Il pulsante rosso, il pronto soccorso della verità

Il pulsante rosso si accende appena una bufala, altrimenti definita fake news, viene segnalata alla polizia postale. “E’ un servizio pubblico” ha commentato ieri il ministro dell’Interno Marco Minniti annunciando l’apertura di questa hot line. Nessuna attività censoria – ha assicurato – ma soltanto la determinazione dello Stato a ripulire il web dalle notizie fraudolente, chiaramente manipolatrici, che storcono la realtà al punto da trasformarla procurando un danno enorme al valore della conoscenza integra da manomissioni.
Questo pronto soccorso della Verità, al quale possiamo rivolgerci in caso di bisogno, ci tranquillizza perché apre frontiere inesplorate. L’orizzonte avanza non solo alle bufale di primo livello, chiamiamole di tipo A: quelle che attribuiscono per esempio al fratello della Boldrini un ingaggio di 450mila euro l’anno nel ruolo di posteggiatore di Montecitorio. Sono le più elementari, sono grossier, le più facili da individuare. Esistono però anche le bufale di tipo B, quelle che, manipolando una frase di una personalità, estraggono da essa solo alcune parole che mutano di senso il concetto; e poi quelle di tipo C, le promesse, le garanzie, gli avvertimenti, gli impegni presi.
Non è mai tardi per il pulsante rosso ma, se fosse esistito anche qualche anno fa, lo avremmo potuto utilizzare con senso civico. Quando per esempio Silvio Berlusconi annunciò il Ponte sullo Stretto io avrei subito cliccato e chiesto di innescare il pulsante rosso: questa è una fake news, avvertendo tutti gli italiani del pericolo. Quando il governo Renzi approvò il job act per favorire il lavoro avrei ripetuto il clic: attenti che questa legge riduce i diritti e quindi riduce il valore del nostro lavoro, rendendolo così gracile da assomigliare a una servitù. Quando Luigi Di Maio annunciò la candidatura a premier ugualmente avrei provveduto a dare l’allarme col pulsante rosso: attenzione che l’ha sparata grossa.
Il problema però, ora che ci penso, è che altri cittadini magari lontani dalle mie idee avrebbero chiesto il pronto soccorso della Verità ufficiale per altre dichiarazioni o fatti o impegni presi che io invece le avevo ritenute congrue, attendibili, giuste, possibili.
Questo pronto soccorso Verità, attivo 24 ore su 24, non sarà infatti mai a riposo. Ciascuno avrà la sua grande bugia da denunciare. E vivremo tutti, malgrado l’auspicio, ancora di più nell’imbroglio quotidiano.

da: ilfattoquotidiano.it

Sergio Mattarella, lo smemorato di Collegno

Perché il presidente della Repubblica ci chiede di andare a votare? Perché ci ricorda che è un nostro dovere civico, che la democrazia senza la partecipazione è come un bimbo senza latte: rattrappisce e poi muore. E lui ha ragione. Ma prima di indicarci la strada della virtù avrebbe dovuto indicare al Parlamento la strada della ragione. Avrebbe dovuto scrivere a ciascun deputato e senatore una letterina: caro legislatore, ricorda di fare una legge elettorale che serva a scegliere e non a confondere. Che dia un governo, non un papocchio. Che premi i migliori non  inviti i peggiori ad ammucchiarsi pur di fare massa e averla ancora vinta.

Invece il Parlamento ha approvato una legge che convinca il maggior numero di cittadini della loro inutilità: la loro scheda non conta. Una legge che non solo non fa vincere nessuno ma convoca i perdenti sul barcone del governo, a prescindere da qualunque merito, idea, proposta, reputazione.

