IL REPORTAGE – La Sicilia del bisogno tra lupi, voti e agnelli

“Quindi cosa abbiamo fatto di male? Abbiamo scelto di candidarci con Forza Italia. In realtà avevano chiesto la disponibilità a me, ma da poco mi sono trasferito al Nord. Ho pensato che fosse una cosa buona per mia sorella Martina perché ha 32 anni e ancora non lavora. Magari si entusiasma con la politica, si fa venire una passione in testa. Sta sempre in casa…”. Il papà di Antonio Guarascio si chiamava Giovanni ed era un piccolo imprenditore edile. Case a nuovo, cielo terra. Costruiva per gli altri e venne il giorno che decise di farla per sé. Era il 1989 e stipulò un mutuo per 40 milioni di lire. Riuscì a pagare le rate regolarmente alla Banca Agricola di Ragusa fino al 2001, poi iniziò a rallentare. Con la crisi del 2009 il lavoro si diluì fin quasi ad annullarsi e anche le sue rate iniziarono a farsi insolute. A Vittoria, la sua città, un numero spropositato di famiglie come quella di Giovanni si videro recapitare il decreto ingiuntivo, infine chiamate alla resa con l’asta pubblica.

GIOVANNI scelse di ribellarsi alla violenza di un sistema che affamava per due soldi. Si diede fuoco il 14 maggio 2013. Il suo suicidio fece rumore e vergogna al punto che il Movimento di Grillo, che dall’operazione finanziaria avrebbe ottenuto un cospicuo utile netto elettorale, decise di ricomprare ai Guarascio la casa intanto venduta all’asta. A gennaio dell’anno scorso Giancarlo Cancelleri, accompagnato da Di Maio e da Di Battista, consegnarono un assegno di 30 mila euro, soldi del tesoretto che i cinquestelle siciliani hanno in verità ricavato alleggerendo le proprie buste paga di deputati regionali (gli uscenti sono 14). La moglie di Giovanni e i suoi tre figli ringraziarono e li abbracciarono. E tutta la stampa ne parlò, e vennero le televisioni. E furono lacrime e sorrisi. E denunce di quella macelleria sociale che aveva restituito a una società già povera una nuova classe di diseredati. Oggi, però, Martina Guarascio, salvata dai 5Stelle, si è candidata con coloro che i suoi salvatori ritengono gli affamatori politici dell’isola. Martina è divenuta improvvisamente berlusconiana: vota e fai votare Guarascio. “Ci dicono che siamo stati irriconoscenti, ma non meritiamo questa accusa né le altre cattiverie che su facebook i nostri compaesani hanno scritto”. Martina – seppur candidata – è invisibile e irrintracciabile. “Parlo io per lei”, dice Antonio. “Ai 5stelle avevamo chiesto alle scorse Comunali di Vittoria se magari uno della famiglia potesse essere messo in lista, ma Cancelleri ci disse che non era opportuno. A quel punto ci siamo sentiti liberi di accettare altre offerte, io sono stato anche segretario dei giovani di Forza Italia di Vittoria, quindi…”. In Sicilia la candidatura è un traguardo notevole e praticabile in ogni direzione. Nelle scorse settimane flussi migratori hanno svuotato le liste di Alleanza Popolare, il partito di Alfano, stella cadente del firmamento siculo, per svernare nell’Udc di Lorenzo Cesa, scomparso dalla vita politica nazionale ma rimesso in vita – a sua insaputa – dalle nuove necessità dell’isola. Alfano ha voluto maritarsi con Matteo Renzi, matrimonio che rischia di procurargli guai serissimi. “Ritengo che la sua formazione abbia difficoltà persino a raggiungere il 5%, la soglia di sbarramento per entrare a Palazzo”, commenta Nenè Mangiacavallo, deputato ai tempi dell’Ulivo, gran conoscitore del malaffare in sanità e oggi osservatore della sterminata platea dei trasformisti che, insieme ai cosiddetti impresentabili, formano il pacchetto di mischia centrale, il centro di gravità permanente della contesa.

