La foto usata da Toti e la nostra assoluta dedizione a non filtrare più nulla con la ragione

Perché? Perché abbiamo bisogno di credere nell’incredibile pur di vedere confermate le nostre idee, la nostra posizione? Ieri è circolata una foto che in gergo si chiama polpetta avvelenata o anche, al tempo di internet, fake news. La foto di bimbi inginocchiati per terra nel primo giorno di scuola. Le sedie a far da banchi e loro, piccini, in ginocchio. Una foto di un istituto genovese. Quella foto utilizzata dal candidato del centrodestra alla presidenza della regione Liguria Giovanni Toti come dimostrazione di quanto fosse alto il fallimento. Bimbi in ginocchio, oscurati da bollini arancione, lo stesso colore della lista di Toti.

Qui non è in discussione il giudizio su Azzolina ma su di noi, su ciascuno dei tanti che hanno ripubblicato, sconcertati, confusi e arrabbiati, quel fermo immagine.

Siamo andati contro la logica, la ragione, il minimo buon senso: com’era possibile che il dirigente scolastico o la maestra avessero inflitto una pena così grande ai nostri piccoli bimbi. Com’era possibile che avessero deciso di far scontare a degli innocenti le colpe, anche gravissime, del governo?

In ginocchio, poi. Nemmeno utilizzati i banchi vecchi, che immaginiamo dovessero esserci, mancando i nuovi. Nemmeno seduti per terra. Ma in ginocchio, magari sopra i ceci a rendere il sacrificio più drammatico.

Il dirigente scolastico ha poi spiegato che quello era un momento di gioco, che i banchi giungeranno oggi, che quella è stata una strumentalizzazione a fini elettorali.

Quel che conta e fa male è la nostra assoluta dedizione a non filtrare con la ragione più nulla di ciò che ci viene proposto. In molti hanno avuto bisogno di ritenere vero un falso (perché se falso non fosse il dirigente scolastico e l’insegnante dovrebbero venire denunciati e cacciati a calci dalla scuola), per vedere confermato il loro giudizio sul ministro, sul governo, su questo Parlamento.

Abbiamo bisogno di credere nell’incredibile. Non ci basta la realtà, dobbiamo volare con la fantasia, non ci basta la logica dobbiamo inseguire il rancore.

Che pena!

Da: ilfattoquotidiano.it

Il pre-conto, l’ultimo ingegno del ristoratore evasore

Ceno in un ristorante salentino, succede due sere fa. Pieno quasi in ogni ordine di posti, segno che almeno da queste parti il Covid ha traghettato molta più gente del previsto e non solo in agosto. Mi arriva il conto, anzi il pre-conto. Cos’è il pre- conto? Un modo per svicolare dalla legge e dalla responsabilità: fregare lo Stato, cioè il prossimo, cioè anche me. Non pagare le tasse su ciò che si ricava. E metterle in conto ad altri. Il pre-conto è un’invenzione recente dei ristoratori evasori. Inbrogliare il cliente disattento, sostituire alla ricevuta fiscale un pezzo di carta che le assomiglia ma che non vuol dir nulla. Mica il ristoratore col pre-conto mi propone un prezzo? Mica mi chiede di essere d’accordo? Mica si intavola una trattativa? Porgo la carta di credito e mi convinco, io ingenuo, che il fatto che la mia spesa sia tracciata consigli al ristoratore di rendermi la ricevuta fiscale. Niente di niente. Allora la richiedo e protesto. Segue quella stupida moina di scuse, e mi arriva.

A questo ristoratore, come per tanti altri suoi colleghi imprenditori, neanche la moneta elettronica lo scuote, lo interroga, gli fa prendere coscienza che è non solo un obbligo di legge ma un minimo dovere civile partecipare alle spese della collettività. La collettività ha giustamente partecipato, nei mesi del lockdown, a sostenerlo: cassa integrazione per i dipendenti, bonus, vari sconti fiscali. E ora che lui potrebbe restituire, perché ha goduto di una rendita di posizione, il meraviglioso mare del Salento e l’afflusso straordinario di turisti, rifiuta, anzi fa di più: imbroglia. Un imbroglio che si regge sulla convinzione che nessuno lo controllerà mai, perché bisogna essere furbi, perché basta essere furbi in questa Italia del Medioevo, furbi e ben attrezzati con le relazioni, con le amicizie.