E’ un diritto votare; è un dovere scegliere. Se però la mia scelta è inibita nei fatti, il mio diritto si infragilisce e comincia a perdere peso come un bambino lasciato senza latte. E la democrazia si rattrappisce. Proprio come ci ricorda, fingendo però di essere anch’egli un po’ smemorato, il presidente della Repubblica.

da: ilfattoquotidiano.it

Vuoi essere eletto? Chiama il dj Francesco

Bisogna avere talento. Possedere la stoffa per migliorarsi sempre e chiedere alla vita ancora di più, ancora di più. E rendere il nostro lavoro sorprendente, spettacolare, unico. Che dire, per esempio, del dj Francesco? Il suo papà Roby Facchinetti ha dato all’Italia i Pooh, che è già una montagna da scalare. Lui, Francesco, invece di perdersi d’animo per la sfiga di avere in casa un mostro sacro – pretendere più di un mostro in casa come intuite è difficile – ha sfidato la fisica, il concetto stesso di gravità e si è impegnato a divenire super mostro. Di capacità, sapienza ed eclettismo. Sa suonare bene come il papà, sa cantare, sa fare il dj, il conduttorein tv, l’imprenditore musicale e sa fare il social manager.

Sa fare quasi tutto al punto che prima di Natale mi aveva detto che per Silvio Berlusconi avrebbe pianificato una campagna digitale coi fiocchi. Mi aveva avvertito: mica lavoro solo per lui? E infatti oggi ho scoperto che dj Francesco è il digital champion di Giorgio Gori, candidato del centrosinistra in Lombardia contro il pupillo pro tempore di Berlusconi, il noto Fontana “razza bianca”. Sicché è chiaro che ci vuole talento per battagliare sui social pro e contro il centrodestra nello stesso giorno. E già lo vedo dj Francesco mandare un tweet Berlusca e dopo un nano secondo lanciare in rete una botta Gori contro il “nano di Arcore” (così purtroppo i detrattori dell’ex Cavaliere lo chiamano). La politica è industria, chi paga meglio avanza. Ma a volte i portafogli felicemente si sommano, i clic si moltiplicano, il fatturato cresce e la virtù decreta: non esiste la realtà, ma solo l’apparenza.

da: ilfattoquotidiano.it

La distrazione di massa

Oggi baby gang. Ieri femminicidio. Due settimane fa le fake news. L’altro anno rapine in villa. L’altro ancora bimbi maltrattati. I media, seguendo un istinto tanto primordiale quanto fraudolento, concentrano la loro attenzione su una questione, generalmente di grande presa popolare, e per un periodo più o meno lungo dispiegano ogni interesse su di essa. Si crea l’effetto occhio di bue: una luce che inquadra una sola scena e poi il buio su tutto il resto.

È un processo selettivo dell’attenzione, naturale o indotta, che banalizza e semplifica la realtà, imponendo con la distrazione di massa un tema, uno solo. Ora è la volta delle baby gang delle periferie napoletane, fenomeno ahimè antico ed effetto di una condizione civile e culturale disastrosa. Tutta la catena di montaggio dell’attenzione si sposta però sotto il Vesuvio, e noi con loro. La politica, che segue lo stesso criterio, mette al centro del suo impegno pro tempore quell’evento. E infatti oggi a Napoli è previsto un vertice straordinario col ministro dell’Interno.

Il tema rimarrà in vita ancora per qualche giorno, fino a che un altro (ancora femminicidio o temporali e slavine, cibo avariatovaccini, no tax?) non ne prenderà il posto. In campagna elettorale va forte la criminalità organizzata, le rapine soprattutto. Tra febbraio e marzo conteremo una rapina al giorno, tra la Lombardia e il Veneto, con quel che seguirà in televisione. L’operazione politica, mediatica e propagandistica è equivalente a quella che in ginecologia si promuove con l’induzione al parto. Tu quale paura vuoi avere? Io ti offro sia la paura che la salvezza da essa. Menù à la carte, ne abbiamo per ogni gusto e per ogni elettore.

da: ilfattoquotidiano.it

Carlo Calenda, nuova Madonna pellegrina

Dove mandiamo oggi Calenda? Nel mondo avvizzito della politica qualcuno che sappia tenersi in piedi da solo e farsi notare nella nebbia fitta delle idee è immediatamente trasformato in ambulanza. Pronto soccorso quotidiano. Da qualche settimana Carlo Calenda, il ministro per le Attività produttive, dà un po’ di luce al buio del Pd. E il suo nome sbuca ovunque sia possibile, per qualunque incarico. Calenda ha fatto un figurone nella crisi dell’Ilva, ha bastonato a meraviglia Michele Emiliano, l’oppositore pugliese di Renzi.