“QUI È TUTTO un bisogno, è sempre un bisogno”, dice Mangiacavallo. La società del bisogno si incontra di prima mattina al Cup, il centro unico per le prenotazioni, di un ospedale a scelta, uno qualunque. Siamo andati in quello di Ribera, paese noto per le sue arance. Cardiologia: appuntamento non prima di sei/otto mesi, di una risonanza magnetica meglio non parlarne, delle visite specialistiche Dio ce ne scampi e liberi. La tragicità della situazione è tale che allo sportello il signor Alfonso, con una salute già compromessa, supplica di essere visitato da un urologo: “È già la quarta volta che vengo, ho subìto tre interventi chirurgici. Io muoio se non mi faccio visitare”. L’impiegata: “Per l’urologia può invece venire il 30 ottobre”. Alfonso, abituato ai tempi della sanità siciliana, si fa paonazzo: “Il 30 ottobre? Un anno per farmi visitare? E io tra un anno sono morto!”. Gli astanti in fila l’hanno dovuto scuotere: “Il 30 ottobre del 2017, tra giorni”. “4 giorni?”, ha domandato giustamente stupefatto. Il bisogno intruppa gli elettori nei Caf e nei Patronati. Nel mondo del bisogno quotidiano nascono gli spicciafaccende che col tempo, se sono scaltri, si trasformano in collettori di voti. Ciro Palmeri dirige in paese quello delle Acli: “Facciamo assistenza e consulenza. Contributi previdenziali, assegni sociali, invalidità civile, ci occupiamo della nuova disoccupazione, soprattutto prepariamo le pratiche di accompagnamento, di pensione, i certificati Isee, la dichiarazione dei redditi”. Il bisogno, per durare nel tempo, dev’essere sospeso. Perciò qui tutto è precario, ottima selvaggina per i politici in caccia di prede. Gli 8 mila operai forestali regionali (che si aggiungono ai 20 mila del corpo ufficiale ora riunito in quello dei carabinieri), e l’esercito immobile dei lavoratori socialmente utili, dei dipendenti contrattisti, dei funzionari a tempo. A una precaria, l’assessora regionale uscente Luisa Lantieri, è stato affidato il compito di regolarizzare i precari. Tutto torna, e come sempre si tiene.

Da: Il Fatto Quotidiano, 27 ottobre 2017

Amalia, l’antropologa al servizio della Carta

“Finché regge questo cuore io vado”. Una tv, un dibattito pubblico, un mezzo comizio, una riunione accademica. Qualunque cosa fosse, lei diceva di sì. Amalia Signorelli ha conosciuto nella sua terza età una giovinezza e una passione che la trascinavano ovunque. E l’antropologia, proprio grazie ad Amalia, è divenuta una scienza meno misteriosa, e la politica, sempre grazie alla Signorelli, si è accorta che le argomentazioni, quando sono lucide, logiche, ficcanti, hanno il premio dell’ascolto. Perciò era spesso ospite della tv.

E QUELLA SUA VOGLIA, la capacità di dire pane al pane, di esercitarsi in un eloquio popolare ma non banale, di trasmettere passione nelle cose che diceva e per come le diceva, l’avevano già trascinata sul ring della scrittura. “Professoressa, un blog è come una finestra sul mondo. Lei scrive quel che le pare, come le pare e quando le pare”. La collaborazione col fattoquotidiano.it era intensa e proficua, tanto che la docente, da pensionata-casalinga, si trasformò presto in blogger d’attacco e nell’ultimo periodo in rubrichista di Millennium, il nostro mensile. E le sue parole, prima scritte, sono divenute pietre preziose per i conduttori di talk show sempre in cerca di personaggi nuovi, volti sconosciuti ma pensieri intelligenti da ospitare. “Ma con questo caldo che ci fa a Roma?”, le ho chiesto l’ultima volta che ci siamo sentiti, in estate, quando la Capitale ardeva e lei, cardiopatica, soffriva ancora di più. “Purtroppo non posso lasciare Roma, il mio cuore fa le bizze e non sono in condizione di spostarmi”.

