RENATO SORU. La Rete (bucata) di Mr. 500 parole

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Renato Soru usa le parole come noi le banconote da piccolo taglio. Un mazzetto di poche decine di euro le portiamo in tasca per gli usi quotidiani, il resto (se lo abbiamo) lo conserviamo in banca. Soru possiede meno di cinquecento vocaboli per i bisogni di tutti i giorni, il resto del suo sapere, che pure è largo, lo destina a faccende parecchio più impegnative. “Io penso solo al nuovo che verrà e a come costruirlo”, disse al Lingotto, il luogo mitico della Torino operaia dove Walter Veltroni stava battezzando il Partito democratico. Quel giorno (anno 2007) fece provvista di parole e spiegò che la politica non gli riguardava, non era affar suo e mai sarebbe stata tra i suoi pensieri. “Mai presa una tessera in vita mia e mai la prenderò”. Gli uomini, a differenza degli animali, hanno identità complesse e Soru oggi lo troviamo europarlamentare sfiduciato nel suo lavoro e serenamente assenteista nei banchi di Strasburgo. Fino a qualche ora fa era anche segretario del Partito democratico della Sardegna, fino a qualche anno fa anche consigliere regionale e prima ancora governatore dell’isola dove è nato (a Sanluri) nell’agosto del 1957.

È STATO – seppure per un breve periodo – l’uomo più ricco d’Italia, il primo ad accorgersi di Internet, il primo a fare affari mostruosi fino a detenere una società il cui valore in borsa rasentava quello della Fiat. Con Tiscali, trecento dipendenti nel periodo di splendore, è riuscito a vedere una sua azione valutata 491 euro e il listino dei sogni capitalizzato con un +1067 per cento. Silenzioso, tenace, testardo, ma soprattutto felicemente e persino un po’ spassosamente contraddittorio. Ha iniziato a far soldi costruendo e vendendo supermercati tra Olbia e Cagliari alla Standa, si è lanciato con profitto e preveggenza nell’avventura internettiana, intuendo agli albori del mercato il futuro nel quale saremmo stati immersi. Ha costruito con le sue mani Tiscali e poi con le sue stesse mani l’ha presa a martellate, inguaiandosi per di più. È stato, lo ripetiamo, il più ricco uomo d’Italia. Oggi deve vedere pignorati i suoi emolumenti. Si è iscritto alla Bocconi, ha lasciato la Bocconi pur di essere accanto al padre in momenti di difficoltà (si laureerà a 42 anni). Ha amato come nessun altro politico il mare e le coste sarde tanto da sigillare, con la sua firma, la più bella legge “salva coste”. A meno di due chilometri dall’acqua nessuna altra costruzione ammessa. Naturalmente la sua splendida magione di Villasimius affacciava direttamente sui fondali. Sua la imposizione della tassa sul lusso ai super ricchi. Però sempre sua l’idea di realizzare insieme ai fratelli Merloni e all’immobiliarista americano Bill Walters case da sogno in Costa Smeralda. Ha rilevato nel giugno 2008 l’Unità, ma l’ha lasciata (dopo averla persino un altro po’ sfasciata) appena ha perso la gara di ritorno con il centrodestra: la sfida per il bis in Regione con il berlusconiano Ugo Cappellacci.

DISSE ai giornalisti, mentre comunicava la chiusura delle redazioni periferiche del giornale: “Nessuno di voi mi ha chiamato per ringraziarmi quando ho preso l’Unità”. Disse ai giornalisti, quando annunciò la sua entrata in politica: “Nessun politico mi ha chiamato per chiedere spiegazioni”. Ieri, dopo la sentenza, ha detto: “Voglio star solo”.

Da: Il Fatto Quotidiano, 6 maggio 2016