La teoria Calenda: un partito al giorno toglie il medico di torno

Leggendo Repubblica avevamo capito che Carlo Calenda è già pronto a fondare un partito lib.dem. L’abbreviazione è farina del suo sacco. Liberal, libertario, un po’ liberista, di sicuro liberato dal peso sinistro della sinistra.

Poi Calenda in persona è intervenuto per rettificare e ha specificato che il partito lib.dem, sempre abbreviato, nascerebbe solo se Nicola Zingaretti, il segretario del Pd, glielo chiedesse.

Calenda, per chi non lo sapesse, è iscritto al Pd ed è un suo illustre pensatore, assegnatario di un gran numero di preferenze alle ultime europee.

L’idea non è affatto male. Fondare un nuovo partito su mandato di un altro partito è quel che ci vuole per far ritrovare la passione a chi la persa. Com’è che si dice? Un partito al giorno toglie il medico di torno.

da: ilfattoquotidiano.it

Il rettore trombato e quella lettera agli studenti. Sono un “sovranista competitivo”, aiutatemi

Ancora qualche ora e l’avremmo perso di vista. Invece, rientrando nella categoria dei trombati eccellenti, che è il seguito obbligato di ogni tornata elettorale, abbiamo l’opportunità di scoprire le gesta dell’enorme e magnifico rettore di Salerno, professor Aurelio Tommasetti, impossibilitato a portare le sue idee secessioniste (Prima il Mezzogiorno!) a Strasburgo. Per un pelo non ce l’ha fatta, ed invero si è dannato l’anima. Tommasetti, che insegna fiducia e chiede fiducia, è il docente che tutti vorremmo. Alla mano, sempre sorridente, sempre accomodante, poliedrico ispettore della ricerca, animatore di una vita che contempli studi e sacrifici, da qualche anno è terribilmente al lavoro per dare una prospettiva al Sud, alla sua terra, al suo mondo. Dapprima aveva consegnato a Forza Italia la sua disponibilità a candidarsi per il Parlamento nazionale. Incredibilmente Silvio Berlusconi gli aveva risposto picche. Da qui inizia il travaglio del rettore che da liberale convinto si ritrova “sovranista competitivo”. Cambia pelle, insomma. E nella trasformazione, lasciati a casa gli occhiali di color grigio topo, riemerge con due fanali di un azzurro spietato, tipo lampeggianti delle auto di polizia. Anche l’abito fa il monaco ed è un modo per essere al passo coi tempi e parlare ai suoi ragazzi, gli studenti dell’università. Giovane tra i giovani.

La forza del rettore, la sua vigoria fisica, la fantastica capacità teorica hanno rapito nelle settimane immediatamente antecedenti la presentazione delle candidature, Matteo Salvini. Che ha strappato ai suoi studi Tommasetti e gli ha chiesto una mano. Salvini ha accettato che il rettore gli lanciasse il guanto di sfida. E sebbene, come ormai sappiamo tutti, la Lega è per il “Prima gli italiani”, ha accolto l’uomo del “Prima il Sud”. Un atto isolato di coraggio e di ribellione che porta un nome e cognome. Il Sud che si affida all’uomo del Nord ma con orgoglio e dignità, a schiena dritta. Il Sud che affronta il Nord e gliele canta chiare.

Il rettore, super magnifico ed eccellentissimo, ha anche, con una lettera aperta, chiesto al cuore dei suoi studenti di aprirsi a lui e nel segno della croce (con un legittimo pensiero alla Vergine Maria, madre di Matteo) di fare una croce su Alberto da Giussano, notorio guerriero cilentano.

Il Senato accademico salernitano in questi giorni è rimasto impegnato nell’accademia e non ha visto, e se ha visto non ha letto e se ha letto non ha capito.