Ieri ci ha lasciati.

Signorelli era una donna minuta ma colta, con un sorriso aperto e compiaciuto, pronta allo sberleffo come pure al giudizio più meditato e approfondito, sempre disponibile al confronto e pure alla polemica. Era stata discepola del grande etnologo Ernesto De Martino. Ordinaria a Napoli, a Urbino e infine a Roma, aveva lavorato e insegnato a Parigi (École Haute Etudes de Sciences Sociales) e all’università metropolitana di Città del Messico. I suoi studi più approfonditi sono sul tarantismo in Puglia, dentro la cornice ampia della ricerca sulle culture popolari.

OPPOSITRICE non di principio, ferma nelle sue idee (scelse come titolo della sua rubrica su Millennium “Non concilio”), battagliera, simpaticamente testarda nelle sue convinzioni, ha dato il meglio di sé e ottenuto una popolarità che durante la quarantennale carriera universitaria non aveva mai provato. Ferocemente antirenziana (“non lo sopporto proprio”), si è impegnata allo spasimo durante la campagna referendaria per il no alla riforma costituzionale. Ovunque la chiamassero, se la salute un po’ lo consentiva, correva. Una mia amica mi chiese di agevolarle il contatto: l’avrebbe voluta invitare a Matera. Ero certo che non avrebbe accettato. “E invece, sai, ha detto sì”.

Appena la salute glielo avrebbe permesso, aveva promesso.

Da: Il Fatto Quotidiano, 26 ottobre 2017

LIBRI – È sempre difficile essere padri sull’orlo del burrone

Trovatevi voi davanti a un burrone. Sarà il panico che vi farà gridare, vi darà la forza di sorreggervi e indietreggiare. Quando sarete salvi il panico farà posto alla paura, penserete a quel che stava per capitarvi e non è accaduto, per fortuna. Penserete al vuoto che vi stava prendendo. Il vuoto, per tre scrittori, è il nuovo mondo contemporaneo e ostile. In quel vuoto stanno perdendosi i loro figli e forse pure i nostri. Perciò – a distanza di qualche settimana –tre giornalisti, tutti e tre firme del Corriere della Sera, hanno licenziato altrettanti libri nei quali scrivono da papà piuttosto confusi, un pochino anche alienati, di certo stupìti della brutta piega che va prendendo il mondo.

ANTONIO POLITO per esempio (“Riprendiamoci i nostri figli”) non solo non capisce ma neppure si adegua. Fiorisce un ’educazione alla vita selvaggia, autoctona, provvisoria, instabile. Non parliamo di bon ton naturalmente, ma di sentimenti: educazione alla bellezza, al senso civico, allo studio, alla fatica, alla disciplina. Non c’è più autorità, lui dice. E ha ragione. La scuola diploma, non giudica e non seleziona. La politica è estranea a noi figurarsi a loro, la religione è assente, non è neanche tema di discussione. Cosa resta? Il telefonino, gli risponde Aldo Cazzullo (“Metti via quel cellulare”), che tutto tritura, sbianchetta, risolve nella dimensione dell’istante. È lo smartphone l’unità di misura della conoscenza e della connessione: il tempo limitato, parliamo di secondi, al massimo di qualche minuto, in cui le conversazioni si svolgono nel nuovo linguaggio digitale che Polito, da padre accorto, tenta di decifrare. Sono papà curiosi ma impauriti, e Pierluigi Battista (“A proposito di Marta”) racconta come stesse rinchiuso in una teca di vetro, sigillato nell’età perduta di chi ormai guarda la vita torcendo il collo al l’indietro, il nuovo stile, i nuovi modelli e anche i nuovi miti di Marta, sua figlia venticinquenne.

