Radical chic, o l’arte di usare parole a caso

tom-wolfeDev’essere opera di un diavoletto che s’intromette tra Matteo Renzi e il vocabolario e gli infila a sproposito una parolina, un concetto, un’idea. Ieri per esempio il premier, intervistato dalla Stampa, stava entusiasmandosi per il film di Checco Zalone. Anzi, più ancora del film, per Checco. Ha detto che gli è piaciuto moltissimo, e si è divertito un mondo e ha iniziato a ridere dall’inizio e ha smesso alla fine della proiezione. Ed è andato al cinema (a Courmayeur) con i suoi ragazzi che si sono divertiti moltissimo e non hanno smesso di ridere. Come lui hanno iniziato a sganasciarsi appena il film ha avuto inizio e hanno smesso quando le luci della sala si sono riaccese. Tutto a un tratto il diavoletto, per fargli dispetto, gli ha fatto dire: “E i professionisti del radical chic che ora lo osannano, dopo averlo ignorato e detestato, mi fanno soltanto sorridere”.

ORA, SE C’È un punto fermo di tutta la brillantissima e milionaria narrazione comica dell’Italia e degli italiani da parte di Checco Zalone, è che lui ha scelto (indovinando tutto) di iniziare la mega promozione del proprio film con una osannata incursione da Fabio Fazio, padrone di casa della trasmissione televisiva considerata dai suoi detrattori nient’altro che il miglior ritrovo dei radical chic. Non Mediaset né Maria De Filippi. L’italiano medio di Zalone è stato presentato nel salotto di quelli che, siamo sicuri che a Renzi questa locuzione piacerà, sono accusati di fare “i comunisti col cachemire”. Lui, o meglio, il diavoletto che si prende beffa di lui non gli dirà mai che quella locuzione è un parto della destra populista, un’espression e per inchiodare al muro l’alta borghesia che per finta guarda a sinistra e sbeffeggiarla al modo in cui Tom Wolfe descrisse il party dell’high society newyorke se a favore delle rivoluzionarie pantere nere. Tra l’altro Renzi, se avesse riflettuto, avrebbe ricordato che alcuni giorni dopo proprio lui sarebbe stato ritratto insieme all’uomo del cachemire per eccellenza, manager milionario e simpatizzante del suo governo che almeno di nome conserva ancora la dicitura “sinistra”. Era il premier o non era lui ieri alla Borsa di Milano? E aveva accanto Marchionne e il suo golf, giusto? Le parole hanno un senso, possono essere pietre o anche buche.

RENZI, SUO MALGRADO, ricorda il favoloso Berlusconi degli anni ruggenti, lo statista che distribuiva il libro nero del comunismo e avvertiva la folla acclamante, senza essere colpito da alcun senso del ridicolo, di fare attenzione agli “agit prop”, uomini cattivi che non solo e non tanto mangiavano i bambini ma si intrufolavano di soppiatto nel seggi elettorali, coartando con pozioni malefiche la volontà di singoli cittadini indifesi oppure, tramando nell’ombra, imbucavano schede farlocche inviate dalla Russia ancora sovietizzante e mutavano il conto democratico, la lista degli eletti e dei bocciati. Delle ossessioni di Berlusconi si sa tutto, sono invece meno gli studi sulla psiche renziana e l’utilizzo interpretativo delle sue parole. Butta alla rinfusa. Vuol dire ipocrita o falso e lancia con la fionda un radical chic. Gli viene bene e fa, secondo lui, molta rottamazione. È come una molla, un impulso che si ribella a ogni controllo e si spande per l’aria. Non fruga nel vocabolario ma prende a peso o a pretesto. Zitto e gufo!

Da: Il Fatto Quotidiano, 5 gennaio 2016