Più della papera del portiere francese, della forza atletica di Mbappè, di quel delizioso tiro da fuori area di Pogba, del volto scarnificato e depresso dello sconfitto Moric, mi rimarranno in mente due altri frame della finale mondiale. L’invasione di campo, quasi impercettibile, e l’ombrello di Stato che tutela dal diluvio solo la pelata dello zar di Russia, il padrone di casa, a dispetto di ogni cerimoniale.
Il primo episodio, benché inquadrato nelle cose che non si fanno, lo giudico delizioso per due motivi. Il primo: l’intelligenza ha sempre la meglio sulla forza, e si vede. Disturbare anche solo simbolicamente la perfezione del regime poliziesco e repressivo che si vive in quel Paese è segno di una energia vitale non scomparsa, è dimostrazione di un talento non appannato. A conferma è venuta la sostanziale invisibilità dell’atto. Avete notato come immediatamente la regia abbia coperto con precedenti azioni da rete i tre magnifici incoscienti invasori moscoviti?
Nessuno ha visto e capito bene. Né il telecronista di Mediaset, forse distratto dal suo amore per il calcio, ha rilevato che il pallone è il più grande testimonial che il potere ha per procacciassi simpatie e amicizie. E infrangerlo assume anche una sua rilevanza, Non c’è pass partout migliore, chiedetelo a qualunque industriale, per fare affari che acquistare una squadra di calcio. Lo zar di Russia organizzando i campionati voleva proprio dimostrare, purtroppo riuscendovi, la sua supremazia nel panorama mondiale.
E infatti l’ombrello che a fine partita si è aperto solo sulla sua testa, lasciando gli altri capi di Stato (e uno di essi era una signora) sotto il diluvio, è testimonianza che la forza si misura anche con la maleducazione. È il segno dei tempi e poteva Putin non esserne l’interprete perfetto?