Tre libri che tre papà hanno scritto ai figli per parlare però di se stessi. Tre genitori impauriti dalla nuova religione civile giovanile, un individualismo progressivo e agnostico, che ora devono però provvedere a esaminare le ragioni del narcisismo degli adulti.

Resta insopportabile per ogni papà non riuscire a capire il proprio figlio. Ma è sempre stato così. E i nostri nonni allora? E i nostri papà? E noi? Oggi, rispetto a ieri, è però insopportabile anche l’impossibilità di misurare la profondità della rottura del mondo. Siamo costretti a segnare con la matita il miliardo di passi che ci separano dall’oggi, noi che siamo nati ieri. I giornalisti sono abituati a raccontare il mondo, a spiegare il corso degli eventi e anche a giudicarli. Indicando il bene e il male, il giusto e l’ingiusto. Il fatto è che ora, davanti alla prova di una modernità che sradica non solo le competenze e i mestieri, ma i linguaggi (e l’educazione alla vita! direbbe Polito), a noi papà non resta che riscoprire la paura, pensare ai nostri anni, a ciò che siamo stati e a quel che non possiamo più essere.

SARÀ PER TIMORE che la nostra biblioteca venga incellophanata e un po’ derisa, esattamente come il nostro sapere che è stato la nostra potenza e la speranza dei nostri genitori. In fin dei conti quel che ci scoccia davvero, anche più del timore di conoscere il volto del futuro che attenderà i nostri figli, è il fatto di non avere più una eredità da trasmettere. È il nuovo mondo, res nullius.

Da: Il Fatto quotidiano, 25 ottobre 2017

ALFABETO – STEFANO PETRUCCI, sindaco di Accumoli: “Un miliardo di euro e ricostruirò le case per chi vuol tornare”

Il conto è presto detto: mi servono almeno 870 milioni di euro per la ricostruzione”.

Ottocentosettanta milioni di euro? Ma, sindaco, il suo Comune quanti abitanti fa?

“641 abitanti, la quasi totalità ultrasessantenni. Hanno la consapevolezza che le case nuove nemmeno le vedranno”.

Accumoli era il piccolo bastione che chiudeva le montagne del Lazio e si apriva al Tronto e al Piceno. Forma con la sua A il trittico dei Comuni del disastro e del dolore (Amatrice e Arquata del Tronto le sorelle di sventura). Il sindaco Stefano Petrucci fa il conto delle perdite e anche quello dei profitti.

“Non auguro a nessuno quello che abbiamo subìto. Abbiamo pagato il prezzo della scossa, undici morti e ogni cosa distrutta, azzerata. Oggi cosa posso dire? Che il terremoto reca in sé questa opportunità: rinascere alla grande”.

Lei vorrebbe farne una metropoli. Quasi un miliardo di euro chiede. Però anche la più grave delle sciagure non può perdere di vista il senso della misura.

Io applico la legge. E cosa mi dice la legge, cosa mi offre, anzi cosa mi indica? Mi ricorda che devo ricostruire tutte le abitazioni, quelle dei residenti e quelle dei vacanzieri, dei compaesani che per lavoro sono andati via. Poi le piazze, le strade, gli immobili pubblici, le reti dei servizi.

Il conto resta maestoso. Come andare in un ristorante e sborsare per una cena mille euro a persona. Leccornie senza fine.

Devo ammettere, da questo punto di vista, che la grande popolarità ottenuta per via della disgrazia ha fatto sì che l’Italia si accorgesse di noi.