Il rettore, che non si è dimesso dall’incarico al momento di candidarsi giacché l’ipotesi, neanche prevista dalla legge, sarebbe stata, immaginiamo noi, troppo vile, ha di certo inteso di coinvolgere l’università in questo suo cammino sovranista competitivo. L’hanno seguito in tanti, ma non nel numero sufficiente. Trombato. Amen.

da: ilfattoquotidiano.it

L’ossessione italiana per l’uomo forte. Il “nullafacente” oggi chiamato al governo del fare

La ricerca dell’uomo forte più che una suggestione che attraversa una parte così maggioritaria dell’elettorato, sta divenendo un’ossessione, un elemento che non risolve ma schiaccia l’Italia nella sua radice primitiva e secolare, nella convinzione assoluta: uno fa meglio di dieci. Cos’è la Lega senza Matteo Salvini? Niente, praticamente non esiste. E cos’era il Pd di Renzi senza Matteo Renzi? Un involucro vuoto, una luce spenta. E Forza Italia senza Silvio Berlusconi? Più che la democrazia dei leader che questo tempo invoca e richiede, noi italiani abbiamo bisogno di una personalità ancora più forte, che non solo guidi ma comandi. Imponga le regole, anzi le crei e le modelli via via che ne senta il bisogno, riduca le leggi a un’opinione e ogni dibattito, ogni critica a un fastidioso cicaleccio.
Solo così è possibile interpretare il voto del Mezzogiorno che affida le sue speranze alla Lega, che deve rispondere alla sua struttura antica e dominante, il ceto produttivo e anti meridionale del nord, quel che c’è da fare e da dire. E come vent’anni fa si chiedeva al miliardario Berlusconi di far ricchi i poveri, e glielo chiedevano tanti poveri, oggi si battono per la flat tax, un’imposta piatta che ridurrebbe le tasse a chi ha i soldi, coloro che nemmeno riescono a presentare la dichiarazione dei redditi per assenza del quid, del reddito cioè.
E’ un controsenso, all’apparenza irragionevole, ma che ha una sua logica e una sua pertinenza nella condizione civile e culturale in cui versa tanta parte del Paese. Affidarsi al potente di turno è una scelta conosciuta e una caratteristica naturale delle democrazie rappresentative: il più forte attrae ulteriori consensi perché anche all’elettore piace scegliere il vincente che lo sconfitto, salire in qualche modo in groppa.
Tributargli questo oceano di consensi è invece un problema, una questione aperta, un difetto genetico che noi italiani stiamo rivelando. Votare senza un perché, senza conoscerne le ragioni, senza avere idea di quel che provoca, è un atto di pura incoscienza e anche, in un certo senso, di beata ignoranza.
Come l’anno scorso l’Italia affidò le sue sorti ai Cinquestelle, in una furia che in qualche caso non solo non aveva motivi ma che impegnava i suoi giovani rappresentanti a una responsabilità a cui non erano pronti, e oggi si è visto, così, dopo poco più di dodici mesi, affida al lumbard ex comunista padano, ex razzista, ex secessionista, per sua ammissione “nullafacente” l’obbligo del fare, fare presto e fare bene. Fare tutto. A lui il destino di ciascuno.
Lui per adesso si è affidato al cuore immacolato di Maria. Amen.

da: ilfattoquotidiano.it

Quanto bene ha fatto alla Chiesa il gesto dell’elemosiniere del Papa?

Quanto bene ha fatto alla Chiesa, all’onore della Chiesa, alla reputazione della Chiesa, il gesto del cardinale Krajewski, elemosiniere del Papa, di calarsi in un tombino e riallacciare l’energia elettrica agli occupanti di uno stabile? Pensavo a questo atto, formalmente illegale, mentre riordinavo le decine di articoli che solo nell’ultimo anno hanno riguardato vicende legate a presuli. Prevalentemente di cronaca nera. Generalmente soprusi sessuali, in troppi casi legati al mondo di pedofilia. E poi inchieste vaticane, ostruzioni vaticane, ricchezze vaticane, satrapi vaticani. Un solo gesto, ma di una portata rivoluzionaria, colma quasi il desolante vuoto di una Curia, la immobile gerarchia ecclesiastica, che assiste al declino senza quasi muovere foglia, con un Papa le cui forze sembrano minori di quelle messe in campo dai suoi oppositori.

