Giuliano Ferrara e la prevalenza dei cretini: il caso dell’intelligente Luciano D’Alfonso

Giuliano Ferrara anche oggi ci ricorda che a prevalere sono sempre i cretini. Lui, che è intelligente, conta le sconfitte dei suoi simili. Il primo tra tutti è Matteo Renzi. È così intelligente ma così intelligente, e moderno ma così moderno, e riformista ma così riformista. È così tanto avanti, troppo avanti, da lasciare il popolo, in prevalenza piuttosto cretino, in debito d’ossigeno.

Nell’ipotesi esposta (pochi intelligenti devono confrontarsi vedersi sconfitti dai cretini, che sono molti di più) si trova certamente anche Luciano D’Alfonso, che non solo è renziano, quindi intelligente per partito preso, ma anche governatore d’Abruzzosenatore. Ha spiegato che temporaneamente cumula le due cariche, per legge vietate, nel solco tracciato da Mazzini e Garibaldi.

Chiunque di voi converrà che i due eroi avevano un’intelligenza fuori dal comune. Il problema, ritornando a Ferrara, è che i cretini d’Abruzzo, molto più numerosi, vorrebbero che D’Alfonso rinunciasse all’una o all’altra poltrona, avesse la legge sopra di sé e non la mettesse, nell’attesa, sotto il suo culo.

da: ilfattoquotidiano.it

Salvini, il Matteo miracoloso con la ruspa per cambiare il mondo (e la legge elettorale)

Se il primo Matteo usa la lingua come fosse un revolver, e ogni volta che parla distrugge, e gli italiani sono stufi oramai di ascoltarlo, questo secondo Matteo è capace di spiegare che con la ruspa si costruisce il nuovo mondo.

Ieri il miracolo si è ripetuto: Matteo vuole il pre-incarico. Non un incarico vero e proprio, ma un’ultima finzione. E invece di sembrare un Arnaldo Forlani con la barba, è parso il giusto che aggiusta finalmente.

Salvini è un fuoco che arde e qualunque cosa dica brucia di verità: restituire per esempio alla loro Africa e a blocchi di centomila i viandanti oziosi, capricciosi e magari spacciatori. Ai governanti di ieri e di oggi pare impossibile. Invece lui la fa semplice, e a noi pare venuto il momento di farla finita con i cacadubbi.

Il nuovo Matteo vuole far finalmente rispettare il codice penale, e a noi sta bene. E anche a Silvio Berlusconi, che pure il codice lo patisce continuamente.

Lui sostiene i poveri e basta con i miliardari, eccetto Silvio.

E basta con la legge Fornero che Forza Italia ha approvato.

E basta con il Jobs act che il governo del Nazareno sfornò.

Tra qualche settimana si dovrà mettere mano a questa immonda legge elettorale, e Matteo – che fu decisivo per farla passare – sarà in prima linea a togliere di mezzo questo ultimo scempio. Se necessario – vedrete – anche con la ruspa.

da: ilfattoquotidiano.it

La capsula del tempo per i leader. E il premio “cuore d’oro” per Martina

Come una capsula del tempo tutto è ritornato dove l’avevamo lasciato.  Matteo Renzi è lì che illustra in tv le sue riforme costituzionaliDi Maio pensa a come fargliela pagare, Silvio Berlusconi a come tenersi a galla, Matteo Salvini a come comandare. Due sole ma rispettabili novità dopo il voto del 4 marzo. Elisa Isoardi si è aggiudicata la conduzione de La prova del cuoco, e il Nord padano è in festa per il giusto riconoscimento alla fermezza con cui la Lega ha condotto la battaglia “Prima Elisa e poi tutti gli altri”. Maurizio Martina conquista invece il premio “Cuore d’oro”: ha accettato di far finta di essere il segretario reggente del Pd sapendo che era uno scherzetto per vedere che effetto faceva.

da: ilfattoquotidiano.it

Elisa Isoardi condurrà la ‘Prova del cuoco’: è la vendetta del sistema che l’ha perfidamente strappata al ferro da stiro

Ha dato prova di saper stirare. E, in tutte queste settimane, di saper stare nell’ombra. Quella cinquantina di scatti che sono scappati dalle mani del suo compagno e sono finiti su Instagram e sui rotocalchi rappresentano il frutto della distrazione più che della esibizione. Una coppia normale, come tante, con mille cose da sbrigare. E i pochi istanti di intima conversazione, lui in poltrona e lei in décolleté davanti al ferro da stiro, lui in camicia e lei pure, lui al mare e lei di lato, lui avanti e lei dietro, è il pedaggio che lei paga a Matteo e alla sua ossessione di fotografare ogni cosa che gli si muove intorno: una camicia, una ruspa, un immigrato o anche lei, Elisa batticuore.