Appare però che la generosità dello Stato, sebbene dovuta, sia di molto superiore a quella che offre agli altri concittadini, magari ugualmente disgraziati ma non terremotati.Continue reading

Uomini, donne e una sola MARIA. Da 22 anni su Canale5

Da ventidue anni restano loro, uomini a sinistra e donne a destra, seduti su seggiole di plastica, la rosa rossa al bavero della giacca dei maschi, le gambe tornite e i fianchi recinti dentro il vestito della festa, come fossimo tornati di peso dentro gli anni Sessanta, in un garbuglio di dialetti di un racconto di Gadda, in un povero paese del Polesine scomparso alla vista. Ventidue anni quante generazioni fanno? Quanti amori, copiati o solo immaginati, Maria De Filippi ha condotto all’altare televisivo? “È gente terrorizzata dalla solitudine, che trova qui dentro una piccola nuova vita, anche una speranza, e riceve almeno il saldo della propria indomita vanità”, dice mentre naviga – al timone da uno scalino della tribuna ospiti – nel lago dei sentimenti, finti e veri, dal sole al tramonto.

SI REGISTRA a oltranza, sarà poi Canale 5 a dividere e dosare per i pensionati assenti, spettatori mai vinti che da casa, al pomeriggio, attendono la prova dell’amore degli altri. Le ore trascorse dentro gli hangar della Tiburtina, il tutto compreso della gita romana, semplificano gli spostamenti dei nostri connazionali che sbarcano nella Capitale e in una sola giornata possono avere tutto quello che sperano: entrare dentro la televisione, trovare l’anima gemella e anche perderla e ritentare: ogni settimana al giovedì si può fare un giro di giostra. Ci sono i torpedoni che conducono la platea in questa cupola dell’ardore silenziato, anch’essa composta da maschi e femmine di età matura. Arrivano le signore con le loro meches fatte male, la cavigliera sotto la calza di nylon, le dentiere mobili, le gonne a fiori, le nuvolette stampate sulle camicie e la gioia, o soltanto l’invidia, di assistere allo spettacolo della vita: il bacio o il rifiuto. Continue reading

MICHELE CASCAVILLA: “Io e Berlusconi siamo uniti dalle lenzuola”

“Il copripiumino con il ricamo di Lui, l’amato Cavaliere, che stringe la mano a Putin, chi l’ha pensato?”

L’ha pensato Michele Cascavilla, patron di Lenzuolissimi e neo scrittore: “Le lenzuola del potere”, in tutte le librerie.

E l’accappatoio per Obama, al tempo del G8 chi glielo cucì?

Michele Cascavilla.

Faccio lenzuola bellissime, colorate. Nel letto ci dormi e ci fai l’amore. Concepisci e muori. Senza il letto che vita sarebbe?

Discorrendo di letti e lenzuola ha trovato una bella intesa con il presidente Berlusconi.

È stata una conoscenza che mi ha fatto svoltare la vita. Lavoravo a Frette quando fui chiamato a occuparmi dei grandi leader della Terra per il G8 de L’Aquila. Ho preso le misure degli accappatoi per tutti, tra le mie lenzuola hanno dormito Obama, la Merkel.

Tutti tutti?

Se le dicessi che anche Mubarak e Gheddafi hanno conosciuto il nostro stile, la capacità di rendere indimenticabile le poche ore di riposo che un potente può ritagliarsi per sé?

Lei Michele, ha subito capito che un uomo del fare ha bisogno di spiccare il volo. Ha lasciato Frette e ha aperto un suo marchio.

Lenzuolissimi. Una corsa fantastica verso il traguardo di vedere l’impresa crescere aprendo le porte a gente di tutti i ceti. Con 550 euro può acquistarle e vedrà la qualità, capirà il senso del nostro impegno: dare il massimo anche a chi non potrebbe permetterlo.

Bello. Il privato che in qualche modo si dà da fare per la collettività.