Poi è passato ad assestare due sganascioni a Virginia Raggi, la sindaca grillina. Ottimo. È stato avvistato dalle parti di Emma Bonino, impegnata a trovare una via di fuga e sottrarsi alle norme che le imponevano di raccogliere le firme di cittadini elettori per presentare il suo simbolo. E si dice che Calenda sia stato l’artefice del soccorso Tabacci. Due giorni fa era a Milano per lanciare la candidatura di Giorgio Gori. Per il suo futuro non ha che da scegliere: ministro, o presidente del Consiglio o sindaco di Roma.

Oppure, e a prescindere, qualunque altra necessità: Rai, Lega Calcio, Monopoli di Stato? Lui c’è. Calenda è oggi quel che ieri è stato Raffaele Cantone. Ricordate il presidente dell’Autorità anti corruzione? Portato a braccio ovunque, come una madonna pellegrina. Calenda, che è furbo, ha già avvertito che non si candida. Al massimo può accettare di essere nominato.

da: ilfattoquotidiano.it

Abidal, Messi e quella jena affamata

Quel che ha passato Eric Abidal, ex calciatore del Barcellonache vive grazie a un trapianto di fegato, è il distillato di ferocia di cui lo sport a volte sa dar prova. Abidal ha raccontato che nei giorni della malattia, forse per farsi coraggio, garantì ai suoi compagni di squadra la propria vicinanza.

Lui malato, avrebbe incoraggiato loro, sani di corpo. Un modo per elaborare il lutto del cancro e sentirsi vivo e non vinto, partecipe ai destini del gruppo, passeggero della comitiva di sempre. Lionel Messi, il super campione, l’attaccante splendido e invincibile, gli spiegò che invece avrebbe fatto meglio a risparmiare alla squadra la vista del suo volto stanco ed emaciato per non debilitarli – proprio così sembra abbia detto – nel morale.

Esiste una misura di disumanità più vicina alla ferocia di questa? È l’abisso in cui lo sport si ritrova quando i quattrini trasformano gli uomini in bestie e la loro vita in una condizione così parossistica da indurli a credere che un campione, per essere tale, deve essere crudele e spietato come una jena affamata.

da: ilfattoquotidiano.it

La morte di Paola Manchisi e quei fannulloni di Stato

Quattordici dei suoi trentuno anni Paola li ha trascorsi segregata in casa, vittima delle turbe familiari, tolta dal mondo civile, dal suo bellissimo paese, Polignano a Mare, dalla scuola, dai suoi amici. Come ci ha raccontato “Chi l’ha visto?” l’11 gennaio, sapevano dell’oltraggio alla dignità e alla identità di questa ragazza non soltanto i parenti, ma i vicini di casa, le nonne che la sentivano piangere e, come ha confessato una di esse, piangevano con lei afflitte dalla incapacità di offrirle un aiuto.

Tutti sapevano tutto, primi fra gli altri gli assistenti sociali, che hanno pure verbalizzato le condizioni igieniche e ambientali disastrose in cui Paola versava. Dovevano sapere per forza anche i carabinieri della locale stazione, le altre autorità di Pubblica sicurezza, il magistrato della Procura territoriale.

Nessuno però ha liberato Paola dalla sua prigione. Nessuno che poteva farlo. Fino a quando il carro funebre non si è fermato sotto casa e l’ha trasferita al cimitero.Nella trasmissione televisiva di Federica Sciarelli era precedentemente andato in onda un analogo caso di pubblica inettitudine e disumanità: l’agonia fino alla morte di un uomo al binario 14 della stazione centrale di Napoli nell’attesa vana che un’ambulanza gli andasse in soccorso.

Ebbene, tutti abbiamo chiesto conto delle responsabilità degli operatori del 118 giustamente sottoposti a procedimento disciplinare e tutti speriamo che la sanzione nei loro confronti sia la più severa possibile. Invece il conto alle forze dell’ordine non è stato richiesto con la forza e la pubblicità che hanno accompagnato il caso napoletano, forse in omaggio a una retorica nazionale per cui coloro che portano la divisa non possono che essere integri, coraggiosi, devoti alla causa. Invece sappiamo che non è così,sappiamo che sacche di dabbenaggine e inettitudineesistono anche tra i carabinieri, i poliziotti e i magistrati.

