ISCHIA, SOLDI PUBBLICI PER LE CREPE ABUSIVE

Sono ventisettemila le domande di condono, seicento le ordinanze di demolizione e migliaia gli atti giudiziari e le pagine dei giornali che descrivono la relazione compulsiva e ossessiva che Ischia ha con il cemento. L’isola è un vulcano e ha i lineamenti fragili di una statua di gesso. Se ogni pioggia si fa temporale, e ogni temporale muove i costoni fino a spingerli a mare, così ogni scossa, anche la meno distruttiva, compie un disastro.

TUTTO SCRITTO, tutto conosciuto, tutto così drammaticamente narrato fin da Benedetto Croce che raccontò la terribile ecatombe del 1883 di Casamicciola, dieci gradi della scala Mercalli, duemilatrecento morti: “Mi trovai sepolto fino al collo, e sul mio capo scintillavano le stelle e vedevo intorno il terriccio giallo e mi pareva di sognare (…) Mio padre, mia madre e mia sorella furono rinvenuti solo nei giorni seguenti, morti sotto le macerie”.

Eppure la storia non insegna mai, anzi Ischia acuisce il paradosso del rischio come tuffo carpiato nell’illegalità: più esso è alto e più alta è la percentuale di coloro che decidono di correrlo.

L’abuso edilizio sull’isola è infatti divenuto uso quotidiano e collettivo, sistema per campare e far campare, un modo per arricchirsi e arricchire. La corruzione, che i giuristi definiscono un reato-contratto, non ha vittime che denunciano ma appunto contraenti che fanno affari. Tu mi dai soldi, o voti, e in cambio io ti permetto di fare ciò che non si potrebbe nemmeno volendo invocare la “necessità”, una parola perfida e ipocrita che persino i grillini, per via della campagna elettorale in Sicilia, utilizzano per giustificare con pari ipocrisia la devastazione del territorio in quell’altra isola.

Il terremoto di Ischia consegna all’Italia un altro paradosso: d’ora in avanti, sperando sempre che ciò che gli abitanti e i turisti hanno subìto non abbia repliche, si conteranno i danni. Che non sono solo le macerie delle poche case cascate, o della vecchia chiesa stesa a terra, come un furbesco comunicato dei sei sindaci dei Comuni dell’isola tenta di far credere. Migliaia saranno le crepe, più o meno vistose e profonde. E migliaia le opere di consolidamento che dovranno essere compiute. Di certo le cuciture più costose – se si vorranno fare, com’è augurabile –s aranno dirette nelle abitazioni peggio costruite. E qui non c’è dubbio né scampo: le opere murarie furtive, compiute nelle notti cieche dell’abuso collettivo, saranno quelle più gravemente danneggiate. E per consolidarle ci sarà bisogno di notevoli iniezioni di danaro pubblico. Per la prima volta nella storia dissennata di questo nostro Paese la ricostruzione pubblica, garanzia e presidio della messa in opera secondo il rigore della legge, rischierà di legittimare l’abuso, istituzionalizzare per legge il fare contra legem. Se rifiutasse di aiutare gli abusivi l’isola bella, la magnifica e lussureggiante terra che guarda i campi flegrei e dà il fianco al Vesuvio, sarebbe un conservatorio di macerie disseminate, di crepe silenti e pericolose, di intonaci caduti, mura sbrecciate, tetti pericolanti o infiltrati dall’acqua.

Al danno dunque la beffa. Il danno di una classe dirigente, burocratica e politica, che ha consumato o lasciato depredare un territorio così incredibilmente ricco, fonte di un’agiatezza economica che gli isolani certo non dividono col resto del Paese, e la beffa di chiamare le Istituzioni, le cui leggi sono state disattese, eluse o vilipese, ora a intervenire.

NEL COMUNICATO col quale i sindaci hanno escluso categoricamente che gli edifici crollati fossero quelli edificati oltre la legge o contro la legge, non c’è traccia – perché non vi poteva essere – di quanti cittadini proprietari di case legali, di quelle solo sanate e delle altre insanabili, chiederanno un sostegno economico. Basteranno però poche settimane perché il censimento dei danni si compia. E il saldo finale sarà la cartina di tornasole di quanti soldi saranno necessari e a chi andranno. Né in quel comunicato c’è traccia di un’altra realtà: quante case condonate hanno poi ricevuto opere di adeguamento o consolidamento statico. Sarebbe facile per i sindaci, e utile per l’opinione pubblica e per l’immagine dell’isola, andare negli archivi degli uffici tecnici e controllare quanti ischitani o italiani che nella meravigliosa isola hanno deciso di risiedere e fare affari, costruire e trasformare in alberghi, residence, B&B le loro dimore hanno provveduto a curare col ferro le colate di cemento impoverito per via dell’abuso, a cucire con i cordoli le pareti di mattoni forati eretti sotto le stelle.