Ci è stato di enorme aiuto Silvio Berlusconi che ci ha fatto dono della prefazione al libro che sta già correndo in edicola: Le lenzuola del potere (l’ho scritto con Roberto Alessi, direttore di Novella 2000).Continue reading

Emanuele Macaluso: “Il nuovo patto tra B. e Renzi farà ancora scindere il Pd”

Sono 93 gli anni di Emanuele Macaluso. È un comunista siciliano di prima generazione formatosi durante le cruente lotte bracciantili dell’isola nel cuore del Novecento. Col tempo si è convinto che l’unica salvezza per la sinistra fosse il riformismo: un passettino alla volta, piccino piccino. Pantofole anziché scarponi, mano aperta più che pugno chiuso. Nel ventennio appena trascorso ha formato con Giorgio Napolitano una coppia di veterani al potere: il primo amico e consigliere prediletto, il secondo presidente della Repubblica.

“Voi del Fatto avete sbagliato grandemente a considerare Napolitano un nemico. È stato l’uomo politico italiano che ha goduto della più larga reputazione, e un solido punto di riferimento internazionale. Sono suo amico ma ho sempre difeso la mia autonomia di giudizio, come del resto ama fare lui. Espongo il mio pensiero e rispetto il suo. Questo il senso ultimo e vero della nostra connessione”.

Senatore Macaluso, francamente i risultati sono stati assai deludenti. Il torto ve lo assegna la storia di questi anni, non il mio giornale. E la scelta di Napolitano di agevolare la corsa di Matteo Renzi? Che poi si è rivelata un disastro? La decisione di mandare a gambe all’aria Enrico Letta? Il referendum sulla Costituzione?

Solo io so quanto Napolitano abbia stimato e sostenuto Letta. Cosa avrebbe dovuto fare davanti a un voto della direzione del suo partito e dei gruppi parlamentari che lo sfiduciava? Quale altra scelta era plausibile?

Ora però Napolitano sfiducia Renzi.

Mi pare che già durante la campagna referendaria gli avesse fatto intendere che col personalismo non si raggiunge nessuna meta. Adesso questa orribile legge elettorale… So che interverrà al Senato proprio sul tema della fiducia posto in modo così inappropriato. Tragga lei le conclusioni.

Le tragga lei invece.Continue reading

ALFABETO – ARMANDO SANGUINI: “Il nostro nemico non è un terrorista se non è islamico”

Le autorità hanno riferito che la strage non ha una matrice terroristica”. Ci basta questa notazione, che la conduttrice del telegiornale spesso illustra con un eloquio più tranquillo e disteso, per farci tirare un sospiro di sollievo.

Armando Sanguini, ambasciatore di lungo corso e oggi impegnato all’Ispi, l’istituto che si occupa di politica internazionale, rileva, col giusto stupore, il paradosso che riempie l’Occidente sbandato e cinico.

Il terrorismo islamista copre oramai tutto il fronte della cattiveria umana. Come se detenesse il monopolio delle azioni suicide, delle stragi inopinate. È il re del Male e i suoi morti contano e pesano più di qualunque altro.

È il nemico eletto, l’odiatore per antonomasia, l’omicida della porta accanto.

Sviluppiamo l’ipocrisia e la cecità come anticorpo della nostra paura. Ricorriamo a questa falsa difesa immunitaria e tentiamo anche di crederci.

E invece?

E invece sta nascendo dentro le viscere della nostra società quel che possiamo definire come un terrorismo laico, svuotato di ogni passione o sviluppo ideologico.

Un terrorismo individualista, nichilista, di prossimità.

Lo stragista di Las Vegas ha compiuto un atto tipicamente terroristico mutuando dall’alfabeto dell’islam la costruzione dell’attentato. Perché l’ha fatto? Vattelappesca. Non lo sapremo mai. Depressione, odio, suggestione, puro spirito emulativo? Boh.

L’Occidente però non prevede il nemico senza una giusta causa.

Infatti non lo riconosce come nemico, lo riduce a caso psichiatrico. Ogni volta che qualcuno compie un atto omicida plurimo, o solo tentato, che si concluda o meno, si arrivi al suicidio dell’attentatore o solo alla sua fuga, le forze di sicurezza esaminano il curriculum e decretano: è islamista o non è. Esulta al Qaeda oppure no. L’inclusione o l’esclusione in questa speciale lista del Male assurge a convalida dell’agguato.