La vita di Paola è stata infatti immolata sull’altare della disumanità, della trascuratezza, della assoluta mancanza ai doveri da parte di dipendenti dello Stato che sono pagati per svolgere l’unico compito del loro ufficio: far rispettare la legge, aiutare chi ha bisogno, testimoniare la civiltà agli incivili.

da: ilfattoquotidiano.it

Elsa Fornero e tutte quelle facce di bronzo

Verrebbe voglia di simpatizzare per Elsa Fornero nonostante la sua famigerata legge sia stata per molti cittadini ingiusta e abbia prodotto a tanti dolori e sacrifici anche personali durissimi. Ma non c’è confronto tra la dignità con cui la Fornero governa le parole e persino gli errori di cui è stata protagonista e la voglia smodata di erigerla a capro espiatorio da parte di una classe politica affamata e smemorata.
Dimenticano, e purtroppo sono tanti, che la professoressa Fornero fu chiamata al governo dopo che coloro che oggi rivestono senza imbarazzo l’abito di statisti se la diedero a gambe all’aria. Si dimentica tutto e troppo in fretta e di quel 13 novembre 2011 quando Silvio Berlusconi chiuse tra i boati di gioia la sua fallimentare esperienza di governo dimettendosi al Quirinale, cosa resta?
Il centrodestra parla oggi di un complotto europeo dei poteri forti ai danni dell’ex premier, per piegare l’Italia e renderla suddita della dottrina tedesca, spogliarla delle ricchezze e farne la periferia dell’Impero. Sarà! Ma quel giorno, quel 13 novembre 2011, a fuggire non fu solo Berlusconi. La sua corte, tutta intera, scomparve, i berluscones si nascosero alla vista e pure i leghistisi rifugiarono in Padania silenziosi. L’intera classe politica abdicò al suo dovere e delegò ai tecnici il lavoro sporco di ripulitura dei conti. A lavoro eccoli di nuovo tra noi. Una pernacchia, una di quelle che li accompagnò alle dimissioni, li dovrebbe oggi seppellire. E invece urrà!

da: ilfattoquotidiano.it

Se un domani in Calabria non c’è

La foto è stata scattata la sera dell’Epifania all’autostazione diCosenza. Un ingorgo di bus, perché in Calabria non c’è alternativa alla gomma, il treno è quasi scomparso, e di valigie, di giovani e di anziani, di donne e uomini che attendono di ripartire per il nord dove studiano, lavorano, vivono. Uno ogni dieci di coloro che quella sera si accalcano per il lungo ritorno ha scelto dove vivere e come vivere.

Per tutti gli altri si tratta della resa alla realtà immutabile di una regione che non sa cosa dire né cosa dare ai suoi figli. Di una regione che non ha vergogna di sprecare le sue risorse e non ha timore di divenire un ospizio a cielo aperto. Questa foto è anche un atto di accusa a chi ha governato l’Italia e ha lasciato che una parte di essa venisse trafugata, resa disponibile a ogni rapina. Ed è, sempre questa foto, l’istantanea delle nostre colpe, anche delle responsabilità dei calabresi che hanno immaginato la resa ai diritti come scelta improcrastinabile e unica.

Passate le feste si fa ritorno a casa. Una regione intera si svuota – proprio come succedeva quarant’anni fa – e su quei bus intelligenze, braccia, sogni e vita vengano trasportati altrove perché un domani lì non c’è. Proprio come accadeva quarant’anni fa.

da: ilfattoquotidiano.it

Ricchi e poveri

Secondo i dati ufficiali il nostro potere d’acquisto aumenta, aumentano i consumi e aumenta il risparmio. Forse è questa la ragione per cui sono aumentate le tariffe delle autostrade, e per far fronte alla ricchezza accresciuta sono lievitate anche le bollette del gas e della luce. Domando: siamo più ricchi o più poveri?

da: ilfattoquotidiano.it