Nonostante tutto Elisa Isoardi sta resistendo nell’ombra anche se gli sfregi alla sua decisione non si contano. L’ultimo quello della Rai di trascinarla sotto il cono di luce  della Prova del cuoco, trasmissione alla quale Antonella Clerici ha donato 18 anni di fila. Elisa dovrà condurre, lei che vorrebbe essere condotta, e dovrà stare alla luce, lei che è nata nell’ombra e lì vorrebbe essere lasciata. Sembra una vendetta, una ritorsione, l’ultima provocazione del sistema, del potere pubblico contro Matteo Salvini, il leader contro, colui che sta col popolo, tra il popolo sovrano. Matteo non avrà più le camicie stirate dall’adorata Elisa, impegnata con i bucatini all’amatriciana. Fortuna che gli restano le felpe.

da: ilfattoquotidiano.it

Spagna, l’astro nascente di Rajoy si dimette per la crema antirughe rubata. E se avesse trafugato soldi alle Cayman?

C’è qualcosa di strabiliante e nient’affatto consolatorio nella storia di Cristina Cifuentes, 53 anni, fino a qualche settimana fa astro nascente del partito di Mariano Rajoy, il premier spagnolo e oggi destinata alle dimissioni da ogni incarico e all’oblio perpetuo. La signora è stata pizzicata in un supermercato con due vasetti di crema antirughe in borsa. Penosa la foto nella quale si vede l’influente politica tirar via i due vasetti e scusarsi per aver “dimenticato” di pagare alla cassa. Ogni taccheggio porta con sé un po’ di pena, ma c’è un di più che questo evento obbliga a misurare.

Si può rubare una mela, un milione di euro o anche di più. Siamo certi che la Cifuentes, che sul groppone ha pure una falsificazione della sua laurea, paga perché i due vasetti antirughe sgraffignati al supermarket hanno una potenza visiva imparagonabile a ogni altra e più grave forma di delinquenza. La vergogna le è cascata addosso in modo definitivo solo grazie a due vasetti di crema. La sua reputazione è azzerata, la sua carriera pure. La classifica del disonore per il potere è infatti inversamente proporzionale alla suggestione pubblica che quel comportamento provoca. Avesse trafugato montagne d’euro su un conto delle Cayman, come fanno i ricchi e i potenti, figurarsi se c’era da scandalizzarsi. Ma qui si tratta di due vasetti di crema antirughe, diamine!

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Roma, il murale col boss dello spaccio che nessuno rimuove

“Serafino, sei il nostro angelo”. La gigantografia del boss Serafino Cordaro, assassinato nel 2013, capo del clan monopolista dello spaccio di droga a Tor Bella Monaca campeggia su un muro di un palazzo del quartiere, un caseggiato per giunta di proprietà comunale.

Da cinque anni è lì. Tutti lo sanno, nessuno lo toglie. Ventiquattro ore invece ha campato il murale dello street artist Tvboy che aveva ritratto Di Maio e Salvini in un bacio appassionato. Solerti sbianchettatori comunali furono inviati a ripulire lo scandaloso e imbarazzante bacio disegnato appena dietro Montecitorio.

Si potrebbe dire, e magari è effettivamente così, che quando il potere costituito è preso di mira e sbeffeggiato, si difende e risponde in un battibaleno.

Io invece credo che la disparità di trattamento abbia una spiegazione ancora più profonda e grave: il quadro che inneggia al capo degli spacciatori è dentro una comunità di invisibili, è ai margini della Capitale, nelle larghe periferie che il potere proprio non vede, di cui non s’accorge.

Desta scandalo o polemica, si dibatte e si ragiona solo su ciò che sappiamo, che conosciamo. Che appare, quindi che è. E le notizie che selezioniamo, i fatti di cui ci occupiamo sempre più hanno poco a che fare con gli interessi dei più, le gioie o le pene di chi sta lontano dall’obiettivo.

L’Italia non è divisa in due dalla politica ma dalla vista di chi la abita. La società che appare, rimpicciolita quanto si voglia, e quella invisibile, sempre più larga, ma che fa fatica a esistere.

Il boss ha la sua gigantografia, ma sta nel suo territorio, e chi vive là e magari non spaccia, non ruba, sceglie la legalità, non ha altra possibilità che delegare la sua vita, la tutela dei propri diritti e anche delle sue speranze a chi sta di qua, che nemmeno si accorge di lui, l’invisibile.

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Di Maio e Salvini, come i pifferi di montagna. Andarono in Molise per suonare e furono suonati

Ecco finalmente il Molise. Lo aspettavano, molto oltre il senso della misura, sia Salvini che Di Maio. Avrebbe dovuto regolare i rapporti di forza, per l’uno nel centrodestra e per l’altro nel Parlamento. Il voto regala ai due vincitori delle politiche due sonori ceffoni. Il centrodestra vince, ma deve ringraziare Aldo Patriciello, l’imprenditore della sanità titolare di un partito transumante che ogni cinque anni sceglie con chi transitare al traguardo.

