Il Paese dei senza reputazione che saccheggia quella degli altri

emmanuel-macronQuanto costano oggi le fragole? E la lattuga? E i carciofi? La classe dirigente si comporta come se fosse al mercato sotto casa. Come se le idee fossero cicoria di stagione, mele annurche vesuviane, fragole di Terracina. La frutta è saporita? Il prezzo è buono? Allora compro. Oggi è la volta di Emmanuel Macron, il giovane francese, metà banchiere e metà socialista, En marche! (E.Ma. le sue iniziali) verso il potere. Prezzo di favore anche per un santino appoggiato al comodino di Marine Le Pen, reginetta della destra internazionalista, della sovranità assoluta, teorica del motto tardo-berlusconiano: padrone a casa mia.

LA CLASSE DIRIGENTE in difetto di reputazione cerca di riparare facendo razzia sul mercato estero. Non è storia di oggi. È successo ieri con Obama e la corsa alla photo opportunity; ieri l’altro con Blair e prima con Mitterrand e Kohl. Imponimi le mani, e diverrò come te.

La reputazione è costruzione nel tempo, è sintesi di competenza e passione, autorevolezza e capacità di resistere al gorgo del luogo comune. La forza di accettare la verità e di non scambiarla con la verosimiglianza, l’attitudine al dubbio quando è consigliato e la radicalità nella scelta quando essa diviene urgente e indifferibile.

Una élite senza reputazione non è élite, e parte già da un orizzonte di sottogoverno, dall’idea che con una furbata può dribblare la fatica; che la competenza viene da sé, sorge spontanea come fosse fiore di campo. Furbo di prima scelta è stato Luigi Di Maio che ha accolto – ritenendo che la scaltrezza potesse compensare l’estrema disinvoltura – l’invito di tenere una conferenza a Harvard, il tempio universitario, l’eccellenza per antonomasia. Ha pensato di arrivare al punto più alto partendo da quello più basso, non essere cioè riuscito a laurearsi benché l’età (31 anni), l’intelligenza e le condizioni economiche familiari lo permettessero, e scavalcare tutti quelli che stavano in mezzo, la immensa fila in cui tanti si ritrovano. Harvard come un bollino blu, il certificato di garanzia e di nulla osta universale. Invece se avesse saputo che la furbizia, portata alle estreme conseguenze, diviene una devianza dell’intelligenza avrebbe sicuramente rifiutato, magari con garbo e con un sorriso, l’invito. E avrebbe fatto benissimo perché si sarebbe risparmiato la considerazione banale ma fondata di un cardiochirurgo italiano, anzi salernitano, che ha studiato nella sua stessa università (la Federico II di Napoli) ma con differente profitto. Può dare lezioni uno che non sente come un dovere inderogabile la fatica di apprendere? Domanda anche piuttosto scontata ma sommamente incisiva.

CHI DÀ LEZIONI, chi indica la strada, deve conoscere esattamente dove essa porta. E non può affidarsi al tutoraggio internazionale. Chi ha reputazione la mostra e insegna agli altri. Inutile che Matteo Renzi copi Macron, l’inventore del partito istantaneo, anche perché gli costerebbe la residua fortuna elettorale se domani scoprissimo che anche Emmanuel brancola nel buio.

Da: Il Fatto Quotidiano, 8 maggio 2017