I meteorologi, gli scienziati del clima, fisici e astrofisici, sono sull’orlo di una crisi di nervi. “Non c’è allarme che tenga, sapere che convinca, disastro che allerti. La gente se ne sbatte di noi, delle nostre previsioni, della cura con la quale dimostriamo l’ineluttabile, il mostro che ci mangerà. La questione è divenuta così seria che abbiamo chiesto aiuto agli psicologi, qui siamo di fronte a un enorme fenomeno di dissonanza cognitiva”.
Luca Mercalli conduce, insieme alla brigata dei climatologi, campagne quotidiane di illustrazione dei rischi. Lui illustra e noi sbadigliamo.
È così. Ora stiamo friggendo sotto il sole, abbiamo 38 gradi sulla testa e la temperatura si innalzerà ancora. Tutto chiaro e previsto, e quando dico previsto voglio specificare che anche il dettaglio minimo del più grande tema del riscaldamento globale era stato ampiamente annunciato. Ma sembra che non sia servito a niente.
Ci prepariamo per i quaranta gradi.
Così sarà, e poi quarantadue.
Noi umani siamo divenuti impermeabili, incoscienti al punto estremo.
Mi chiedo come sia possibile. E infatti non avendo una risposta credibile, ragionevole, abbiamo chiesto aiuto agli psicologi. Indagheranno sull’inconscio collettivo.
Magari c’entra qualcosa la cultura capitalistica, la teoria dell’accumulo infinito?
Ci sta, ma non basta a spiegare perché gli elementi naturali della nostra vita, il fondamento della nostra esistenza, siano così disprezzati.
Si stupisce? Ma l’America ha eletto Trump.
Mi stupisco, sì. Perché l’uomo per 200 mila anni ha fatto il cacciatore. Uccideva l’antilope e magari non gli serviva, pensava: vabbè qualcun altro l’avrebbe uccisa, sarebbe morta uguale. Per ottomila anni ha fatto l’agricoltore, e soltanto da 200 ha avuto abilità industriali di massa. Il problema è che negli ultimi 200 anni ha fatto fuori il mondo.
D’inverno ci allaghiamo, d’estate moriamo di sete.
In città moriamo di smog. Moriamo per davvero.
Sembra un teatro, invece. Voi che indossate i panni dei profeti di sventura e noi che osserviamo muti e un po’ distratti.
La mia disperazione è tutta questa conoscenza che sprechiamo, tutto questo sapere che buttiamo al vento. Come non capire che se allaghiamo di cemento la terra, poi l’acqua ci infligge la pena? Non è ipotesi di scuola, è realtà. Ma noi cementifichiamo alla carlona.
Non vogliamo vedere.
Abbiamo un problema psicologico, altro non saprei dire. Perché non è possibile considerare ragionevole questa corsa a saturare la fonte della nostra vita. Stiamo avvelenando l’acqua, riducendo la sua portata, annientando la linfa vitale dell’esistenza. Diamine, accorgitene che hai un cancro e ti sta uccidendo.
Siamo affaccendati e abbiamo mille pensieri.
Siete veramente degli stronzi.Continue reading
Altro che Nord e Sud, la questione adesso è come la montagna sopravviverà rispetto alla forza trascinatrice del mare, come l’Italia non continuerà ad ammassarsi, a mo’ di barcone tra le onde, sui bordi, lungo la costa, lasciando il centro, il suo cuore, senza anima. “Il senso dei luoghi” lo abbiamo conosciuto e imparato leggendo Vito Teti, antropologo calabrese, studioso di Corrado Alvaro ma soprattutto teorico della “restanza”, della necessità culturale e ideale di non abbandonare alle capre i nostri paesi, di avere cura della memoria e soprattutto difesa della nostra identità.
Alta o bassa, profonda o acuta. Squillante, suadente. Ugola d’oro, voce d’incanto. È madre natura a concedere i suoi favori ma poi la fatica, la passione (e la fortuna) selezionano e fanno il resto. Rossella Lampo è corista della Scala, la più prestigiosa ribalta della lirica italiana. Da 25 anni non fa che cantare, ogni sera in ogni luogo d’Italia e del mondo. Racconta qui la sua vita che scorre insieme alla sua voce. “La voce è da custodire con la gelosia di una innamorata persa. Facciamo prevenzione, per esempio adesso sono appena uscita da una seduta di inalazioni. La teniamo difesa come una mamma accudisce il suo figlioletto. La voce è tutto. Se manca, s’incrina, si appiattisce o si consuma è la fine”.
Bravi, bravissimi a scuola, parecchi master alle spalle e ottime carriere in corso. Anche i cervelloni si buttano in politica, ed è una novità preziosa perché scardina il principio che la passione per il Palazzo sia questione da spicciafaccende o al massimo tenimento ereditario dei cosiddetti figli di…
Letizia Dimartino aveva 57 anni quando ha incontrato Facebook. Ne ha fatti passare quattro tenendolo a distanza di sicurezza. Poi si è decisa. “Ho preso coraggio, nella mia vita ho amato solo la poesia. Mi son detta proviamo con la prosa”. Oggi ha 64 anni, vive a Ragusa ed è divenuta la narratrice di Facebook. “Sono ammalata, obbligata alla sedia, allo sguardo di una stanza, di un punto di luce, di un angolo di una finestra. E racconto una veduta, un ricordo, un oggetto, una piuma. I miei amici online mi aspettano. Così ogni giorno. Appena posso scrivo. Poche righe per tenerci compagnia”. È divenuta la narratrice istantanea, la scrittrice dell’ora e qui, consolatrice di gatti e finestre, aiutante di campo dell’anima dei navigatori di Internet.
La Reggia di Caserta è il punto di approdo degli ultimi, per molti è un regalo agli occhi, una piccola vacanza verso il bello. Alla Reggia si va specialmente nei giorni di festa (quando non si paga) ed è un’avventura familiare, defezione collettiva – mamme, figlie, zii, nonni anche acciaccati – e fuga dall’escrescenza urbana della cintura napoletana.
È il dito che compie il miracolo o – chissà – lo sputo, magari il pugno. Se l’arte per dispiegarsi ha bisogno del corpo allora si giunge al punto in cui è arrivato Flavio Campagna, in arte Kampah (FCK). Flavio è artista multimediale: matita, video, computer. E anche, per non farsi mancare nulla, un dito della mano, un pugno come timbro, un’unghia come sfregio.
Domani è Pasqua, è la Resurrezione. Domenica scorsa ci siamo scambiati il ramoscello d’ulivo: il segno della pace. Due giorni fa – solo per ricordare l’ultimo atto della più sanguinosa stagione bellica che interseca quella drammatica della migrazione secolare – Donald Trump ha ordinato lo sganciamento della più devastante bomba non atomica, la MOAB. E ieri Marine Le Pen ha ingiunto al Papa di non “immischiarsi”, di non aprire bocca sul tema dell’immigrazione.
Francesco Giavazzi è il contapassi di ogni governo in carica. Per mestiere insegna, è un economista di valore e ha cattedra alla Bocconi. Per piacere, scrive. Libri e soprattutto gli editoriali che da anni riversa alla tipografia di via Solferino per la prima pagina del Corriere della Sera. Teorico del mercato, è un combattente della prima ora contro lo Stato predone. Liberista puntiglioso, non alza mai la bandiera bianca della sconfitta. Le sue idee sono chiare, i suoi nemici pure.