Il gesto, così nobile e così cristiano, del cardinale elemosiniere è soprattutto sincero. Krajewski ci sembra uno dei pochi preti che fanno esattamente quello che sono chiamati a fare. Curare le anime e quando i loro corpi siano messi male, sostenerli. Non abbiamo assistito a un atto di propaganda (nel 2018 il cardinale, che raccoglie singole donazioni alla Chiesa di Roma provenienti da ogni parte del mondo, ha speso tre milioni e mezzo di euro per pagare le bollette dei poveri) ma alla più limpida professione di fede. Chi di voi si è trovato nella possibilità di aiutare, di esprimere solidarietà anche anonimamente, sa quanto sia stato appagante averla fatta. Non ha bisogno di una unità di misura, un euro o dieci o cento o mille, ciascuno come può e come crede.

A volte ci sembra così impegnativa la felicità, così dura da raggiungere, così lontana dalla nostra vita. Nel mio piccolo adotto questo stratagemma per carpirla, farla avvicinare a me. Scelgo, quando esco e purtroppo trovo tante mani che chiedono qualche spicciolo, di individuare una soltanto di quelle mani e di mettere nel suo palmo non una monetina ma un biglietto da dieci euro. Mi dico sempre che è quanto più o meno pagherei per l’ingresso al cinema. Il risultato è straordinario. Il lampo di stupore nell’altro, il sorriso grato, la felicità istantanea e assolutaWhat else?

da: ilfattoquotidiano.it

Ponte Morandi, il costo civile ed economico della camorra

Quando parlano di sblocca cantieri, della lentezza con cui i lavori vengono eseguiti, del groviglio di liti che ogni affidamento pubblico produce, ricordate sempre che parecchia della responsabilità ce l’ha la criminalità organizzata. Non tutta, ma parecchia sì. Se il mondo dell’edilizia è infestato da imprese che risalgono direttamente o indirettamente a boss o delinquenti abituali è anche perché la criminalità investe nel cemento una gran massa dei suoi capitali. Difendersi dalle aggressioni criminali significa irrigidire il codice degli appalti. L’irrigidimento produce ritardo che si aggiunge a quello conosciuto e oramai incorreggibile della burocrazia. Si può sbloccare il cantiere, decidere che ogni opera dev’essere conclusa al più presto, saltare i controlli, si può alzare la soglia della trattativa diretta senza gara. Ma si deve mettere in conto di quel che si toglie: la trasparenza, la qualità dei lavori e un gran numero di imprese oneste mandate fuori dal mercato.

Non sono dunque solo le pallottole vaganti, come quella che ha squarciato i polmoni della piccola Noemi qualche giorno fa a Napoli, il costo vivo che la criminalità organizzata impone alla società civile. Ci sono, e non sempre vengono compresi nella definizione della questione criminale che stringe alla gola la nostra democrazia, enormi costi economici, industriali e anche culturali. Gomorra, la serie tv, ci coinvolge tanto, ci prende tanto, ci emoziona tanto, e ci fa stare svegli, attenti, partecipi. Invece le gesta dei camorristi veri ci annoiano, al punto che gli agguati, se non sono mortali, al telegiornale neanche passano più.

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Salvini? Se a Di Maio non va bene non si scandalizzi: apra la crisi. Ma se ci resta insieme al governo, è meglio se sta zitto

Alcuni vigili del fuoco in provincia di Bergamo hanno impegnato un’autoscala per raggiungere uno striscione di contestazione a Matteo Salvini. I pompieri, che sono benemeriti, dovrebbero provare vergogna per queste azioni di ripulitura cui sono stati chiamati. Immagino invece che sarà piena di onori la direttrice di Rai Uno che ha revocato tre serate a Fabio Fazio in quanto sta sui coglioni al Salvini medesimo. “La Rai è pagata con i soldi degli italiani”, ha detto il nostro conducator leghista, senza aver paura di fare scompisciare dalle risate un popolo intero.

