Homo homini Lupi, la legge spiegata a chi l’ha scritta

C’è sempre bisogno di spiegare la legge, soprattutto a chi la scrive. Pensate a come deve sentirsi oggi l’onorevole Maurizio Lupi, il cui entusiasmo nel ritrovare l’indirizzo di Berlusconi, per sbaglio dimenticato in un cassetto del ministero delle Infrastrutture al tempo del suo governo con Renzi, è stato davvero fuori dal comune. Lupi oggi è un cencio,  sconvolto da un adempimento di una norma della legge elettorale, il Rosatellum, a cui lui stesso aveva fattivamente contribuito, che lo mette momentaneamente fuori dalla campagna elettorale.

Diciassette candidati lombardi cassati da un giudice perché non hanno rispettato le regole sull’apparentamento. “Abbiamo anche chiesto agli uffici del ministero dell’Interno preventivamente cosa fare”, ha detto parecchio incavolato. La cocente amarezza di Lupi, a cui auguriamo ogni fortuna, deve aprire finalmente uno squarcio di verità sul diritto e sul rovescio. Per esempio: siamo così sicuri che il Jobs act abolisca l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori? Potrebbe darsi bene che lo stesso Lupi, o magari un suo collega legislatore, dichiari di non ricordare. E se il legislatore non sa o non ricorda, la legge resta valida o si prosegue in deroga?

Badate che non è la prima volta che accade il qui pro quo: ai tempi del suo primo ministero il leghista e statista Bobo Maroni confessò di aver approvato nel consiglio dei ministri una legge contro i magistrati a sua totale insaputa. Nel senso che aveva letto e non aveva capito. E se Maroni, che è un’aquila, non capì allora, perché pretendiamo che Lupi capisca adesso che diavolo ha combinato col Rosatellum? E se Lupi, che pure è di pronta intelligenza, non domina quel che è nel suo talento, perché far credere a Renzi e a tutti gli altri che questa legge elettorale ci porterà all’inciucio? Per caso c’è scritto inciucio? E come dar torto, volendo spaccare il capello in quattro, ai volenterosi giovani, alcuni fascisti anche embè? e un po’ razzisti, embè? di CasaPound, che la Costituzione condanna sia il fascismo che il razzismo? A parte che i Costituenti sono tutti o quasi scomparsi e pace all’anima loro. C’è per caso un ufficio del ministero dell’Interno che spiega la Costituzione a Casa Pound? E c’è un ufficio che spiega al candidato Paolo Siani, fratello dell’indimenticato Giancarlo, vittima della camorra, che gli “impresentabili” contro cui giustamente s’accanisce sono collegati al suo nome, nella stessa lista di cui egli fa parte, nella stessa città dove egli abita?

La legge, prima di interpretarla, andrebbe spiegata innanzitutto a chi l’ha scritta.

da: ilfattoquotidiano.it

Alessia, la candidata e la querelle sul suffisso: staffista, stagista, sciampista?

La signorina Alessia D’Alessandro vive a Berlino ma è di Agropoli, provincia di Salerno, e si candida con i Cinquestelle nel collegio uninominale del Cilento. Ha ventotto anni, un’ottima laurea e un master, conosce le lingue, lavora in un ufficio studi collegato alla Cdu, il partito di Angela Merkel. Al Movimento, sempre in debito di competenze alte, non è parso vero di lavorare con la fantasia e portarla di peso nell’ufficio della Merkel. Così Alessia è divenuta “staffista” della Cancelliera, cioè figurativamente membro dello staff . Quelli del Pd, ugualmente in debito di competenze alte per il fatto che il candidato designato nel collegio è Franco Alfieri, noto alle cronache per essere il re delle fritture di pesce (fritturista?) si sono rasserenati quando hanno saputo che la D’Alessandro più che un’economista è un’addetta al marketing, quindi non staffista ma forse addirittura stagista.

Nel prosieguo dell’esame della biografia della candidata c’è stato pure chi s’è chiesto – forse perché un competitor milanese del centrosinistra, Mattia Mor, è stato tronista: e se fosse solo una sciampista?