Quanti insomma, ravvedendosi, hanno scelto di mettere in sicurezza – seppure a posteriori – la propria abitazione e quanti invece hanno atteso che la sorte bussasse alla porta.

Da: Il Fatto Quotidiano, 23 agosto 2017

ALFABETO – DANIELE CACCAMO: “Noi vigili del fuoco ‘discontinui’: pronti, ma lasciati a casa”

La linea del fuoco che divampa senza sosta nel sud d’Italia, bruciando i suoi boschi, le sue bellezze e le sue residue ricchezze, è tenuta sotto controllo anche dal “vigile discontinuo”. È un pompiere che guarda il fuoco ma non lo spegne. Attende. Attende la chiamata, il suo turno. Se arriva, quando arriva. La burocrazia trova sempre le parole giuste per definire la propria sclerosi. Dovendo distinguere tra precari e precarissimi, tra disperati e disperatissimi, è stata coniata questa ridicolaggine: il vigile del fuoco discontinuo. Un esercito di riserva dei pompieri, che oggi tocca le 16 mila unità, organizzato in una associazione sindacale il cui presidente, Daniele Caccamo, risiede a Reggio Calabria. “I vigili del fuoco in Italia sono 26 mila. Ne tolga mille impegnati nelle postazioni fisse dei 38 scali aeroportuali, ne tolga un’altra quota imboscata, infrattata o solo ammalata, poi divida per quattro, tanti sono i turni di lavoro quotidiani, e troverà in questo momento all’opera in tutta Italia 6.500 vigili attivi”.

Pochino.

La notte del terremoto di Amatrice, il comando di Rieti aveva in servizio cinque pompieri: l’autista, il capo pattuglia e tre colleghi. Nelle prime due/tre ore tanti erano impegnati a fronte del disastro. Però a Rieti vivono molti vigili discontinui, che quella notte sono andati al comando chiedendo di essere impiegati. Gli hanno risposto che non era possibile, perché il comando non aveva previsto turni per loro. Neanche gratis sarebbero potuti andare perché non ci sarebbe stata copertura assicurativa. Cosicché si è dovuto attendere l’arrivo delle varie colonne mobili da Roma e Milano. Anche con le pietre sulla testa della gente noi siamo stati esclusi.

Voi siete vigili del fuoco ai quali lo Stato chiede sempre di meno.

Fino al 2014 eravamo occupati per tre, quattro, cinque mesi all’anno. Poi l’austerità e il taglio dei turni e degli impieghi. Prima ci aiutavamo con le indennità di disoccupazione: metà anno lavoravamo, metà percepivamo l’indennità. Oggi le ore sono così poche che non abbiamo alcun diritto.

Voi siete i pompieri di terza fascia, i precari dei precari.

Infatti chi va in pensione viene rimpiazzato dai vincitori del concorso del 2007.

E voi non siete vincitori di concorso.Continue reading

ALFABETO – MICHELE ORICCHIO, procuratore della Corte dei Conti in Campania: “Siamo un Paese troppo creativo: anche sugli sprechi”

Il mondo alla rovescia. L’autovelox che doveva impedire di farci sfracellare in auto imponendoci di percorrere le statali alle velocità della Formula uno è stato utilizzato per aumentare l’indice di indebitamento dei comuni; la Tari, che avrebbe dovuto portare pulizia nei conti e nelle strade, produce extra costi e, purtroppo, un di più di monnezza a la carte. Due degli esempi che Michele Oricchio, procuratore della Corte dei Conti in Campania, il pubblico accusatore degli sprechi collettivi, avanza per documentare il destino irrecuperabile delle casse pubbliche. “Le spiego perché l’autovelox ha realizzato un altro momento di costosa inefficienza pubblica?”.

Spieghi, procuratore.