L’augurio che faccio a questo ristoratore, e a tutti i suoi colleghi del pre-conto, è di scoprire presto il costo salato della furbizia e di ricevere a domicilio, come corrispettivo, un pre-conto della finanza magari con qualche zero in più.

Da: ilfattoquotidiano.it

Gaetano Manfredi: “Io, ministro invisibile che fa le cose giuste, ma non sa raccontarle”

Foto Roberto Monaldo / LaPresse
18-02-2020 Roma

La distanza che separa l’apparenza dalla realtà coincide esattamente con la figura di Gaetano Manfredi, ingegnere, docente di tecnica delle costruzioni, e per ventura anche ministro dell’università e della ricerca. Qualcuno di voi lo conosce? Ricorda il suo nome?

Ministro, lei è sotterrato nei piani bassi dei volti noti benchè vanti più opere che parole.

Lo sto capendo solo adesso di questa mia particolare fortuna.

Professor Manfredi, se non appare non esiste.

Finora ritenevo che fosse opportuno comunicare con sobrietà le decisioni prese, i provvedimenti approvati. Invece prendo atto che la leva dell’annuncio è formidabile.

Non è social, non è televisivo, non è polemico, non è un politico. Dunque non esiste.

La mia parte la sto facendo. Abbiamo già immesso in organico 1600 nuovi ricercatori. È una piccola ma bella brova di concretezza.

Tutti oggi parlano – anche ossessivamente – di istruzione. I nuovi saperi, l’età della conoscenza digitale sono i pilastri del Recovery fund. Lei sarebbe il più titolato a intervenire, però resta silente.

Così appare, ma così non è

Ministro, sa che esiste solo ciò che appare? Mica è necessario che la realtà lo dimostri?

Ecco, la mia difficoltà è quella che lei mi mostra. Penso sempre di evitare le suggestioni.

Ci sono altri provvedimenti che portano la sua firma?

Ai 1600 ricercatori già assunti se ne aggiungeranno dal 1 gennaio prossimo altri 4400. Non mi sembra un dato secondario, visti i tempi. La ricerca riprende il suo cammino.Continue reading

Il ritorno a scuola convivendo col virus: intanto diciamo grazie a maestri e prof

Gli eroi che amiamo di più sono quelli che lo diventano per caso. Abbiamo chiamato i medici e gli infermieri eroi perché hanno dovuto sostenere una prova indicibile, inimmaginabile. Nessuno sapeva, e nessuno pensava che sarebbe stato possibile quel che è successo tra marzo e aprile di quest’anno.

La statistica, che è una scienza esatta, ci dice che la riapertura delle scuole provocherà focolai di contagio. La ragione ci dice che chiudere in una stanza per più ore venti o trenta persone è di per sé un rischio altissimo perché sfida un virus che si trasmette per via aerea, dunque gli concede armi che non dovrebbe ottenere.

La ragione ci dice però anche che non possiamo tenere ancora sbarrate le scuole, perché questo sarebbe un costo ancora più alto in termini sociali ed educativi. Ha superato il miliardo nel mondo il numero degli studenti lasciati a casa. Non si può andare oltre.

Dovremmo dunque essere più solidali con il popolo della scuola, specialmente con gli insegnanti che dovranno superare una prova anch’essa non richiesta e assumere dei rischi alti. A marzo nessuno sapeva. E sono stati eroi. Oggi che sappiamo quasi tutto sugli effetti anche letali del virus, dobbiamo immaginare che purtroppo ci sarà chi si ammalerà anche gravemente. E ancor più dei ragazzi, la cui età li pone parzialmente al riparo dai rischi più gravi, saranno i loro docenti a subirne le conseguenze più severe.