Della vicenda l’unico che ne esce bene è il suffisso: statista, stagista, sciampista, tronista, forse elettricista, ferrista, schiavista, razzista o anche dentista. Il resto della questione (è per caso comunista, socialista, centrista, fascista, populista, qualunquista?) è noia.

da: ilfattoquotidiano.it

Potere al popolo e alla suola della scarpa

Trova le differenze. Quali sono, per esempio, quelle tra Potere al popolo ed Emma Bonino? Facile: i primi sono rivoluzionari e di sinistra, la seconda è leader di un movimento radicale e liberale. I primi non si sono coalizzati, la seconda invece ha scelto di allearsi col Pd. I primi sono quasi sconosciuti, senza radicamento sociale se non in alcuni settori, modesti, della società; la seconda è tra i volti più popolari d’Italia, apprezzata per le sue battaglie civili e politiche. Non parliamo poi delle differenze dei nostri concittadini militanti comunisti con Beatrice Lorenzin, ministra della Salute e condottiera del Fiore petaloso, il simbolo di Civica Popolare, il nuovo raggruppamento, moderato ed equilibrato che tiene legato ai valori centristi il carro del Pd. Inutile poi illustrare quelle tra i compagni rivoluzionari e Denis Verdini, leader di Ala, o Roberto Formigoni e Maurizio Lupi, di Alternativa Popolare, eccetera eccetera.

L’ultima delle differenze che separa Potere al popolo con tutti gli altri candidati è però la più rilevante: i primi hanno raccolto le firme per presentare la propria lista e gli altri no. “Un numero mostruoso” disse la Bonino denunciando l’inghippo antidemocratico che avrebbe costretto lei a non essere presente sulla scheda elettorale. “Addirittura ora servono il doppio delle firme rispetto alle scorse elezioni, fissate a 25mila”. Fu scandalo nazionale e grazie alla generosità di Bruno Tabacci, democristiano altruista e detentore di un simbolo in Parlamento che lo autorizzava all’esenzione della raccolta, la nostra eccellente, popolarissima Emma, e con lei esponenti di ogni altra risma politica, sono oggi presenti sulle schede elettorali al pari di Potere al popolo che ha dovuto trovare 52mila sottoscrittori, e autenticare con un notaio, collegio per collegio, l’identità di ciascuno di essi.

Potere al popolo è riuscito dunque dove altri non hanno nemmeno immaginato di tentare.

In questa orrida democrazia del clic rendiamo onore al potere della passione, della militanza, della suola della scarpa.

da: ilfattoquotidiano.it

Barbara D’Urso e il giornalismo posturale

Chi non conosce Barbara D’Urso? Il suo salotto televisivo è così ambito che non c’è personaggio o personalità da rifiutare l’intervista e spiegare agli italiani, per il suo tramite, il valore della propria esperienza, le capacità, i successi che ha conquistato, le promesse che si sente di offrire, le idee che ha in testa. Merito della D’Urso logicamente. La quale riesce sempre a ottenere ciò che ogni bravo giornalista vorrebbe rubare all’intervistato: la verità. Anche a costo di farlo lacrimare.

Nella foto che ha pubblicato un frequentatore professionista di twitter, l’ottimo @menesbatto, si evince come la postura dell’interrogante, la posizione cioè del corpo umano nello spazio e le relative relazioni tra i suoi segmenti corporei, assuma un ruolo decisivo nello svolgimento del colloquio con tre illustri politici (Berlusconi, Renzi e Di Battista) costretti a dire tutta la verità e solo la verità.

Sentiamo di escludere una più facile ma rozza interpretazione sulla via geometrica al giornalismo (l’angolo di inclinazione eccetera), ma di segnalare come sia decisamente performante il giornalismo posturale, schiena sempre dritta come potete vedere. La prossemica, che è una scienza, studia la comunicazione non verbale. E il combinato disposto determina il successo di chi domanda e il piacere di rispondere di chi governa o governerà.

da: ilfattoquotidiano.it

Il Giachetti che è in noi

Ciascuno di noi porta dentro di sé un po’ di quel che è Roberto Giachetti, il deputato non deputato del Pd, il maggiorente non maggiorente, il liberal no liberal. Al mattino lui, quando si sveglia, vuole essere come si è ripromesso prima di prendere sonno: generoso, tignoso, appassionato, disinteressato. E anche radicale, nel suo significato più denso e profondo, cioè rivoluzionario e aperto al mutamento dei costumi. E anche liberale, nel suo significato più denso e profondo, cioè rigoroso nel dare valore e identità all’individuo, alle sue scelte, ai suoi meriti.

Siamo tutti un po’ Giachetti al mattino. Anche burberi, istintivi, qualche volta lunatici però buoni come il pane, e seri che di più non si può. E sinceri: diciamo la verità. Così siamo: prendere o lasciare.

