Vite “spericolate” nella Perugia universitaria

ROMINA ROSOLIA

Quando arrivo a Perugia sono le tre del pomeriggio. Dopo due ore e mezza siedo anch’io, come le decine di studenti universitari, sui gradini del Duomo in Piazza IV novembre, di fronte c’è Corso Vannucci, il fulcro della città. Un luogo di ritrovo per i ragazzi ma anche un posto che denuncia una delle consuetudini entrate ormai a far parte del loro modo di vivere: bere e fumare. Sono le diciassette e mezza appena e qui a Perugia non è certo l’ora del tè. Accanto, avanti e dietro di me quasi tutti fanno la stessa cosa, sorseggiano birra da bicchieri di plastica trasparenti o direttamente da bottiglie di vetro, portano con loro tabacco e arrotolano sigarette, altri spinelli, aspirano e soffiano fumo nell’aria. Dopo un po’ cercare di respirare ossigeno per chi gli sta intorno è davvero un’impresa.
La sensazione è che tra loro viga una regola comune: “la condivisione”. E infatti ho tra le mani il programma del Festival Internazionale del Giornalismo quando un tipo accanto a me, trascurando il fatto che lo stessi leggendo e le sue mani imbrattate di birra e canne, con invadenza mi chiede di dargli un’occhiata. Lo prende ma dopo pochi minuti, mentre lo osservo leggere, bere e fumare in simultanea mi faccio valere, lo guardo negli occhi e gli chiedo di ridarmelo.
Ha l’aspetto di un ragazzo che si prende la vita con comodo ma poco dopo gli arriva una telefonata e sento che comunica che ha appena consegnato la tesi, che è stressato, che teme possibili correzioni da parte del prof. E allora penso che è un peccato vivere così, cercando nel fumo e nell’alcool la distrazione, il riposo di cui sentiamo avere bisogno.

Accanto a me ho due amiche appena conosciute al Festival, condivido con loro questa riflessione ma ottengo silenzio, neanche c’avevano fatto caso. Sarà forse la mia visione provinciale della vita ma aspetto di vedere cosa accade nei giorni a venire. Stesso orario: 17,30, stesso luogo, gradini gremiti. Fumo nell’aria. È un’abitudine, un rituale, decine di mani sono impegnate a sorreggere birra. A un sorso segue un tiro, giù alcool e nicotina. E poi ci sono gli stranieri impalati nei vicoletti. Alcuni hanno lo sguardo temerario, altri sembrano impauriti, ma gli studenti sanno chi sono e cosa fanno. Vendono fumo e droga. È notorio. Nella discesa di Via Ulisse e lungo la sua parallela arabi, marocchini, pakistani, sono di casa. Tanti sono regolari studenti universitari, frequentano l’“Università per Stranieri”, poco prima di Corso Garibaldi, ma molti li vedi in qualsiasi ora del giorno e della notte in giro a vagare, senza libri tra le mani, senza zaini sulle spalle.
Perugia è una città bellissima, è quasi tutta a traffico limitato. Le zone Zps, che sono tantissime, la maggior parte, sono accessibili solo ai residenti. In alternativa scattano gli autovelox e in città te li ritrovi ad ogni angolo. Le telecamere sembrano superare il personale umano in divisa, soprattutto nei punti più isolati del centro storico: da Piazza IV Novembre fino all’Arco Etrusco, o da Corso Vannucci fino alla mensa universitaria, posti dove brulicano le attività commerciali italiane e straniere. Le studentesse che ci sfilano d’avanti non passano mai inosservate. È facile beccarsi complimenti fastidiosamente sussurrati, sguardi invadenti. Gran parte delle strade sembrano lunghissimi vicoli, relativamente stretti ma rigorosamente percorribili a piedi. E così in una settimana di permanenza a Perugia si percepisce l’assenza di vigili urbani, poliziotti e carabinieri, che al massimo fanno un giro in auto. Non li ho visti nei vicoletti apparentemente spopolati di Via Benedetta, dove l’Adisu, del Diritto alla Studio, ha da poco finito di restaurare la casa della studentessa. Qui risiedono oltre duecento tra ragazze e ragazzi, ben separati in due ale opposte dell’istituto. Anche le persone del posto, nate a Perugia, come Giulia, studentessa di Giurisprudenza, dice che di sera a piedi da queste parti non ci verrebbe mai perché troppo pericoloso.
Perugia città bellissima ma poco sicura e lo notano anche le volontarie straniere giunte dalla Scozia, dall’Ungheria per partecipare al Festival Internazionale del Giornalismo.
Sono loro ad accorgersi di un ambiente che ispira poca fiducia, fatto di attenzioni eccessive nei loro confronti, di sguardi insistenti di italiani e stranieri. Sono abituate a viaggiare, vedere e conoscere gente nuova ma “Perugia è strana”, è questa la definizione che si ripetono nello scambio di impressioni. E poi arriva il libro della Sarzanini, “Amanda e gli altri. Vite perdute intorno al delitto di Perugia”, con le citazioni degli atti giudiziari, con le pagine del diario segreto di Amanda, dei racconti dal blog di Raffaele Sollecito, delle feste e del divertimento nei viaggi studio Erasmus.
A parlarne è lei in persona nella Sala dei Notari, a pochi metri da quei gradini del Duomo, a poco metri dal Tribunale dove ogni venerdì e sabato si tengono le udienze del processo per l’omicidio di Meredith Kercher, a pochi metri dalla villetta di Via della Pergola. E tutto sembra tornare, nella vita spericolata, festosa agli eccessi di una certa parte della popolazione studentesca.

Share Button