Lui infatti viene pagato dagli italiani da quando, nullafacente, fu eletto nel consiglio comunale di Milano. Da allora non un euro è entrato nelle sue tasche grazie a un lavoro normale. I suoi quindicimila euro mensili rappresentano, da un ventennio, la remunerazione che gli italiani versano sul suo conto immaginando che la sua fatica valga a qualcosa.

E’ utile, visto il fango progressivo che copre ogni dignità e ogni verità, ricordare sempre che la prima moglie di Salvini è stata assunta dal comune di Milano (giunta Albertini); la seconda moglie dalla Regione Lombardia (giunta Maroni), la terza consorte pro tempore in ordine di apparizione, la magnifica ElisaIsoardi, è stata gratificata, nel mentre l’amore esplodeva ma per esclusivi meriti professionali, della conduzione de La prova del cuoco. E’ sempre spiacevole rievocare, ma visto che al leader leghista fa difetto il pudore, è il caso di rammentargli le notevoli coincidenze.

Ed è il caso, visto che siamo in tema, di rammentare al suo alleato, ora in funzione di oppositore elettorale, che il merito di aver divelto un sistema di potere opprimente non può valergli di fare il pesce in barile.

cinquestelle per formare il governo si sono messi con questo tizio, conoscendo, immagino, il suo curriculum. Giacché ci siamo, rammentiamo che anche i curricula dei pentastellati sono in alcuni casi rabbrividenti. Quindi è opportuno che Di Maio, prima di scandalizzarsi, si chiarisca le idee. Se Salvini si mostra cosìprepotente e insofferente a ogni critica, se invece di cambiare restaura, se mette i suoi ovunque e toglie coloro che gli sono antipatici, l’unica scelta è formalizzare la crisi. Dire: sei troppo sporco per noi.

Se è invece pulito abbastanza per trascorrerci in luna di mieletutta la legislatura, stia zitto. Si tenga il potere, l’indennità e magari l’auto blu, insieme però alla vergogna.

da: ilfattoquotidiano.it

Un’altra riforma del Parlamento. E nessuno ne parla

Con una furia iconoclasta degna di migliori cause il Parlamento, sotto i colpi di un’ossessione dei Cinquestelle e tra la distrazione completa dell’opinione pubblica e dei commentatori, procede per l’ennesima riforma costituzionale. Questa volta la soluzione è il taglio di 345 tra deputati e senatori. La Camera se ne ritroverebbe quattrocento e il Senato duecento. Numeri pari e tanti risparmi in più garantisce Riccardo Fraccaro, il ministro proponente.
La riforma, che ha superato lo scoglio della prima lettura, adesso è attesa, se la legislatura continuerà, al secondo voto dell’assemblea. Nel caso venisse approvata con la maggioranza assoluta si aprirebbero le porte al terzo e ultimo passaggio: il referendum confermativo. E questa è la cronaca.
L’idea però che il Parlamento non possa essere lasciato in pace e a ogni legislatura la politica, anziché aumentare la propria reputazione facendo eleggere persone di qualche valore, di qualche onestà e competenza (onorevoli, per l’appunto), scelga la strada del taglio, sposta la questione dal merito, cosa fanno e come, alla pura aritmetica: quanti ne sono? Il ministro Fraccaro, con un’analisi logica della realtà piuttosto primitiva, assicura che tagliando si rende più efficiente la macchina del potere. Senza darsi cura che la stasi, l’inghippo burocratico, la paralisi politica è stata sempre figlia di contraddizioni in seno alla maggioranza di governo. Potremmo chiedere a Fraccaro: perché mai il decreto crescita, che così tanto bene si dice farà all’economia, non è ancora legge? Sono in due, Di Maio e Salvini, a decidere. Solo in due. E perché lo sblocca cantieri non è testo pubblicato? Sempre in due sono, potrebbero decidere in cinque minuti e invece sono mesi che si attende.
Azzannare le istituzioni e dare in pasto a un popolo drogato dalla ideologia della semplificazione, della banalizzazione di qualunque problema, produrrà altri e più gravi squilibri. Noi corriamo dietro ai tagli della casta, in odio ad essa, e non ci curiamo, come le cronache ci ricordano, di chi la casta seleziona. E la reputazione?
Tra parentesi: sapete chi in Sicilia farà votare Lega? Francantonio Genovese, già deputato del Pd, già incarcerato, già passato in Forza Italia. Figlio di Luigi, senatore per tre legislature, e papà di un altro Luigi, appena ventenne e già deputato regionale. E’ vecchia politica o nuova politica?
Un posto al Parlamento, in formato small o large, un Genovese, di sinistra, di destra o leghista, lo troverà sempre. Invece provate a immaginare chi resterà escluso.