La misura del controllo della velocità è assolutamente condivisibile. Ma l’auto velox più che preoccuparsi dell’incolumità dei viaggiatori è divenuto il banchetto al quale hanno attinto le fauci voraci dei comuni lambiti da strade a scorrimento veloce.

I sindaci hanno puntato gli infrarossi.

I sindaci hanno immediatamente capito che prendevano due piccioni con una fava: si spennava il viaggiatore ignoto, dunque liberi di farlo inviperire per l’ammenda comminata sul filo di lana dei 90 chilometri orari, venti in più del previsto, e quei soldi li distribuiva ai viaggiatori felici e incolumi da ogni possibile misfatto nella loro qualità di residenti ed elettori.

Il sindaco prega che il viaggiatore ignoto prema sull’acceleratore.Continue reading

Favara e l’abuso a rovescio: sigilli contro l’arte in strada

Veniva riscontrata occupazione abusiva di suolo pubblico con una pedana di legno avente forma trapezoidale (…) con una sovrastante struttura di ferro e legno… con una struttura denominata Equilatera avente le seguenti dimensioni: base maggiore m 4,60 metri, base minore metri 3,20, lunghezza 13,60 metri”.

A FAVARA, città siciliana che all’abuso fa l’inchino quotidiano, abituata negli anni a essere deformata dal cemento, al punto di apparire, nella prima periferia, più un’escrescenza urbana alle porte di Agrigento che una città orgogliosa delle sue mura e della propria identità, il comune annota l’abuso di una installazione artistica e prescrive – con tanto di provvedimento – il ripristino dei luoghi, prospettando una sanzione amministrativa che potrà raggiungere i ventimila euro. Nella tenaglia dell’occhiutissima amministrazione, oggi peraltro guidata da una giovane sindaca cinquestelle, Anna Alba, è cascato il Farm Cultural Park, un’invenzione di una coppia, Andrea Bartoli e Florinda Saieva, che ha rivoltato letteralmente l’immagine della città, trasformandola da disastrata enclave di un territorio – l’agrigentino appunto – s edotto e conquistato dalle mafie a snodo nevralgico dell’arte contemporanea, stazione di partenza e di arrivo di artisti di grande livello. Una enorme farcitura culturale che si regge – e questo è un altro dato enorme per l’isola – sulle finanze private. Una scommessa nella scommessa e, cosa ancora più lucente e incredibile, un traino incredibile per l’economia locale che si è vista conquistare da questa idea, per metà pazza e per l’altra metà invece lucidissima. La fattoria creativa si è trasformata in una meta imperdibile, gli alberghi hanno iniziato a riempirsi, le imprese a darsi coraggio, la città a riconoscere un progetto nato nel segno di una scelta familiare, di un desiderio privato: “Dovevamo prendere una decisione per le nostre figlie: farle vivere nel degrado era per noi inaccettabile. Allora ci siamo detti: o cambiamo Favara oppure andiamo all’estero”, ricorda Bartoli, il notaio fondatore.Continue reading

Andrea Causin: “Cucino per i camionisti e in politica corro con B. per salvare le periferie”

Non esistono solo Renzi o Berlusconi o Grillo. In Parlamento in tanti vogliono cambiare l’Italia e purtroppo non hanno un filo di visibilità, giacciono all’ombra dei leader. Per dire, conoscete mica Andrea Causin? “Ho 45 anni e vivo a Martellago. Ho una trattoria per camionisti proprio allo svincolo autostradale e sono socio di una impresa di servizi. Poi, per passione, faccio il deputato”.

Causin, diciamola tutta, lei si schermisce perché il suo stile è improntato alla sobrietà. Però la notizia è un’altra.

Facevo bene allora a non risponderle. In genere non parlo coi giornalisti perché scrivono quel che vogliono, ti rubano il pensiero, te lo ciancicano, te lo stropicciano e tu ne esci come un coglione.

Si è appena iscritto a Forza Italia, la ricandidatura è sicura…

Sono stato due ore e mezza da Silvio Berlusconi e ho visto un uomo sinceramente preoccupato per lo stato delle periferie in Italia.

Non c’è solo Trump. Finalmente un altro ricco che pensa ai poveri.

L’ho trovato sul pezzo, volitivo, generoso. E io che ho presieduto la commissione periferie mi sono sentito garantito dal suo impegno.

Vogliamo dire che c’è anche dell’altro? Lo dice lei o lo scrivo io?