Poi viene la sera. E’ il buio che frega Giachetti e frega un po’ anche noi. Perché la luce che si appanna, fino a spegnersi, consuma tutta la nostra virtù. Inizia la vita parallela della nostra coscienza: un pizzico più bugiarda, appena un po’ più stronza, quel tantinello ossequiosa perché puoi mai sapere cosa ti accade? E legata anche al dettaglio materiale della nostra esistenza: alla fin fine i soldi servono e serve un impiego.

A sera e di malavoglia siamo di nuovo tornati Giachetti nella versione uno: paraculo come pochi.

da: ilfattoquotidiano.it

Elezioni, facciamo uno scherzetto al Palazzo: votiamo solo chi si candida senza il paracadute del proporzionale

La legge elettorale è così perfida e ingannevole da far apparire il Porcellum almeno sincero. Era una legge sporca fin dal nome. Il Rosatellum all’apparenza sembra aperto alla rappresentazione politica della società dosando proporzionale e maggioritario, nei fatti realizza un mercato delle vacche ancora più indegno del precedente. Liste non solo bloccate, potere assoluto ai capi partito e in più la certezza che una maggioranza non ci sarà.
E allora è il caso di stare a sentire il consiglio del costituzionalista Michele Ainis, che su Repubblica qualche giorno fa suggeriva un modo per tentare di ribellarsi al Rosatellum: votare solo per quei candidati al maggioritario senza altro paracadute al proporzionale. Lo so che la scelta sarebbe difficile e so che la legge, avendo imposto il voto congiunto , utilizzerebbe il nostro voto, ugualmente per legare al carro della nostra protesta il listino dei maggiorenti candidati al proporzionale. Ma se fossimo in parecchi a condividere questa scelta, costringeremmo almeno all’imbarazzo i tanti leader di carta che cercano la rielezione senza avere i voti. Cioè truffandoci. Oggi l’esponente pd Roberto Giachetti ha annunciato che rinuncerà al paracadute proporzionale. E’ una notizia bella, e sarebbe un esempio da seguire.
Facciamo perciò lo scherzetto al Rosatellum: scegliamo di votare il candidato del nostro partito che si mostri leale nei nostri confronti, che ama la politica e rischia l’elezione, si obbliga alla fatica di convincerci e mette nel conto che in democrazia si può anche perdere.

da: ilfattoquotidiano.it

Binario morto – L’Istantanea di Antonello Caporale

Il treno non è solo un vettore, ma un connettore di comunità. È il mezzo di trasporto più popolare e più sicuro. Dove passa il treno c’è vita. Il treno ha cucito l’Italia, l’ha resa unita fino a quando non si è deciso che le rotaie andavano mandate al macero.

Sono oggi più di ottomila i chilometri di binari morti, ferrovie corrose dalla ruggine, stazioni abbandonate ai cani randagi, lasciate alla rovina. E migliaia i chilometri di strade ferrate dove la manutenzione giunge col contagocce nell’idea – forsennata e perdente – che l’Italia debba viaggiare solo su gomma.

Cosicché si è scelta l’alta velocità come unico investimento possibile, naturalmente nei collegamenti tra le città maggiori e a un costo da vip, lasciando al sussidio regionale le migliaia di chilometri che servono i cittadini che ogni giorno devono spostarsi. Treni e binari hanno iniziato a perire sotto il peso del più completo disinteresse. C’è un’Italia perduta, abbandonata dagli occhi e dall’attenzione dei tanti che hanno governato, alla quale prima di ogni altra cosa è stato tolto il treno. Restano i binari, arrugginiti e oramai vinti dalle sterpaglie, a illustrare il tempo che è.