Non è facile trasformare un luogo di studio, anche di gioco, in un’area di massima sicurezza. Abbiamo riconosciuto ai medici e agli infermieri la forza del coraggio e la dedizione, tralasciando ogni considerazione su qualche collega che ha disertato la corsia. Ecco, faremmo una cosa buona e giusta se usassimo lo stesso metro di giudizio anche con i professori.

E intanto gli dicessimo grazie.

Da: ilfattoquotidiano.it

“Propongo, indago, poi sondo gli italiani. Sono il grillo parlante”

La direttrice di Euromedia Research Alessandra Ghisleri

Siamo sondati, anche profilati, spesso e impropriamente “marchettizzati” in una incessante attività di analisi cognitiva.

Alessandra Ghisleri è un po’ la regina dei sondaggisti. Con il suo sguardo affilato è medico impietoso dei vari pazienti che accorrono al suo capezzale per farsi curare.

“Io sono il grillo parlante”.

Chissà quanto dolore darà.

Ho incontrato personalità che avevano in animo un cambio a volte anche radicale di linea politica.

Erano così stressati e perdenti che volevano capovolgere tattica e strategia?

Avevano bisogno di capire quanto avrebbero guadagnato e quanto invece perduto da un nuovo posizionamento.

Lei ha auscultato il paziente in debito d’ossigeno, ha riposto lo stetoscopio in tasca e poi ha fatto diagnosi e terapia.

Ho spiegato i rischi, quando valutavo – alla luce delle nostre ricerche – che il cambio potesse nuocere. In altri casi ho illustrato modalità espressive, riposizionamenti tattici e tematici che avrebbero potuto agevolare il proposito.

Ha indicato la strada.

Capire cosa comunicare e come farlo è essenziale. Conoscere il tuo universo di riferimento è la precondizione.Continue reading

Il Covid e l’ossessiva richiesta di misurarci anche la febbre. Ma scarseggiano i governanti magici a cui chiedere subito il mondo nuovo

Di fronte all’evento più imprevedibile e incerto che il nostro mondo ricordi, questo virus misterioso e subdolo, dagli effetti letali, non facciamo altro che chiedere regole certe, indiscutibili. Chiediamo allo Stato, del quale abbiamo scarsissima stima, di adempiere in nostra vece alle incombenze anche elementari di vita quotidiana. Misurarci la febbre, per esempio. Misurarla ai nostri bambini, per esempio.

È in corso un transfert ossessivo delle nostre paure, una ribellione sorda al rischio, che ogni giorno purtroppo corriamo e dal quale nessuno può difenderci oltre una certa soglia.

La malattia di Silvio Berlusconi, che pure aveva imposto a sé stesso e ai suoi amici regole ferree per tenerla lontana, dà la misura della fragilità della nostra vita.

Basterebbe, ora che anche l’altra sua figlia Marina, dopo Eleonora e Luigi, è risultata positiva al Covid, che ci convincessimo che come non ci sono pillole e ospedali della salvezza eterna, così scarseggiano anche governanti magici ai quali chiedere, in quattro e quattr’otto, il mondo nuovo.

Da: ilfattoquotidiano.it

A Chiaromonte mister Banfield non ha capito nulla

Su questo sperone di roccia che domina la valle del Sinni, prima che la Lucania divenga Calabria e la catena del Pollino unisca i corpi e i dialetti, da più di sessant’anni si patisce lo stigma dell’immoralità. Anzi, della “amoralità”. Da quando cioè, e si era nel bel mezzo degli anni cinquanta, un sociologo americano, Edward Banfield, approdò a Chiaromonte, grazie alle indicazioni della moglie, l’italiana Laura Fasano, e di alcuni amici, tra cui il meridionalista Manlio Rossi Doria. Venne per studiare l’Italia del sud, affamata dalla guerra. L’Italia contadina, nascosta e con la schiena piegata, lontana da Roma e lontanissima da Milano. L’Italia perduta. Tre anni di soggiorno, “ma senza mai imparare la lingua. Parlavamo, la moglie traduceva, lui appuntava”, ricorda Giovanni Percoco, il maestro del paese, la memoria colta e lucida, anche oggi che gli ottant’anni sono stati raggiunti, della comunità, “ma secondo me ci capiva poco”.

