Favara e l’abuso a rovescio: sigilli contro l’arte in strada

Veniva riscontrata occupazione abusiva di suolo pubblico con una pedana di legno avente forma trapezoidale (…) con una sovrastante struttura di ferro e legno… con una struttura denominata Equilatera avente le seguenti dimensioni: base maggiore m 4,60 metri, base minore metri 3,20, lunghezza 13,60 metri”.

A FAVARA, città siciliana che all’abuso fa l’inchino quotidiano, abituata negli anni a essere deformata dal cemento, al punto di apparire, nella prima periferia, più un’escrescenza urbana alle porte di Agrigento che una città orgogliosa delle sue mura e della propria identità, il comune annota l’abuso di una installazione artistica e prescrive – con tanto di provvedimento – il ripristino dei luoghi, prospettando una sanzione amministrativa che potrà raggiungere i ventimila euro. Nella tenaglia dell’occhiutissima amministrazione, oggi peraltro guidata da una giovane sindaca cinquestelle, Anna Alba, è cascato il Farm Cultural Park, un’invenzione di una coppia, Andrea Bartoli e Florinda Saieva, che ha rivoltato letteralmente l’immagine della città, trasformandola da disastrata enclave di un territorio – l’agrigentino appunto – s edotto e conquistato dalle mafie a snodo nevralgico dell’arte contemporanea, stazione di partenza e di arrivo di artisti di grande livello. Una enorme farcitura culturale che si regge – e questo è un altro dato enorme per l’isola – sulle finanze private. Una scommessa nella scommessa e, cosa ancora più lucente e incredibile, un traino incredibile per l’economia locale che si è vista conquistare da questa idea, per metà pazza e per l’altra metà invece lucidissima. La fattoria creativa si è trasformata in una meta imperdibile, gli alberghi hanno iniziato a riempirsi, le imprese a darsi coraggio, la città a riconoscere un progetto nato nel segno di una scelta familiare, di un desiderio privato: “Dovevamo prendere una decisione per le nostre figlie: farle vivere nel degrado era per noi inaccettabile. Allora ci siamo detti: o cambiamo Favara oppure andiamo all’estero”, ricorda Bartoli, il notaio fondatore.

MARITO E MOGLIE han no scelto di fare da sé e abbellire Favara a loro modo: avanzando nelle mura cadenti del centro storico, utilizzando come palcoscenico i vicoli, riempiendo i vuoti con i segni d’artista, zebrando le mura, proiettando installazioni fantastiche, presenze psichedeliche, e a far da corona un tumultuoso, rumoroso e incredibile via vai di liberi sognatori, creativi affermati, guru, qualche vip e molta umanità europea pendolare. È nata così quella che si può definire di sicuro la più avanzata opera di rigenerazione urbana che ha significato sia egemonia culturale che traino economico. “Il nostro problema ora è come rendere sostenibile un’impresa che ha costi non più sopportabili. E mentre cerchiamo di capire cosa fare arriva, come fosse uno scherzo di carnevale, l’ordine di ripristino dei luoghi. Siamo davanti al più limpido esercizio della burocrazia ostruttiva, alla lignea identità di questi dipendenti comunali che con una solerzia impareggiabile ritengono di provvedere al rispetto della legge intimando all’arte di farsi da parte. È venuta l’ora di avanzare come fosse una crociata contro questa struttura impersonale e impermeabile, protestare, ricorrere finanche davanti al Papa contro l’esercizio pretestuoso, illogico, veramente denigratorio del potere pubblico. È l’arte che si merita la sanzione, capito? È la pedana di legno che dev’essere sfrattata”, urla Bartoli.

LA VICENDA, che ha tratti veramente parossistici, è già rimbalzata sui social e sta conducendo, com’è prevedibile, a una lunga teoria di prese di posizioni scandalizzate. La giovane sindaca Anna Alba, alla quale gli uffici hanno fatto questo “regalo”, ora annuncia “un confronto tra le parti” per porre fine alla querelle. Nell’attesa del confronto in municipio, Bartoli e consorte sono oggi a Roma ospiti di una delegazione del partito democratico. Prossima puntata: la seduta del Tar siciliano che dovrà giudicare.

Da: Il Fatto Quotidiano, 1° agosto 2017

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