Lo Stato sociale, finalmente!

Due anni fa un gruppo di giovani musicisti bolognesi conquistò l’Italia dal palco di Sanremo. Grazie a loro tirammo fuori dal cassetto dei ricordi una parola, anzi due: lo Stato sociale.

Nell’ultimo trentennio avevamo fatto di tutto per dimenticarcene, e infatti quella definizione aveva perduto senso, parevano due parole non solo inutili ma costose. Le affiancavamo alle devianze delle condotte pubbliche. Non poche purtroppo. Stato sociale uguale clientelismo. Oppure familismo. Oppure e peggio: assistenzialismo.

Qualunque azione pubblica, qualunque spesa venne intesa come spreco. E da un trentennio abbiamo potato l’albero della solidarietà, del welfare. Abbiamo iniziato dai treni (ricordate i rami secchi?), proseguito con la sanità (gli ospedali inutili) e infine siamo giunti a chiudere anche il rubinetto delle opere pubbliche: piccole, medie e grandi.

Meno più meno più meno. Meno Stato più virtù. Meno Stato più efficienza.

Oggi questo decreto legge sulle straordinarie misure economiche che il governo assume per fronteggiare l’epidemia, ci fa tornare la memoria. E ci fa riscoprire le virtù non solo dello Stato sociale, il cosiddetto welfare, ma persino l’efficienza che in casi come questi solo l’azione pubblica e non quella privata può mettere in campo quando si tratta di tendere una rete di protezione ultima e collettiva.

Oggi ci piace lo Stato sociale, vero? Siamo felici che la sanità sia universale e gratuita, che i bisognosi abbiano un minimo reddito di sussistenza, che chi ha perso il lavoro abbia la cassa integrazione, che chi ha chiuso il negozio non si veda costretto a versare gli acconti Iva, che chi ha i figli a casa e deve andare al lavoro possa godere del bonus baby sitter, eccetera eccetera.

Le garanzie pubbliche sono indispensabili, e presto leggerete nel dettaglio ogni singola misura.

Ma le garanzie sono possibili a condizione che tutti i cittadini contribuiscano a sostenerne il costo.

Perciò le tasse bisogna pagarle. Lo stiamo capendo ora. Perciò, caro evasore, fai una cosa: quando stasera alle sei del pomeriggio esci sul balcone a cantare l’inno di Mameli, magari con una mano sul cuore, con quella libera raggiungi il portafogli. Fatti due conti. E paga quel che devi.

Da: ilfattoquotidiano.it

Coronavirus, la rupe tarpea di Boris Johnson: giù i più fragili e sfortunati

“Abituatevi a perdere i vostri cari” è una frase raggelante in sé. Ma è il pronome sottinteso, quel voi in luogo del noi, a mettere ancora più angoscia. I giornali britannici giudicano “solenne” benché “cupa” la frase con la quale il premier Boris Johnson ha annunciato il suo modello di intervento: lasciar correre il virus, pagare il dazio di una infezione fino al 60 per cento della popolazione e uscirne fuori, quando sarà, con la cosiddetta “immunità di gregge”.

Ha dunque annunciato il sacrificio di migliaia di suoi connazionali. Annunciandolo, con una irresponsabilità che a me sembra senza pari, ha già immaginato chi sarà buttato dalla rupe Tarpea: i più fragili e sfortunati.

Noi italiani, scrive oggi Carlo Verdelli, siamo sperimentatori di un evento mai sperimentato. Ci troviamo a fare i conti col mistero, col buio, con un avversario irriconoscibile.

Noi italiani sappiamo anche che le cure del servizio sanitario sono universali, senza eccezioni di reddito, posizione sociale, età. Eppure la qualità e le cure sanitarie in una porzione dell’Italia sono molto più efficaci e tempestive rispetto all’altra porzipne. E’ già questa una prima e grave disuguaglianza. E se vogliamo dirla tutta le cure e le attenzioni prestate ai primi ammalati di Covid19 sono state sicuramente più avanzate e tenaci rispetto a quelle che già oggi si riescono a somministrare. Oggi chi raggiunge la terapia intensiva trova un fronte medico sfibrato da decine di giorni di lavoro incessante, trova non uno ma cento letti occupati, e cento urgenze in più a cui far fronte. E’ questa una seconda disuguaglianza che siamo costretti ad annotare. La risposta a un evento così cruento, se dispiegata nello stesso momento per un sempre maggior numero di casi, risulta oggettivamente più incerta e faticosa.

A queste due disuguaglianze Johnson, nel suo incredibile e raccapricciante messaggio alla nazione, ne aggiunge una terza: si salveranno i più forti. Che non sono sempre i più giovani. Ma certo tra i forti sono da annoverare i più più giovani e i più ricchi, oppure, non essendo giovane né ricco, chi detiene, come Johnson, poteri di governo a cui sarà sempre riservata un’attenzione speciale. E poi coloro che avranno la possibilità di essere curati in un grande istituto scientifico invece che in un ospedale di campagna.

I più forti, i più ricchi, i più potenti.

E tutti gli altri? Attenderanno la decimazione. Però dopo la decimazione quel grande “gregge” superstite raggiungerà l’immunità.

È già spaventoso pensarlo, ma dirlo è un atto così crudele e anche così intensamente antidemocratico da far venire i brividi.

Da: ilfattoquotidiano.it