Quando Banfield tornò in America l’università dell’Illinois gli stampò la ricerca che poi venne tradotta in Italia: “Le basi morali di una società arretrata”. E nella ricerca quel concetto, appunto lo stigma, col quale bollò Chiaromonte, che nel libro chiamò Montegrano: “Il paese del familismo amorale”.

Non c’è senso comune del bene comune, non c’è responsabilità collettiva, ma solo interesse privato, solo custodia degli averi della propria famiglia. Anzi della supremazia della Famiglia. Oltre lo Stato, prima ancora dello Stato. Ogni regola piegata a questo principio, ogni azione a questa convenienza. Nessuna moralità pubblica, ma solo virtù privatissime e svergognate.Continue reading

Plexiglas, discoteche: “Lobbisti somari e colpe della stampa”

ANSA/Andrea Fasani

 

 

Molti soldi già spesi, moltissimi altri da spendere. E dunque: piatto ricco mi ci ficco. La pandemia sta producendo una leva straordinaria di lobbisti che – arruolati in tutta fretta – mostrano però segni inequivoci di competenze ora confuse ora approssimate. La nostra conversazione con Pier Luigi Petrillo, docente di teoria e tecniche del Lobbying alla Luiss, prende in esame l’esito sfortunato di alcune azioni di dirottamento della spesa pubblica. Vengono anche rilevate però soluzioni vincenti di pressione.

“Mi faccia dire che la rappresentanza degli interessi diffusi non solo è legittima ma, se condotta con trasparenza, aiuta il decisore politico ad allocare nella giusta misura le risorse finanziarie”.

Professore, qui prendiamo in esame i lobbisti che zoppicano. La sua dev’essere una sintetica lezione di recupero.

Il più clamoroso tonfo mi sembra possa annoverarlo l’industria del plexiglas.

Fantastico quel cubo di plastica trasparente posizionato sulla spiaggia dove rinchiudere i bagnanti e farli arrostire.

Non è da meno il cubo scolastico. Plastica a scuola più che libri.

Idee fuori dalla realtà accreditate come plausibili.

Per accreditarle come tali c’era bisogno di una seconda figura di riferimento: il giornalista. Il disegno dell’architetto anonimo che immagina il plexiglas al posto dell’ombrellone viene ospitato, e dunque reso plausibile, dai mezzi di informazione. Le ragioni possono rinvenirsi prevalentemente in una connessione diretta tra lobbismo e giornalismo. Altre volte la battaglia politica o la linea editoriale sviluppa sull’idea eccentrica una campagna d’opinione. Più estrema e sconveniente appare, meglio è per chi la contrasta.

In quel caso si voleva vendere il plexiglas.

Il naufragio è stato causato da un lavoro lobbistico lacunoso che ha proposto soluzioni impraticabili a problemi veri, come il distanziamento in classe e nei luoghi di ritrovo.Continue reading

Al Bocelli negazionista non bastano neanche 35mila morti

 