da: ilfattoquotidiano.it

Il manifesto della razza e la scelta esemplare della giunta di Roma

Non passa mai il tempo per la riconoscenza. Non è mai troppo tardi per dire grazie a chi con la sua dignità ha inflitto una lezione memorabile all’universo incivile, alla barbarie di Stato. La giunta romana ha deciso di rimuovere, nel giorno della Memoria, le targhe di tre scienziati, Edoardo Zavattari, Nicola Pende e Arturo Donaggio, a cui erano intestate altrettante strade della Capitale. I tre diedero copertura scientifica al Manifesto della razza, all’abominevole dichiarazione di morte per chi fosse ebreo da parte del regime nazifascista. Loro tre e cento altri, mille altri, milioni di altri concittadini, per codardia o anche e purtroppo per convinzione, salutarono con gioia la carneficina. Rimuovere quelle targhe non solo è una decisione che sa di civiltà, di pulizia e di rispetto verso chi ha trovato il confino o le camere a gas ad attenderlo. E’ un gesto esemplare di gratitudine verso i pochi scienziati, in tutto undici, che rifiutarono di apporre la loro firma a quella soppressione di massa. I loro nomi li ricorda oggi il Corriere della SeraVito Volterra, Lionello Venturi, Francesco Ruffini, Bartolo Nigrisoli, Piero Martinetti, Giorgio Levi Della Vita, Gaetano De Sanctis, Ernesto Buonaiuti, Giorgio Errera, Fabio Luzzatto, Marco Carrara. È un indimenticabile fronte del No. La forza che quel No ha dato alle nostre coscienze e alla nostra umanità.

da: ilfattoquotidiano.it

Otto anni di vita in meno, il conto esatto della malasanità

Otto anni di meno. Tanti sarebbero, come ha detto il presidente dell’Istituto superiore della Sanità a Riccardo Icona, nell’ultima esemplare trasmissione (Presadiretta) andata in onda ieri sera, gli anni che i napoletani destinano alla malapolitica. Destino in senso proprio, cioè lasciano che le loro vite si accorcino di otto anni, le loro speranze di campare in famiglia e possibilmente sereni, si riducono fino a otto anni per via della sanità corrotta dallo spreco, dall’incompetenza, dalla nullafacenza. È sempre scandalosa la verità. E non basta certo a fermare le lancette della tragedia civile di ospedali che inghiottiscono soldi senza offrire compassione e cura, il fatto che la misura di questo tempo possa essere esatta oppure gonfiata per eccesso.

Basta e avanza, per affermare lo scandalo, il senso oramai di compiuta impunità verso una pratica, quella sanitaria, che – malgrado i talenti, le competenze, le migliaia di dipendenti onesti – si è trasformata in pura clientela. È la politica non la Procura della Repubblica a dover ripulire gli ospedali da questa disperazione, una condizione permanente di pressappochismo e irresponsabilità per cui l’Italia soggiace alla regola del doppio. Ogni casa di cura al sud deve avere un suo doppio al nord, per ogni ricovero a Caltanissetta deve ipotizzarsi una complicanza da risolvere a Reggio Emilia; un’operazione chirurgica da fare a Milano. Quindi il viaggio, il cosiddetto, maledetto turismo sanitario. Lo scandalo vero non è la classe dirigente che non dirige anzi complica e arruffa, spreca e si fa corrompere, siamo noi che non abbiamo più occhi per guardare, e voglia, interesse, piacere di allineare i difetti degli altri ai nostri e poi prenderli, uno a uno, e contarli e alla fine tirare la somma e chiederci: sono loro i cattivi o noialtri gli irresponsabili che lasciano fare?

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La classifica di Forbes, i Paesi e il nostro senso della vita

L’Istat da tempo avverte che di questo passo nel prossimo decennio quasi un migliaio di paesi saranno allo stremo. Degli ottomila campanili con cui l’Italia si compone e si raffigura, tanti sono i luoghi che perdono la speranza, e quindi la vita. Paesi ridotti ad ospizi, dove ogni anno si conta il tempo che resta. Le case si chiudono, gli ospedali si dismettono, le scuole svaniscono. Solo i cimiteri si allargano.

Un disinteresse così crudele e ignorante verso una bellezza invece così ricca, generosa, vitale. E dev’essere perciò sempre qualcun altro che al nostro posto promuova ciò che non riusciamo a vedere, ridotti oramai nei recinti metropolitani, outlet del capitale umano. Una classifica di Forbes, nota rivista statunitense, inserisce Città Sant’Angelo, provincia di Pescara, tra i primi dieci luoghi al mondo dove vivere.

Io non credo alle classifiche, penso siano spesso un puro esercizio di stile. Ma credo fermamente che noi dovremmo incuriosirci di più alla nostra terra e volerle più bene. E il fatto che ad assurgere agli onori della cronaca sia un paesino del quale, in sincerità, non avremmo immaginato potesse mai salire sul trono dei due mondi, ci induce a riflettere sulla quantità di bellezze che abbiamo, su come dilapidiamo un patrimonio di identità e memoria, sul senso della vita e anche, per una volta, sulla nostra fortuna di viverla qui.

da: ilfattoquotidiano.it