Scaricabarile vizio italico. “Io che c’entro, l’avevo detto…”

Il sindaco di Genova aveva avvertito per tempo il compagno Burlando, presidente della Regione. E Burlando aveva avvertito i burocrati. Che si erano già allertati e avevano avvertito l’ufficio contratti: quell’appalto per il Bisagno sarebbe stato uccellato dai ricorsi. E anche il Tar Liguria aveva decretato e annunciato la catastrofe giuridica. Gabrielli, il capo della Protezione civile, intanto aveva avvertito tutti. Anche il presidente della Toscana aveva avvertito il consorzio di bonifica maremmano di fare presto i lavori dell’argine remoto. E il sindaco di Messina ha avvertito che ha una settantina di ruscelli dentro la città. Se piove in Sicilia… Sono tutti avvertiti che il Vesuvio può sbottare, c’è tanto di timbro dei geologi, e anche i Campi flegrei possono far danni. Avvertimento raccolto. Nel Cilento una strada sta crollando, sprofonda di due centimetri al giorno. La Provincia ha avvertito la Regione. In Lucania la Basentana ha le travi di ferro a vista. La Regione ha avvertito l’Anas.Continue reading

“Penso a tutto io” Matteo, il bulletto del twitterino

LUI PREVEDE, PROVVEDE, SPESSO TRACIMA. SPINGE LA BATTUTA OLTRE L’OSTACOLO, LA PROMESSA OLTRE LA REALTÀ
Li fregherò tutti, uno a uno, su questo non c’è dubbio”. Ogni promessa è debito, e Matteo, modestamente, non si tira indietro. È cambiato il mondo, l’Italia lo ama e lui lo sapeva già: “Dopo di me c’è solo il mago Otelma”, profetizzò all’inizio della traversata, quand’era ancora sul ciglio fiorentino.
Matteo prevede, a volte provvede, ma più spesso tracima. È una oscura forza che gli impone, nel cuore di un pensiero espresso a voce alta, di esorbitare e spingere la battuta da bullo oltre l’ostacolo o anche la promessa oltre la realtà. Per esempio: “Io sono per dire eliminiamo tutto il ceto politico delle provincie, facevo il presidente della provincia non mi sono ricandidato apposta perché ho detto che per me le provincie andavano abolite. Tacchino che chiede l’anticipo del Natale”. Così è stato. Infatti oggi le provincie sulla carta non ci sono più. È restato a galla solo il ceto politico. Non è meraviglioso?Continue reading

Salvini e la memoria corta dei lager di Gheddafi

Prima di terrorizzare gli italiani con la scabbia importata dai clandestini, ultima e degradante avvertenza dal sapore dichiaratamente razzista sottoscritta nientemeno che dal segretario leghista Matteo Salvini, alcuni noti politici europei come Iva Zanicchi avevano giustamente ricondotto il tema sul terreno del cabaret: “Con gli immigrati ci troveremo a far fronte anche all’Evola”. Era ebola, Iva. È vero, “Mare Nostrum” è un’operazione a perdere che non tutela la dignità degli uomini e non offre una soluzione alla tragedia umanitaria, una possibilità di vita decente a chi rischia di annegare pur di lasciare l’Africa. Ed è anche vero che l’Europa, qui Salvini ha ragione da vendere, non muove un dito. Come se fosse l’Italia a dover indennizzare il mondo per l’esplo sione della più antica e drammatica questione: la ciclopica emigrazione lungo la direttrice sud-nord pur di sfuggire alla morte.Continue reading

Silvio B., Cavaliere sempre e comunque

Un Cavaliere è per sempre. Re Silvio non deve piangere: Cav era e Cav resta. Si disse che la condanna, l’interdizione e tutto il seguito restrittivo della perfida legislazione penale lo avrebbero ricondotto all’età primitiva, all’origine primordiale della sua vita. Il suo nome preceduto da uno scontato e comunissimo dott. Un ex tutto, ex sen. ed ex cav. Una privazione assoluta, una crudeltà senza pari. Non è così. Per merito di Bernardo Iovene, cronista eccellente della squadra di Report, abbiamo scoperto che a Berlusconi è stato risparmiato l’oblio assoluto. Per una serie di straordinarie coincidenze (e di straordinarie disattenzioni) il ministro dello Sviluppo economico, la fervente ex berlusconiana Guidi, ancora non ha preso in mano lo scottante dossier lasciatole sulla scrivania da Zanonato, anch’egli impossibilitato per motivi di forma a dar corso alla legge. Adesso che la Guidi ha saputo da Iovene che dovrebbe provvedere al più presto a cassare il nome dell’amato dal corso della storia del Cavalierato italiano (al momento Silvio si è autosospeso) ha promesso che s’adopererà con ogni determinazione e non farà sconti a nessuno.