Certo, mi muovo nel solco della tradizione del Partito popolare europeo. Cambio partito per restare fedele al principio.

E pensare che Veltroni la volle nella segreteria nazionale del Pd.Continue reading

La legione dei desperados: “Ricandidami, ti prego!”

“La politica è una sostanza stupefacente”, dice lui. “Infatti noi siamo sotto metadone”, rassicura lei. Lui, il barese Francesco Paolo Sisto, e tra gli avvocati berlusconizzati il più resistente, vanesio e glamour, galvanizzato dagli eventi e dalla sorte. “C’è troppa fila alla porta di Silvio. Saremo comprensivi ma certo non possiamo accogliere tutti. C’è chi ha diritto ad avere un posto in tolda e chi – senza troppo amareggiarsi – deve accomodarsi sotto coperta. Il destino, le avversità e un pizzico di colpa lo hanno fatto giungere tardi all’appuntamento”. È iniziata l’estate dello sconforto, sono 300 i desperados in cerca di casa, i migranti economici della politica, senza tetto bisognosi di accasarsi.

“Siamo in braghe di tela ma questi sono i momenti dove chi mastica la politica capisce dov’è la trappola, dove si annega e dove invece ci si salva”. Cinzia Bonfrisco è una signora veronese ex del Biscione: “Berlusconi è come il pastore Jim Jones quando mandò felicemente al suicidio 900 suoi adepti facendogli credere che la morte fosse l’unica arma per raggiungere la felicità. Con le cifre dei sondaggi più favorevoli chi vuoi che si salvi? Lui e i famigli, la ristretta cerchia dei devoti. Ma gli altri? Dico di riflettere. Noi con Raffaele Fitto ci battiamo per un ricambio generazionale del centrodestra. Lì è la nostra storia ma lì le cose devono cambiare”.

Fino al 6 ottobre, data in cui si presenteranno le liste per le regionali siciliane e finalmente si capirà con gli apparentamenti dove sia la salvezza, i trecento migranti, parlamentari in esubero contando i cento che pure perderebbe il Pd, navigano in un mare di guai. Terrorizzati dall’idea che – di punto in bianco – del domani non vi sia nessuna certezza. L’avvocato Sisto, sicuro: “Il problema è che si sono mossi tardi, vediamo un po’ come organizzarci, magari con una quarta gamba del centrodestra”.

Cavolo, la quarta gamba? “Ma quella è una bad company, lì si sfracellano tutti”, urla Giuseppe Castiglione, alfaniano e raccoglitore di voti nella Sicilia orientale. “Dico, siamo matti? Se si va col proporzionale l’unica possibilità di ritornare in Parlamento è che Berlusconi ti piazzi capolista. Ipotesi assurda, no? Allora ti salvi solo se hai i voti. Chi starà al centro, chi resisterà con Alfano, vedrà il successo alla portata di mano. Basta essere radicati sul territorio. Angelino ha promesso che a settembre scenderemo in campo noi, il centro schiererà la formazione migliore, e vedrete quale forza saremo in grado di contrapporre sia a Renzi che a Berlusconi”.Continue reading

“Ho tenuto aperto lo studio. Ora, prima o poi, dico ciao”

Alessandra Moretti è la decana degli sbalzati di sella. È colei che ha perso di più al tavolo da poker del Pd. È dunque titolata a parlare della genesi della disperazione in politica. “Prima cosa da sapere: se alla politica togli la passione, resta solo l’invidia e la cattiveria. Senza passione divieni più vulnerabile, e gli inciampi ti costano di più”.

I suoi inciampi sono stati terribili. C’è stato un periodo che sembrava veramente oggetto di una fattura maligna.

Esagerate sempre… certo ho vissuto momenti di difficoltà.

Il viaggio in India…

Non andiamo sui dettagli…

Ha buttato alle ortiche una fortuna. Oggi chi si dispera per farsi rieleggere deve ripensare a quel che le accadde.

Sta parlando delle 232mila preferenze alle europee?

Ecco.

Allo stipendione che ho lasciato e pure al vitalizio andato in fumo.

Le resta il seggio da consigliere in Veneto.

Ho fatto quel che mi chiedeva il partito.

Non era sazia, ma ambiziosa oltre misura. E in tv imperversava e la intervistavano su ogni faccenda dell’universo e lei sembrava sempre fuori tempo.

Parzialmente d’accordo. Ora scelgo io dove andare e parlo solo dei temi di cui mi occupo.

