Giornalismo liberissimo

Io non sono mai stato un giornalista professionista che vende la sua penna a chi gliela paga meglio e deve continuamente mentire, perché la menzogna entra nella qualifica professionale. Sono stato giornalista liberissimo, sempre di una sola opinione, e no ho mai dovuto nascondere le mie profonde convinzioni per fare piacere a dei padroni manutengoli.

Lettere dal carcere

Quasi un cencio inamidato

Che cosa mi ha salvato dal diventare completamente un cencio inamidato? L’istinto della ribellione che da bambino era contro i ricchi, perché non potevo andare a studiare, io che avevo preso 10 in tutte le materie nelle scuole elementari, mentre andavano il figlio del macellaio, del farmacista, del negoziante in tessuti.


“Quistioni” di razza

(…) la teoria della “flemma” britannica, della “furia” francese, della “fedeltà” germanica, della “grandezza” spagnola, dello “spirito di combinazione” italiano e infine del “fascino” slavo, tutte cose che sono utilissime per scrivere romanzi d’appendice o film popolari (…) Io stesso non ho nessuna razza, mio padre è di origine albanese recente (la famiglia scappò dall’Epiro dopo o durante le guerre del 1821 e si italianizzò rapidamente); mia nonna era una Gonzalez e discendeva da qualche famiglia italo-spagnola dell’Italia meridionale (come ne rimasero tante dopo la cessazione del dominio spagnolo); mia madre è sarda per il padre e per la madre e la Sardegna fu unita al Piemonte sardo solo nel 1847 dopo essere stata un feudo personale e un patrimonio dei principi piemontesi, che la ebbero in cambio della Sicilia, che era troppo lontana e meno difendibile. Tuttavia la mia cultura è italiana fondamentalmente e questo è il mio mondo: non mi sono mai accorto di essere dilaniato tra due mondi, sebbene ciò sia stato scritto nel “Giornale d’Italia” del marzo 1020, dove in un articolo di due colonne si spiegava la mia attività a politica a Torino, tra l’altro, con l’essere io sardo, non piemontese o siciliano ecc. L’essere io oriundo albanese non fu messo in gioco perché anche Crispi era albanese, educato in un collegio albanese e che parlava l’albanese. D’altronde in Italia queste quistioni non sono mai state poste e nessuno in Liguria si spaventa se un marinaio si porta al paese una moglie negra. Non vanno a toccarla col dito insalivato per vedere se il nero va via né credono che le lenzuola rimarranno tinte di nero.

Lettere dal carcere, 12 ottobre 1931

Catonismo

Catone trionfa. Il segaligno e bilioso romano che perseguitava con la ferula implacabile delle sue leggi il lusso eccessivo delle opulenti matrone, si è trasformato in rond-de-cuir, e armato di matita blu cancella, cancella per la salvezza delle istituzioni e della pace sociale.
Il catonismo si è dilatato, ha invaso tutte le attività sociali e ha trovato nello stato di guerra l’ambiente favorevole per il suo completo sviluppo, come i microbi lo trovano nelle culture dei gabinetti anatomici. Non è l’intolleranza gagliarda di chi non può sopportare lo sproposito, di chi non può sopportare che il blocco granitico delle sue idee sia incrinato dall’equivoco e dal dondolismo; è lo stato d’animo che trova perfetta rispondenza nella massima di La Rochefoucauld: «A che pro convincere quando si può far tacere?», stato d’animo di grettezza e di mancanza di spirito di libertà, che è in alcuni la continuazione di un’abitudine prebellica, ed in altri l’espansione di una velleità per lungo tempo covata nel più profondo dell’animo. A che pro convincere? Per convincere bisogna polemizzare, produrre, bisogna affermare verità che scalzino convinzioni, lavorare insomma. Ma se lo stesso risultato si può ottenere facendo tacere?

Sotto la Mole, 8 marzo 1916

Milionari

Il lavoro, l’attività salva i borghesi dalla perversione, ma un certo numero di individui della classe non lavora affatto, non saprebbe come riempire utilmente le ventiquattro ore della giornata. Di milionari che stiano dodici ore al giorno a tavolino come Benedetto Croce ci dev’essere solo Benedetto Croce; gli altri preferiscono le gare ippiche, le stazioni balneari, Montecarlo, i romanzi di Luciano Zuccoli e la cocaina. Li può salvare solo l’ottusità dei sensi e l’avarizia, cioè l’essere al di sotto dell’animalità umana media.

Cocaina, “Sotto la Mole”, 21 maggio 1918

Il regime dei pascià

L’Italia è il paese dove si è sempre verificato questo fenomeno curioso: gli uomini politici, arrivando al potere, hanno immediatamente rinnegato le idee e i programmi d’azione propugnati da semplici cittadini. […]
Perché questo fenomeno? È solo esso dovuto alla mancanza di carattere e di energia morale dei singoli?
Anche a ciò, indubbiamente. Ma esiste anche un perché politico: i ministri non sono mandati e sorretti al potere da partiti responsabili delle deviazioni individuali di fronte agli elettori, alla nazione. In Italia non esistono partiti di governo organizzati nazionalmente, e ciò significa che in Italia non esiste una borghesia nazionale che abbia interessi uguali e diffusi: esistono consorterie, cricche, clientele locali che esplicano un’attività conservatrice non dell’interesse generale borghese (che allora nascerebbero i partiti nazionali borghesi), ma di interessi particolari di clientele locali affaristiche.
I ministri, se vogliono governare, o meglio se vogliono rimanere per un certo tempo al potere, bisogna s’adattino a queste condizioni: essi non sono responsabili dinanzi a un partito che voglia difendere il suo prestigio e quindi li controlli e li obblighi a dimettersi se deviano; non hanno responsabilità di sorta, rispondono del loro operato a forze occulte, insindacabili, che tengono poco al prestigio e tengono invece molto ai privilegi parassitari.
Il regime italiano non è parlamentare, ma, come è stato ben definito, regime dei pascià, con molte ipocrisie e molti discorsi democratici.

 

Antonio Gramsci, Il regime dei pascià, Sotto la Mole, “L’Avanti” 28 luglio 1918

Strategia dell’ottimismo (o del bicchiere mezzo pieno)

goodnewsbadnewsSERENELLA MATTERA

“Tutto è bene, tutto va bene, tutto va per il meglio possibile”
Voltaire

Va tutto male. Le infrastrutture arrancano, i rifiuti avanzano, il caldo fiacca, il turismo boccheggia, il lavoro scarseggia, la bolletta costa. È la “stagnazione”. Noi fermi a un misero +0,1%, mentre gli altri avanzano.
A misurare la sensazione di vulnerabilità delle famiglie italiane, vien fuori un “-39”. Su 100 giovani intervistati, 64 dicono di aspettarsi di stare peggio in futuro dei loro genitori.
Gli spagnoli, già più ricchi, si prendono pure i rigori all’europeo. E il pessimismo dilaga.
Tutta colpa del presente. A furia di guardare il bicchiere mezzo vuoto, si sta forse perdendo ogni speranza di riempirlo. Perciò in Romania, dove se la passano malaccio, il Senato ha deciso di correre ai ripari: via alla strategia dell’ottimismo, al riscatto del “penso positivo”, alla par condicio della buona notizia. Per ogni fatto negativo, per ogni catastrofe, incidente, omicidio o indice in calo, i telegiornali dovranno scovare e comunicare ai cittadini un fatto positivo: il ragazzino che aiuta la vecchietta, l’ospedale che cura il tumore, la vita che si allunga.Continue reading