da: Il Fatto Quotidiano 12 giugno 2014

Parate parallele, Matteo il pedone e Silvio il pavone

IL 2 GIUGNO SECONDO I DUE PREMIER. RENZI LASCIA L’ALTARE DELLA PATRIA PER UN BAGNO DI FOLLA A FAVORE DI TELECAMERE. BERLUSCONI E IL SORRISONE ALLA CROCEROSSINA, SOSIA DELLA LARIO
La parata Renzi si è svolta il 2 giugno, il giorno giusto, senza mezzi meccanizzati e con ridotte attività di intelligence. Molto più impressionante il seguito di pistole e auricolari che Silvio Berlusconi subiva come cinta necessaria alla difesa del suo corpo sacro, come sempre capitava quando la Repubblica lo festeggiava. Perchè è certo che come ai tempi di re Silvio anche il nostro caro super leader abbia voluto trasferire a sé stesso i festeggiamenti organizzati per la nascita della Repubblica. Festa, e qui si scrive tra parentesi, molto sobria, costata soltanto un milione e ottocentomila grazie a un appalto chiavi in mano che l’Italia intera ha affidato a una Spa. Nel tutto compreso anche una nutrita pattuglia di metronotte che ha sorvegliato i Fori imperiale e difeso da attacchi di terra le forze armate. Al ministero della Difesa hanno infatti spiegato che la legge vieta inderogabilmente ai militari di tutelare la sicurezza nelle aree civili. O c’è la guerra o niente.

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Il cratere dell’indifferenza (e dei famigli)

L’ incolpata arriva davanti ai suoi giudici: cinquecento poltrone vuote. L’emiciclo sembra un cratere dell’indifferenza, la solita immortale scena del me ne fotto. È venerdì, e pure mattina presto. A quest’ora, sono le nove e mezza, di questo giorno della settimana (è 17 sul calendario!), “mai mai e poi mai” un deputato potrebbe essere nel luogo in cui è stato chiamato, nel centro esatto dei suoi interessi, dei suoi obblighi e, in linea teorica, anche delle sue passioni. Hanno fatto tutti la valigia la sera precedente: ragazzi di prima nomina e signori di antico pelo. Trentenni e settantenni, quelli col panciotto e le signorine sportive in jeans. Di destra, di sinistra e di centro. In alto e in basso. Senza grilli per la testa o anche grillini sputafuoco già accomodati all’uso in vigore nelle stanze dei bottoni: ricordarsi solo di passare alla cassa. Continue reading

Angelino, segretario senza quid e senza partito

È LO SCONFITTO DI GIORNATA. IN UN POMERIGGIO IL CAIMANO GLI PORTA VIA TUTTO QUELLO CHE PUÒ. ERA VICEMINISTRO PDL, ORA LE DUE SEDIE TRABALLANO
Tutto resta com’è e come è sempre stato da quelle parti. Silvio Berlusconi proprietario terriero e Angelino Alfano semplice mezzadro. Il quid, questo benedetto quid che avrebbe dovuto trasformare Angelino da boyscout del berlusconismo in un novello De Gaulle, è stato un felice fraintendimento giornalistico che ha dato però vita alla più crudele delle suggestioni. Per tre settimane Alfano ha pensato di essere capo della delegazione al governo, capo del partito e plenipotenziario dalle Alpi alla Sicilia. Due giorni fa, addirittura, in visita guidata al Partito popolare europeo si è fatto salutare dalla Merkel nel ruolo che ha creduto di ricoprire.Continue reading