Era in segreteria nazionale. La politica è crudele.

Sono nella direzione nazionale e mi basta. Ho tenuto aperto lo studio legale perché so che verrà il tempo di fare con la manina ciao alla politica.

Volessimo chiederle come si fa?

A rialzarsi?

A morigerare l’ambizione.

Lei prende una parte e ne fa il tutto. È fazioso.

Lasciata con un pugno di mosche in mano.

Ripeto: è fazioso. Sono maturata, ho riflettuto sulla provvisorietà della politica…

Tutto passa: anche Renzi, anche il Pd.

Spero di no. E comunque resta la famiglia e il lavoro. Cioè la vita.

Da: Il Fatto Quotidiano, 28 luglio 2017  

Giuseppe Civati: “Troppo scollamento, potrei anche lasciare: tanto vivo di poco”

Matteo sta male e anche Pippo non si sente più tanto bene. Il primo Civati faceva tandem alla Leopolda col primo Renzi. Tutti e due portati in palmo di mano. Poi Matteo prende il potere e caccia Pippo. Pippo si inalbera e fonda Possibile. Matteo perde il potere e Pippo perde la felicità.

Caro Civati, vi ha fregati il renzismo e vi sta fregando l’antirenzismo.

Non riusciamo a illustrare un intento distinto, autonomo. Dire dieci cose di sinistra, dieci propositi, realizzazioni, possibilità. Dieci ambizioni. Dopo la decima parola compare Renzi, dopo la quindicesima ecco D’Alema. Chi può ascoltare un soliloquio simile, che diciamo al bar? Parliamo di Pisapia?

Renzi sarà il passato, ma voi un po’ trapassati.

Ho dolore nel darle ragione, mi sembra un’analisi spietata e sincera. Avremmo bisogno di incardinare alcune idee, pensare al mondo che vogliamo e invece per conformismo politico e mediatico stiamo tutto il tempo a parlare di Renzi. Anche ora, anche quando Renzi è un po’ bollito.

Lei aveva utilizzato una parola volitiva e insieme vigorosa (Possibile) per chiamare il suo movimento. Ma il suo Possibile sta divenendo Improbabile.

La consapevolezza non mi manca, il guaio è proprio questo. Sentire su di sé il peso di una dissociazione cognitiva, uno scollamento tra noi e la società, capire che è esiziale e non riuscire a fermarlo.

Dispiace dirlo ma il declino di Renzi viaggia in parallelo al suo. Lui si indebolisce ma lei azzera le possibilità.Continue reading

ALFABETO – MARINO NIOLA: “La dieta mediterranea, l’unico miracolo italiano”

marino-niolaÈ a suo modo un miracolo italiano e nel deserto attuale di opere e opportunità, consola, un po’stranisce e un po’soddisfa. Il miracolo della povertà che si fa ricchezza è il cibo che da scarto diviene gustoso, immancabile, indimenticabile a tavola. Primato invidiabile.

Marino Niola, almeno una delle tante questioni meridionali è stata affrontata e vinta.

Si può dire vinta. Ideologicamente vinta. Perché la cosiddetta dieta mediterranea, nata tra Acciaioli e Pioppi, sulle coste cilentane, espressione coniata dall’americano Ancel Keys, l’inventore della razione kappa, il kit di sopravvivenza giornaliera dei militari, è divenuta virtù sociale, stile di vita e in qualche modo rivalsa della società ritenuta più arretrata nei confronti di quella progredita.

Dieta è la parola delle nuove ossessioni.

È il mostro quotidiano che ci affianca, intimorisce e controlla. È la parola clou del nostro terrore interiore. In questo caso la parola, coniugandosi a un mare, si trasforma e da ossessione diviene redenzione, da crisi a opportunità.

La vittoria dei cibi scarni, misconosciuti, evitati dalle tavole ricche.

Da una parte la cicoria, le fave, la pasta, l’olio, il pomodoro, il pesce azzurro. Dall’altra i grassi vegetali del nord europa, le carni pregiate americane, i tagli di pesce preziosi. Mangiare ceci, se è stagione di ceci, o fichi, se l’estate è matura e declina verso il più mite settembre, non solo fa bene, fa star bene e rende felici.

Per una volta si può dire che il sud è andato a nozze coi fichi secchi.

Tecnicamente è così. Tra l’altro Keys mangiava proprio due fichi secchi a sera prima di addormentarsi.