da: ilfattoquotidiano.it

La corruzione è come la tosse. Se non la curi tossisci tutta la vita

Un male endemico è una malattia cronica. Resta appiccicata nel corpo e spunta, ogni volta che le difese immunitarie si abbassano, con il suo malefico buongiorno. Ieri e oggi, e credo nelle giornate che seguiranno, troveremo un po’ ovunque racconti e foto di corruzioni e corrotti, presunti o reo confessi, indagati o solo ingaggiati, di gran mole o di piccolo taglio, del nord lombardo e del sud calabrese. Sono casi che a noi suonano come conferma, non tolgono e non aggiungono a quel che siamo e sappiamo. Tutto uguale a prima. Dov’è la sorpresa? Qual è la sorpresa?

E’ proprio questa indiscutibile e indolente osservazione a doverci fare paura. Perché questa resa al destino è musica per le orecchie di chi seleziona la classe dirigente.

Perché si fa più fatica a convincere una persona onesta e capace a impegnarsi nella gestione della cosa pubblica. Invece lo scaltro, il furbo (o peggio) è lì che sgomita, pronto a far sognare. Elettoralmente fa più audience il secondo che il primo, è prediletto dal popolo chi ha fatto fortuna, a prescindere da come essa si sia costruita. In campagna elettorale valgono le emozioni, le parole, ma di più le promesse. Lo scaltro, e fermiamoci a questo aggettivo, è più performante: giura di arrivare, perché conosce le persone giuste, non per niente è uomo di mondo, dove altri non potrebbero.

Nella naturale selezione dei vincitori e dei vinti i vizi hanno la meglio sulle virtù e per merito nostro non loro. Cosicché tutto torna normale quando leggiamo, o ascoltiamo o vediamo incastrate in qualche microspia una o più bustarelle. E che sarà mai? Sarà, per dirla in soldoni, che la corruzione fa deragliare un sacco di soldi, e con essi una mole infinita di opportunità. La prima di esse: il lavoro. E la corruzione è consorella della evasione fiscale, perché è figlia di un sistema di controlli corrotto, e l’evasione è la tassa sui poveri da parte dei ricchi.

Ma i poveri, essendo più numerosi dei ricchi, potrebbero far valere nell’urna i loro diritti, e scegliere il diritto al posto del rovescio.

Però se ne scordano. Al più – dopo essere stati uccellati – bestemmiano.

da: ilfattoquotidiano.it

Se i poliziotti divengono questurini leghisti

Ieri a Salerno la ragazza identificata dalla polizia rea di aver mirabilmente sfregiato l’autostima di Matteo Salvini avanzandogli con la scusa di un selfie la domandina: “Ma non eravamo terroni di merda?”. Poi ad Avellino una incursione della Digos in casa di una signora che aveva esposto sul suo balcone un manifesto contro (“La Lega è una vergogna”). A dicembre scorso – al tempo dei barconi e dei migranti lasciati morire in mare – la polizia di Stato, in funzione purificatrice, aveva rincorso un signore che silenziosamente innalzava a piazza del popolo a Roma, durante la manifestazione leghista, un cartello con una frase tratta dal Vangelo: “Ama il prossimo tuo”.