Forse è l’enormità del numero dei morti, trentacinquemila solo in Italia, a farci pensare che rifiutare il mistero di questo virus misterioso sia un modo sapiente di governarlo, gestirne gli effetti anche psicologici, tenere a bada la paura e anzi allontanarla da noi. Forse è anche l’impellenza della politica di trovare un ruolo per chi è all’opposizione a scegliere, come terreno di scontro, il virus. Cosicché, ora che si avvicinano le elezioni, si potrà stare di qua o di là. Chi col governo per dire che è pericoloso e mortale e chi con l’opposizione per statuire il contrario? Dovevamo giungere a questo punto, anzi a questo livello e sentire da un uomo fortunato e di talento indiscusso come Andrea Bocelli che nemmeno uno dei suoi migliaia di amici in tutto il mondo è finito in terapia intensiva. E dunque: il virus è davvero così pericoloso?
Bocelli queste sue incredibili affermazioni le ha pronunciate nel palazzo del Senato, l’istituzione che in questi mesi ha ratificato, deliberato, commentato, approvato decine di misure di limitazione della libertà personale come estrema tutela della salute pubblica. La discussione sul diritto supremo alla libertà personale o la legittimità della sua compressione quando in gioco è l’integrità del nostro corpo, non poteva finire peggio. Con Vittorio Sgarbi alla presidenza del convegno dei “negazionisti” a redigere la Costituente del no, e Matteo Salvini in platea a rifiutare di indossare la mascherina come prova principe che egli – non a caso – è il capo dell’opposizione parlamentare.

I trentacinquemila morti non li conosciamo più. Sono seppelliti ormai. E non ricordiamo neanche la prova empirica, visiva, fattuale, delle conseguenze di chi si è avventurato a impartire lezioni di disubbidienza civile. Boris Johnson, il primo ministro britannico, è stato a un passo dalla morte, Bolsonaro, il presidente demagogo del Brasile, si è infettato e si è rivolto alla scienza, contro la quale faceva singolare opposizione, per non finire nel luogo, appunto il reparto di terapia intensiva, del suo collega inglese. Non ci basta la scienza, che pure ha difficoltà a illustrare i confini di questa malattia, non basta la realtà dolorosa ed estrema di cui siamo stati spettatori, non basta il principio di precauzione al quale dovremmo far ricorso. Non ci basta più nulla. Siamo semplicemente stufi di usare la ragione.

Da: ilfattoquotidiano.it

Benedette le condizionalità sul Recovery Fund: adesso dimostriamo di saper spendere più di 200 miliardi in tre anni

 

Benedette le condizioni, io dico. Perché i soldi arriveranno, e saranno tanti. Più di 200 miliardi da spendere entro il 2023. Una enorme massa da investire in tre anni soltanto. È questo tempo che dovrebbe metterci ansia, impaurirci davvero. Perché in tre anni spesso non riusciamo nemmeno ad appaltare un’opera, forse neanche a rendere esecutivo un progetto. È la dimensione del tempo, il valore che diamo al tempo, e anche la responsabilità nel renderlo efficiente la più grande ipoteca alla riuscita del Recovery Fund, lo strumento europeo di emergenza per resistere alla crisi e superarla.

La mestizia o la preoccupazione con la quale passiamo in rassegna le cosiddette “condizionalità”, il controllo appunto di come spendiamo i quattrini, è assai singolare. Mica ce li danno per fare tutti una grande festa? Magari una gita a Formentera? E il fatto che una parte di essi (81 miliardi di euro) siano a fondo perduto impone ai nostri soci di capire come la solidarietà europea verrà impegnata. Obbliga noi nei loro confronti, come ciascuno dei Paesi nei confronti della comunità.

Benedette le condizioni, perciò. Non dovremmo preoccuparci di spendere i soldi secondo gli impegni e gli obiettivi indicati a Bruxelles. Non dovremmo avere nessun timore da un controllo, se esso naturalmente non divenga ostruttivo.

Il terrore mio è che gli italiani debbano essere impauriti da se stessi. Dalla cronica incapacità di onorare gli impegni, di rispettare i tempi, di abbandonarsi alle furbizie (o peggio alle bustarelle) che tanto peso hanno avuto nella dimensione civile della nostra storia contemporanea.

Il problema siamo noi. E la soluzione al problema siamo sempre noi.

Meglio che ce lo diciamo adesso. E meglio, molto meglio, faremmo a non trovar scuse domani.

 

Da: ilfattoquotidiano.it