Sogno infranto della rinascita affamata dai soldi

Quale gesto, quale fatto, quale disgrazia deve ancora accadere a Napoli? Il rogo della Città della Scienza è il rogo di una speranza. Degrada quella città a teatro selvaggio di ogni crimine e di ogni colpa e la apre alla paura che altro possa ancora accadere. Il nero infinito. Le fiamme hanno arso i musei, un falò maestoso sulla spiaggia è stata l’orribile visione. Quasi ventiquattr’ore è durata l’operazione di spegnimento: cosicchè tutti hanno potuto assistere alla rovina, ora per ora, capannone per capannone.
LA SPIAGGIA di Coroglio. Bagnoli, l’Italsider. Fu un sogno: ripulire il mare e l’aria, restituire al mondo intero l’anfiteatro naturale, la curva che si apre a Nisida, si distende verso Pozzuoli e chiude la vista dell’abitato ai pini marittimi, a un panorama magnifico, indimenticabile. Una cartolina. Togliere la puzza e il degrado, svuotare Bagnoli delle sue miserie. Era la palingenesi. L’idea di raccogliere sotto i capannoni la forza vitale della cultura avvinse e si dimostrò una proposta possibile, percorribile. Fu Vittorio Silvestrini, scienziato coraggioso e tenace, a rendere fattibile il sogno. Duecentomila bambini ogni anno visitavano il circuito didattico interattivo, le regole della fisica, il cielo, le stelle. Quel progetto, bisogna dirlo, si sviluppò anche grazie alla tenacia di Antonio Bassolino: da sindaco e poi da presidente della Regione non smise mai di crederci, di aiutare, sovvenzionare. I soldi c’erano, d’altronde. Ma quei milioni di euro che nell’ul timo ventennio hanno corso nel ventre di Napoli invece che saziarla l’hanno affamata. La sciagura, se così si può dire, prese avvio dalla quantità di denari che scorrevano. Perchè la torta sembrava magnifica, e si faceva ogni mese più grande, più appetitosa. Sorse Bagnoli futura: società pubblica che doveva progettare, dare un segno nuovo, bonificare, lasciare alla città una ricchezza. In dieci anni, e anche per responsabilità di Bassolino – è stato speso il doppio di ciò che necessitò ai tedeschi per rendere vivibile ed attrezzare i territori inquinati della Ruhr. Non avevano il sole, non avevano il mare, non c’è Nisida dietro Dusseldorf. Eppure l’industria siderurgica tedesca dismessa oggi è un’area museale all’aperto, visitata da migliaia di cittadini, centro geografico di un nuovo benessere. A Napoli poteva andare così? Certo che no. E infatti sono passati gli anni senza che la rinascita sia stata compiuta, senza che Bagnoli abbia conosciuto una nuova vita, Coroglio una nuova spiagga. Solo la Città della Scienza scampò al boccone di una politica ingorda e corrotta. Non che fosse andato tutto liscio, però l’area museale era stata realizzata, quei capannoni avevano trovato una loro destinazione, una loro pace. Le mazzette, almeno in quel perimetro, non avevano chiuso una possibilità. Due sere fa è bruciata l’unica cosa bella di quella brutta storia, l’unico presidio civile e culturale, l’unica certezza nella deriva civile. Brucia la notte, mentre al mattino si sbriciola, si frantuma, atterrita e fragile, un’ala di un bellissimo palazzo di Riviera di Chiaia, la città nobile, la parte dolce di una città amara. Collassa il palazzo, ed è la metafora di un collasso sociale, l’atto di accusa di un luogo sgovernato. Ora il sindaco De Magistris avverte: “La città è sotto attacco”. Forse sì, è come dice lui. Ma quante energie raccolte nella tumultuosa, avventurosa e vincente campagna elettorale ha dissolto nel volgere di qualche mese? De Magistris non ha mai fatto il sindaco, e non sa fare nemmeno il capopopolo. Ha trovato il municipio senza un euro, solo debiti è vero. Ma nella sua testa, un minuto dopo aver indossato la fascia tricolore, è comparsa l’idea che dovesse già divincolarsi dal fortunato destino.
L’INCENDIO capita quando De Magistris raccoglie i cocci di una cocente sconfitta elettorale: la bocciatura nelle urne di Rivoluzione civile. Oggi è già sconfitta di altri, ora è già stato tolto il patrocinio, dalla bacheca è scomparso il suo nome. Invece quell’avventura nemmeno doveva avere inizio. Ogni energia il sindaco doveva destinarla alla propria città, ogni minuto al suo ufficio. I bus senza benzina, lavoratori in strada, macerie in piazza. Una crisi civile ed economica senza pari. E lui? Come ha fatto fronte all’esito disastroso della stagione politica che l’ha preceduto? Come ha risposto agli anni di Bassolino, al tempo in cui l’emergenza costruiva le basi per una fiorente industria succhia-soldi. La monnezza , tanto per ricordare, ha prodotto un circuito finanziario monstre: sette miliardi di euro senza che nulla sia cambiato. La verità crudele è che anche i soldi hanno affamato quella città. Che adesso arde.
da: Il Fatto Quotidiano, 6 marzo 2013

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