La dieta mediterranea appare più un elisir di lunga vita, un reticolo di antiossidanti che spingono la nostra esistenza verso un domani lontano.

No, non è un barattolo di nutrienti che si acquista in farmacia. La rivoluzione è che questi prodotti, che pure hanno le qualità di aumentare il benessere, hanno trascinato una cultura e hanno contaminato altre zone del sud. E la dieta mediterranea da semplice coesistenza di bontà dell’orto di un minuscolo lembo d’Italia, si è trasformata nel più grande volano economico, contaminando nella ricerca dell’identità persa, della memoria altre zone, altre città.

La dieta mediterranea è fatturato pubblico, è Pil.

È così. Fattura milioni di euro grazie a una coscienza del mangiare attraverso i frutti della propria terra che è divenuta stile di vita, anche espressione culturale e spinta per una nuova coesione sociale. Non è un caso che l’Unesco abbia ritenuto patrimonio dell’umanità questa dieta e la Fao l’abbia raccomandata come la più economicamente sostenibile per i popoli di nazioni in via di sviluppo.

L’indigenza che si fa eccellenza e anche opulenza.

Esempio virtuoso di come una qualità naturale possa essere trasformata da cibo in costume e stile di vita e infine, senza mai annientarla, in risorsa strategica. Le osterie che cucinano prodotti poveri e con un gusto inimitabile sono oramai decine, le industrie di trasformazione e commercio fanno affari, persino l’humus culturale trova conforto e riparo. Il cibo, senza le ipertrofie culinarie degli chef stellati, si riscopre l’unico vettore che può veramente traghettarci verso la felicità.

Finalmente una buona notizia: la felicità senza il colesterolo di mezzo.

La cicoria può battere il branzino. Davide contro Golia, chi l’avrebbe mai detto?

E le fave guerreggiare con l’angus argentino e sbaragliarlo.

E il pane cotto?

E il grano arso? Professore, questo è davvero un miracolo.

Gliel’ho detto all’inizio, l’unico miracolo italiano dopo quello del dopoguerra.

La dieta meridionale.

Mediterranea.

Chissà che mangiando bene e vivendo di più i meridionali non possano riflettere meglio sulle altre cose da fare.

Piano piano anche l’alluminio anodizzato sta venendo sostituito, e i colori delle mura si ingentiliscono.

Lei pratica l’ottimismo di chi vuole andare a nozze con i fichi secchi.

Le nozze si sono svolte con successo.

Da: Il Fatto Quotidiano, 23 luglio 2017

Luigi Grillo: il politico che celebra chi evade le tasse

luigi-grilloUn breve ma sentito elogio della furbizia, dell’occhiolino che si fa prece e pure dell’assegno in nero che rende lieve la fatica, serena la vita e soprattutto più paffutello il conto in banca. Dobbiamo alla coerenza di Luigi Grillo, politico navigatissimo, già senatore plenipotenziario berlusconiano, con un variegato e interessante curriculum giudiziario, la spigliata lezione tenuta in piazza giovedì scorso a Monterosso, la meraviglia delle Cinque Terre, sede del suo magistero. L’uomo ha ritrovato il piacere della libertà dopo aver sostato alcuni mesi nel carcere di Opera prima di soggiornare purtroppo da detenuto nel suo bellissimo casale di campagna che profuma di limoni e guarda il mare.

Grillo infatti, che ha subito una condanna (patteggiata) a due anni e otto mesi per corruzione (tangenti Expo), è intervenuto nella piazza del paese durante la presentazione del libro “Casa di mare, una storia italiana”, edito da Longanesi e firmato dallo scrittore spezzino Marco Buticchi, figlio di quell’Albino Buticchi, petroliere discusso, rifugiato in Africa per evitare procedimenti giudiziari.

Sull’amicizia col papà dello scrittore, e i ricordi della di lui tempra di industriale e dell’atletico approccio nell’affrontare il periglioso guado dei doveri fiscali, l’ex senatore ora non più recluso ha teorizzato la virtù delle “maglie larghe”: “Nel dopoguerra il Veneto era una palude ma grazie a questi grandi uomini che non rispettavano le regole fino in fondo, anzi sfruttando le “maglie larghe” e ricorrendo anche all’evasione fiscale, hanno trasformato il Paese in una delle più grandi potenze…”.Continue reading