Letta continua, fiducia farsa sulle macerie di Silvio

GIORNATA PARADOSSALE ALLE CAMERE. BERLUSCONI PIROETTA E ALLA FINE DICE SÌ AL GOVERNO. IL GRUPPO SI FRANTUMA. BONDI SI IMMOLA
Quando Silvio ha capitolato, cioè quando è divenuto transfuga da se stesso, si è parato con le mani le parti basse, come quei difensori in barriera. Le ha tenute strette per i 109 secondi del suo intervento. Poi si è adagiato sulla poltrona in trance da sforzo. Tre senatori hanno cercato di rianimarlo con l’applauso. Non avevano intuito la magia: Berlusconi si era auto deberlusconizzato. Si è scorticato, stritolato, e infine impoltigliato nel tritacarne della fiducia mischiandosi agli altri, derubricandosi da leader a gregario, da Capo a suddito, da Caimano ad agnello. Il suo corpo è riuscito ad entrare, seppur sfigurato, nel sacco dei supporters di Letta il quale ha esclamato, abbastanza stordito dal fenomeno sovrannaturale: “Che grande”.
IN QUEL PRECISO istante, quando la politica è divenuta faccenda psichiatrica, anche Scilipoti, nobilissimo nel suo urlo belluino, stava ancora ripassando le fasi salienti del suo intervento patriottico: “Bisogna bastonare i traditori!”. Berlusconi aveva però riconsiderato per la quarta volta nel giro di quaranta minuti la condizione evolutiva della sua specie. Da oppositori a migranti della libertà; poi da migranti a responsabili del bene comune. Quindi (e dunque!) da sfiduciatori a sostenitori del governo dei mandanti del proprio assassinio: il duo Napolitano-Letta. “Cogli l’attimo”, aveva detto il giovane Enrico ma riferendosi ad Angelino. È stato frainteso. E gli effetti si sono visti. Un capogiro ha steso al suolo Brunetta. Aveva appena annunciato alla stampa nel modo che sa far lui, cioè da vipera attempata, la fucilazione dei ribelli: “Allora vi comunico che il gruppo, all’una-ni-mi-tà ha deciso”. A sua insaputa, ed è purtroppo la quinta volta in cinque giorni, il Capo gli ha fatto lo sgambetto. Fuori Brunetta e ko anche per Verdini. Ieri B. l’ha combinata così grossa, da irripetibile, epico, fantastico voltagabbana di sé stesso, che neanche le lacrime del duro Verdini lo hanno fermato: “Silvio, ti assicuro che così moriamo”. Morte sia! B. è andato incontro alla morte scegliendo in qualche modo la sobrietà. Tutto era così tanto teatrale, così dentro alla commedia dell’arte, che la sua maestosa capriola è stata illustrata da periodi brevi, frasi monche. Qualche sospiro e poi il collassamento. E sì che i dettagli facevano intuire l’evento finale: la Brambilla era uscita di casa con una vistosa smagliatura alla calza della gamba destra. Mai successo in vent’anni. Un effetto ottico orribile che induceva alla compassione e anche all’attenzione di quel che stava capitando perché i segnali di una rivoluzione in corso erano numerosi e assolutamente clamorosi. Beatrice Lorenzin, la ministra della Salute, bianca come un cencio, lacrimosa, inerte, svuotata di ogni considerazione di sé. Ha pianto (lacrime però più contente) Nunzia De Girolamo: “Ti sembra facile fare quello che stiamo facendo?”. Non era facile né scontato: i ribelli erano numerosi e Quagliariello, contatore dei fuggitivi, comunicava a Massimo Mauro: “Ecco le firme, sono 26 se non sbaglio”. Ventisei traditori? Ma Verdini a prima mattina si era fermato a otto, poi aggiungendo i calabresi a 16. Poi ha capito che i numeri lievitavano come il pane degli angeli: “Quelli del sud ci stanno tradendo”. Il sud, maledetti siciliani e calabresi e anche campani. I soliti. Schifani non voleva crederci: la sua isola era divenuta una zattera alla deriva e il conterraneo Alfano si stava impossessando della Trinacria e di tutta la penisola giungendo all’affronto finale: non rispondeva più alle telefonate di Berlusconi, la sua luce, il leader.
ECCO, QUANDO una storia finisce come ieri è finita, l’inquadra tura della disfatta doveva giungere sul volto di Sandro Bondi, il mistico del berlusconismo. Ieri è andato incontro alla sua vaporizzazione nella più assoluta inconsapevolezza. Gli era stato detto di pronunciare il discorso della battaglia. E lui l’ha fatto: “Fallirete, ricordateveneeee”. Continue reading

Berlusconi, De Gregorio e il golpe contro Prodi

Siamo tutti così presi dalle vicende elettorali, e dai fuochi e dai fumi di Grillo e di Bersani, che abbiamo perso di vista la centralità di uno scandalo politico straordinario: l’acquisto, tramite comode tranche, del governo della Repubblica. L’acquirente, secondo l’accusa della procura di Napoli, è Silvio Berlusconi. Il percettore si chiama Sergio De Gregorio. Quest’ultimo ha confessato, e due giorni fa riconfermato, di aver ottenuto tre milioni di euro allo scopo. L’ha fatto per smentire l’affermazione di Berlusconi di essere stato indotto a millantare la corruzione pur di schivare il carcere. Lo stesso De Gregorio anticipò al Fatto Quotidiano il 16 dicembre scorso la sua intenzione di vuotare il sacco e avvertì, in quella intervista, anche Berlusconi: meglio che non ti candidi.
Chi ha assistito alla caduta del governo Prodi non cova dubbio alcuno: l’odore delle mazzette era nitido. Continue reading