Salvini che voleva fare le scarpe a Berlusconi, arriva terzo senza un voto in più. Amen. E Luigi Di Maio prova sulla sua pelle cosa significhi mettere giacca e cravatta al movimento e imbarcarlo in trattative infinite, fargli poggiare i piedi nella palude della prima Repubblica.

Cinquestelle dovevano vincere, potevano avere il primo governatore regionale e invece eccoli di nuovo al punto di partenza: primo partito ma arretrato di molti punti rispetto alle politiche. Opposizione era e opposizione sarà.

I Cinquestelle perdono soprattutto perchè l’astensione è giunta a un livello record. Metà degli elettori ha rinunciato a votare. In questa moltitudine tanti sono quelli storici del centrosinistra che hanno scelto, a differenza del 4 marzo, di non scegliere, come ultima chance, il Movimento.

Se Di Maio voleva provare i costi della sua spregiudicata tesi dei due forni, l’idea che Lega e Pd siano uguali, che il governo sia una forma neutra sulla quale adagiare ogni possibile alleanza, eccolo accontentato.

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Luigi Di Maio e Matteo Salvini, i nuovi ricicloni

Due giorni fa Matteo Salvini si fa scattare una foto a Santa Croce di Magliano (Molise) con tre donne rom. Due mesi fa l’intenzione (testuale) era di “asfaltarle”, e la ruspa è stata l’immagine più performante per far capire di che pasta fosse fatta la Lega.

Parimenti Luigi Di Maio, impegnato nella promozione del “governo di cambiamento”, ammonisce Salvini a non tirare troppo la corda, “altrimenti chiudo un forno”. Nel neo linguaggio democristiano a cinquestelle il forno, che un tempo era la deprecabile attività camaleontica dei partiti (ci si allea con quello o con il suo opposto) diviene insperata virtù e fianco plusvalore.

Colpisce di questi due movimenti anti sistema la leggerezza del cambio di scena, la sicurezza con cui tolgono la tuta da lavoro e indossano il frac di gala, la disinvoltura del sorriso acquiescente.

Di Maio&Salvini, i nuovi ricicloni.

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Se un algoritmo voterà al nostro posto

Che sorpresa è la vita! Di giorno in giorno, di mese in mese, aumenta la capacità di decrittare, grazie a internet, i nostri gusti, le nostre preferenze, le nostre attività. Ogni nostro movimento è geolocalizzato e non abbiamo scampo: ovunque andiamo c’è sempre Google a tenerci compagnia e a chiederci un parere, una foto, un urrà del ristorante, del tempio, della strada che abbiamo appena percorso.
Grazie all’algoritmo, questo virtuoso espediente statistico-matematico, ogni nostro passo è catalogato, consegnato alla valutazione probabilistica dei nostri interessi e quelli dei nostri amici. Un ragazzo austriaco, Robert Gryn, gestisce il mucchio di dollari che gli investitori pubblicitari gli consegnano per carpire clienti su Facebook, profilando ciascuno di noi. Noi scriviamo: “Che bello è il mare” e sulla nostra pagina esce un resort o un’osteria, oppure un carretto siciliano. A seconda di chi siamo, dei soldi che abbiamo, dei gusti, del nostro stile di vita.
Di questo passo, tra non molto, anche i partiti e movimenti politici sapranno – magari persino prima di noi – chi abbiamo intenzione di votare. E sulla nostra pagina, accanto al post sul viaggio in Australia (spot probabilistico accluso: “Quantas ti porta più veloce a Sydney”) ne comparirà un altro e un altro ancora. E infine l’ultimo: “Io, per esempio, voto Lega e tu?”.
Di pari passi si accerterà che l’agoritmo, essendo scientificamente più attendibile, ridurrà le evenienze impreviste di una società moderna. Serviranno ancora le elezioni se i nostri gusti, i nostri progetti, i nostri ideali, il nostro lifestyle sono già stati abbondantemente decrittati, scomputati, profilati e infine pubblicati?
La democrazia sarà pure bella ma spesso è rompicoglioni. Grazie all’algoritmo anche votare diverrà una inutile perdita di tempo di cui si farà volentieri a meno. Sarà tutto già scritto, conosciuto, profilato e pubblicato e perciò sempre ci sarà un vinto e un vincitore. E noi avremo già scelto, persino a nostra insaputa che è anche più bello.

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Roma, quanto costa una lacrima? Arriva la tassa sul commiato

Quanto vale una lacrima? Ma, soprattutto: quanto costa piangere? Il comune di Roma ha aggiornato il regolamento cimiteriale aggiungendovi una clausola. Il commiato dal defunto, scrive Repubblica, è gratuito se effettuato nel giorno in cui la bara viene consegnata al suo luogo. Nelle giornate successive all’entrata della salma, nel caso si volesse ripetere il saluto, bisogna versare 202 euro. Tassa pro lacrima.

Piangi quanto vuoi, ma prima passa alla cassa.

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