Salvini che chiama le guardie, o lascia che le guardie facciano il lavoro sporco, consegna se stesso da militante dei banchetti dei mercati popolari, che ha frequentato per oltre un ventennio in nome della Lega, a potente che si fa difendere, oltre la misura e oltre il diritto, da un servizio di scorta pagato dallo Stato, in questo caso, come direbbe lui, persino in nome del popolo italiano, per difenderlo nelle sue funzioni da aggressioni o atti violenti. La Digos non è pagata per far tacere le contestazioni, quando esse si esprimono in modo civile e responsabile, come in tutti questi tre casi descritti. È successo anche al tempo di Silvio Berlusconi, quando la polizia identificò Piero Ricca colpevole di aver gridato “buffone” all’indirizzo dell’allora premier. E innumerevoli sono i casi di soverchieria ad opera dei servizi di scorta di ministri e di potenti, ieri e ieri l’altro come oggi succede con Salvini, da farci dire che queste operazioni assomigliano a vere e proprie intimidazioni.

Salvini può chiedere scusa ai meridionali per aver profferito frasi ingiuriose e volgari nelle sue funzioni di deputato della Repubblica, dunque rappresentante di tutti gli italiani. Può anche ritenere di non scusarsi. Quello che non può fare, e che il capo della polizia Franco Gabrielli dovrebbe impedire ad ogni costo, è di trasformare i poliziotti in questurini leghisti.

da: ilfattoquotidiano.it

Il dominio culturale della camorra e due piccole ma buone notizie

La scelta di Antonio Piccirillo, 23 anni figlio del boss di camorra Rosario, di dissociarsi nel modo più clamoroso e pubblico che ci sia, partecipando cioè alla manifestazione contro la camorra dopo l’ultimo, sanguinoso raid nelle vie di Napoli, è una notizia più rilevante di quanto si pensi. Perché la questione che dovremo affrontare è legata oramai al dominio culturale che la criminalità organizzata ha conquistato e al fatto che lo Stato abbia considerato la lotta alle mafie non come un bene rifugio della democrazia ma come un impegno troppo oneroso. Prendere di petto i camorristi non porta voti purtroppo, le parole d’ordine di questi ultimi tempi sono le più trite e lontane da questo dramma per il quale, ad ogni morto, si recita un falso mea culpa.

Non abbiamo più occhi per vedere né voglia di vedere. Semplicemente siamo assuefatti. Al punto che ci accorgiamo appena fianco delle buone notizie. Una di queste è appunto la clamorosa dissociazione del figlio del boss. Un’altra, molto più piccola ma non meno rilevante, è che finalmente le ruspe hanno iniziato ad abbattere le costruzioni abusive sul litorale di Castelvolturno, il luogo infernale, il paese in cui ogni miseria si è fatta violenza, e ogni sopruso è stato lasciato avanzare perché in quelle terre, l’area domiziana, la Repubblica Italiana ha issato bandiera bianca.

Perciò dobbiamo dire che l’iniziativa della Regione Campania, che ha iniziato la bonifica di quei territori, investendo nel sistema fognario, nel recupero degli impianti di depurazione, nel disegno di un piano che dia un po’ di ordine urbano, sia l’atto più importante contro la camorra. Sono necessari ma non bastano poliziotti o galere. Serve che lo Stato si ripresenti dai luoghi nei quali è scomparso e accetti di garantire ai cittadini che vivono sotto il dominio criminale di non perdere ogni speranza, di non arruolarsi nell’esercito, già folto, dell’altro Stato.

da: ilfattoquotidiano.it