Ha conosciuto la politica senza esserne mai sopraffatto e ha respirato l’aria del Potere senza venirne intossicato. Stefano Rodotà ha superato indenne questa prova da sforzo civile: entrare ed uscire dal Palazzo, conservando la medesima passione e riponendo fiducia nella sua condizione di perenne estraneità ai flussi magici del comando, alla trasmigrazione da poltrona a poltrona nella sua oramai lunga e densa vita nelle Istituzioni.
ORA CHE L’ITALIA conduce il grillismo al governo (o almeno nelle sue immediate vicinanze) e una intera classe parlamentare, in un modo caotico e per certi aspetti selvaggio, raggiunge Roma per possederla, dominarla e svuotarla dei vizi che la compongono e la fanno prosperare, spunta il profilo di questo professore di diritto civile per dare un volto possibile, plausibile magari è solo una suggestione – a questo nuovo mondo. Smilzo, dal tratto severo, ha frequentato l’elite divenendone membro, ha conosciuto il Parlamento finanche rappresentandolo, ha conosciuto i partiti, il potere, le cariche pubbliche. Senza perdersi mai però. Rodotà è uomo dalle virtù civili, in gloria ai tempi dei cosiddetti “in dipendenti” del Pci, classe sociale contigua ma non integrata nel comando di Botteghe oscure, e poi panchinaro della Repubblica durante il ventennio berlusconiano, quando invece una nuova antropologia politica ha preso il sopravvento e anche la sinistra si è adeguata promuovendo, nei passaggi che ne hanno scolorito identità e passione, figure nuove, a volte disastrose.Continue reading