Come la cattiveria si mitigasse, e ogni sfregio sia alla dignità umana sia alla vita di noi stessi, subisse un fermo immagine, fosse una pausa della nostra condizione umana.Continue reading

Scrivi Parlamento, leggi ornamento. I deputati si arrendono: siamo inutili

Parlamento fa rima con ornamento, Rosatellum con Porcellum, deputati con nominati, fiducia con sfiducia. Tutti a Montecitorio, oggi è il 10 ottobre e alle 15 c’è l’appuntamento con la ghigliottina.

I CHIAMATI al patibolo sono attesi puntuali. In fila indiana prendono posto nell’aula e attendono di finire col capo sotto la lama. “Sono stato eletto a Mantova, e in Lombardia si prevede un disastro. Possibile che il mio seggio sparisca. E sa che penso? Che dopo dieci anni passati in Parlamento è anche venuto il tempo di badare all’azienda di famiglia. Tornarci adesso sarebbe utile a me e anche alle nostre attività. Mi piace tanto la politica, ma adesso bisogna scegliere e forse io ho già scelto”. Il suicidio di massa è stato pensato da Renzi per quelli come Matteo Colaninno, figlio di Roberto, imprenditore e finanziere. Fuori uno. Ottimo.

Alla buvette il beneventano Umberto Del Basso De Caro, che non si considera in esubero, spiega il problema: “La questione è semplice, il voto di fiducia è stato ideato per quelli che – temendo di finire anzitempo arrostiti nelle urne –potrebbero fare uno scherzetto al partito e votare, coperti dal segreto, contro la nuova legge elettorale”. Più che una legge è un jobs act elettorale, il Rosatellum prevede almeno un centinaio di licenziamenti senza giusta causa tra la Lombardia, il Veneto e la Sicilia, regioni dove il Pd ha ottenuto alle elezioni scorse – grazie al premio di maggioranza del Porcellum – una quota aggiuntiva di eletti. È una legge fatta per fregare i 5Stelle e gli scissionisti di sinistra, che però oggi paiono su di giri, veramente molto elettrici e in qualche modo ringalluzziti dallo scandalo in arrivo.Continue reading

Alberto Asor Rosa: “Non ci si può alleare col Pd, fa politiche di destra”

Il divorzio a sinistra è consequentia rerum. E anzi, “la cosa che non ho ancora capito è perché Giuliano Pisapia non abbia completato il mandato di sindaco di Milano. Resta un mistero la ragione dell’interruzione a metà di un lavoro che poteva dare i suoi frutti, perché si sia fatto rapire da una suggestione piuttosto che forgiare sul campo, e sottoporre alla verifica del buon governo quotidiano, la sua leadership”.

Professor Alberto Asor Rosa, appare piuttosto sollevato da questo divorzio.

L’idea che si potesse costruire una coalizione elettorale di centro sinistra con un protagonista decisivo quale è il segretario del Pd che ha attuato, e purtroppo ha in mente di continuare con politiche distintamente di centro destra, mi sembrava una pretesa che ambisse a sfidare le leggi della fisica.

Siamo a Newton e alla legge di gravità.

Non si trattava di diversità trascurabili ma proprio dell’idea comune, almeno quella, fondativa, condivisa, costituente. Mancavano le basi per qualunque discorso. Ma dai, suvvia, ma come si fa?

Ora Bersani e D’Alema sono di qua, Matteo Renzi di là e Giuliano Pisapia, il costruttore del ponte, rovinato sotto i piloni che avrebbero dovuto sorreggerlo.

Date le premesse non entusiasmanti della vigilia, rimane la presa d’atto di un divorzio ineluttabile.

E rimane l’idea che la sinistra non riesca che autoaffossarsi.Continue reading