscere i segni più minuti della beltà e dell’orrido, del possibile e dell’impossibile”.

Trovo Pierluigi Cappello in ospedale a Udine. Con la sofferenza ha una speciale confidenza avendo ottenuto in dote da ragazzo una eredità feroce: incidente in moto, mesi tra la vita e la morte e poi l’immobilità come condizione permanente, quotidiana. Cappello è poeta della dolcezza, estimatore della rugiada, illustratore dell’odore della fatica e delle magnifiche minuzie. Ma è anche un giovane adulto paraplegico.

“Io sento che l ’acqua scorre fino a un certo punto del mio torace, poi l’acqua scompare come il mio corpo che si mimetizza e si assenta da me”.

Mi ha detto che ha intenzione, un giorno o l’altro, di scrivere un libro sull’amore, sui suoi amori.

Sì, vorrei scrivere qualcosa sull’amore e persino sulla sessualità delle persone in difficoltà. Comprendo che c’è il rischio di essere frainteso, ma sento che il mio corpo così immobile, impermeabile, assente alla vita è un corpo da esplorare. Meglio: lo sento come un corpo di frontiera. Come quei luoghi lontani, inaccessibili, faticosi anche solo a raggiungerli con il pensiero. Nell’amore, nel sesso, mi vedo effettivamente come un esploratore che tenta, a suo modo, di spezzare le catene e incamminarsi per raggiungere la vetta.Continue reading

Alfabeto – Pierluigi Cappello. Il terremoto in Friuli non colpì solo gli edifici. Da allora il Nordest ha iniziato la sua metamorfosi

pierluigi cappelloCi sono guerre che mietono morti senza bisogno di fucili, necessità costruite sulla suggestione, soldi infiltrati nelle anime come bustine di eroina in vena. Tra i molti dopoguerra conosciuti quello che segue un grande terremoto è il meno indagato.

Siamo andati a bussare alla porta di Pierluigi Cappello per saperne di più. Lui costruisce, modella, seziona, riduce, allunga. È tra i più ingegnosi poeti italiani. È il pluripremiato artigiano della parola – tronca oppure distesa come lucertola al sole, scivolosa o anche cruda, gentile e persino generosa – e vive a Cassacco, lungo la strada che conduce il Friuli in Austria. Cappello è nato a Gemona (Udine) e ha conosciuto gli effetti del terribile terremoto del 1976.

Il terremoto è una grande guerra.

Da noi la lavatrice giunse nel 1975. Era una società contadina, arretrata, dove persino l’orografia dei volti, le dentature marce, mancanti, dischiuse, raccontavano una vita che si tramandava oralmente attraverso i dialetti. Quella scossa, quel botto non è stato solo un grande problema per le murature delle case, per il cemento armato che cedeva…Continue reading