L’oro blu e il colabrodo della rete idrica nazionale

acquaorobluSABRINA PINDO

Qualche anno fa alcuni personaggi che a molti saranno sembrati allora dei ‘visionari’ dissero che l’emergenza del nuovo millennio non sarebbe stata la mancanza del petrolio come sbandierato da tutti sino a quel momento, ma quella dell’acqua. Mediaticamente era una notizia bomba. La chiamarono “l’oro blu” e i giornalisti giù a scrivere articoli e servizi per le televisioni, le riviste e i quotidiani. “Oddio, l’acqua finirà” campeggiava un giorno sì e un giorno sì in tutte le prime pagine e copertine.
Poi più nulla. Nessun provvedimento a livello globale o locale per risolvere il problema: né nel nostro orticello italiano, né nel giardino europeo , né tantomeno nel grande parco mondiale.
I giorni sono passati e i media si sono dimenticati che prima o poi saremmo stati a secco. Ma tutto d’un tratto ecco che le borse crollano, il sistema va in tilt, tutto il nostro benessere sembra ad un passo dalla sparizione. Siccome le cattive notizie non arrivano mai da sole, eccoci di nuovo a parlare dell’acqua. Questa antipatica che ha pensato bene di rimanere una risorsa scarsa proprio ora che i problemi ci arrivano fino al collo.
Altro che scarsa, l’acqua per i media di colpo è tornata ad essere una rarità.
Millimesimata direi, come il buon vino.Continue reading

Realtà made in tv: bella o cenerella

bellaocenerellaSABRINA PINDO

Sono finiti i tempi della brava massaia che sorride alla telecamera e consiglia il detersivo che toglie lo sporco più ostinato. Basta con i petti forti e muscolosi di uomini senza volto che, come dice la voce fuori campo, non devono chiedere mai. A stabilirlo non è ancora una normativa, ma la cosa potrebbe presto accadere come conseguenza di un rapporto-iniziativa dell’Europarlamento contro le discriminazioni sessiste.
Niente più casalinghe diligenti che si struggono per tenere a bada i figli, cucire e contemporaneamente preparare il polpettone. Basta con l’uomo macho che -non so secondo chi di preciso- tutto sporco di grasso sarebbe tanto sexy. Una limitazione decisa, che diventa ancora più importante se lo spot va in onda nel pomeriggio, durante la fascia oraria riservata ai bambini e ai ragazzi, che sulla base di questi facili stereotipi potrebbero costruire la propria visione del mondo distorta.
Donne che lavano, stirano, tirano su i figli, fanno di tutto per la famiglia da mattina a sera. Donne mamme. Oppure ancora donne bellissime che ondeggiano sinuose, nude o quasi, accanto ad un’auto, dentro ad una doccia, sulla riva del mare. Donne sensuali. Per la serie o sei splendida o lavi i pavimenti. Non c’è scampo: bella o cenerella.
Secondo il Rapporto votato con 504 sì dalla maggioranza dei parlamentari Ue parte della discriminazione sessista dipenderebbe proprio dal modo banale in cui la vita viene presentata dalla tv. Ritratti caricaturali della realtà, gli uomini della pubblicità o guidano l’auto o riparano senza risultati un lavandino che perde. Le donne nella versione spot, invece, fanno il ragù in 5 minuti, si svegliano con la messa in piega già fatta e preparano colazioni faraoniche, stirano montagne di panni e alla sera sono ancora fresche come le rose.
Ottima idea quella di limitare gli stereotipi televisivi. Almeno i bambini avranno una visione più realistica del mondo che li aspetta. Peccato che, in ogni caso, sarà comunque sempre necessario un adulto accanto a loro, che siano davanti alla tv oppure no. Figure genitoriali sempre più assenti che dovrebbero spiegare ai più piccoli le cose del mondo. Quelle che vengono dal tubo catodico e quelle che ahinoi succedono fuori dalla nostra finestra.

Diritti e rovesci

dirittierovesciSABRINA PINDO

A pochi metri dai bianchi tavolini del chiosco dove mi trovavo un paio di settimane fa, le onde del mare producevano il loro eterno brusio. Gli altoparlanti della tv, intanto, borbottavano: “La Cina… le olimpiadi… questione dei diritti umani”. Un uomo commentava con la donna che gli sedeva accanto: “I diritti… “. L’improvvisato opinionista era a un tavolo prima del mio e, tra una piadina e un bicchiere d’acqua fresca, proseguiva la sua analisi. “…dei diritti non gliene frega niente a nessuno, questa è la verità”.
Esatto.
Questa è la verità.
Vox popoli vox dei.
Dei diritti, purtroppo, non gliene frega proprio niente a nessuno.
Meglio: la parola “diritti” non comunica assolutamente niente ai non addetti ai lavori. E si viene quindi a creare una spaccatura netta tra la discussione degli edotti e l’interesse della gente.
Ripongo una certa convinzione sul fatto che a chi spetta l’onere di governare, vada molto meglio così.
Ci sono alcune parole che hanno o assumono un significato talmente vasto che non possono essere “tradotte” alla spicciolata. Nel contempo se non le si “traduce”, perché mai proferirle?Continue reading

Come un romanzo

comeunromanzoFRANCESCA SAVINO

“Come se”. Come tutti i racconti, il giornalismo si nutre di “come se”. Serve a riempire i vuoti o, a seconda delle occasioni, a alleggerire i pieni. A volte per avvicinare un’immagine, altre volte per stemperarla. O per capovolgerla senza senso, nello spazio di sette battute. Il punto non è l’omosessualità. Non è la sessualità in genere, né i dati sensibili. Il punto è che i “come se” sono bestie strane, e uno dei motivi è nascosto nella storia di un giovane stewart morto ma non ancora sepolto sulle pagine dei nostri quotidiani. I fatti sono semplici: una sciagura aerea a Barajas, Madrid. Centocinquantatre morti. Fra loro, anche un italiano. Si chiamava Domenico Riso, aveva 41 anni e al suo fianco in aereo c’era la sua famiglia: Pierrick Charilas e il figlioletto di quest’ultimo, Ethan. Lo abbiamo letto solo fra le righe dei giornali, che al massimo si sono spinti a usare nella loro storia le parole coninquilino, amico più caro, “famiglia” ma solo fra virgolette. Lo abbiamo intuito guardando i telegiornali, e sentendo cugini intervistati che parlavano di “un bimbo amato come se fosse un figlio”, scorrendo articoli in cui si diceva che vivevano tutti a Parigi “come se fossero una famiglia fra le tante”. Trattati come se non lo fossero stati.

Una stanza tutta per sé

annaikeaFRANCESCA SAVINO

Anna non esiste. Oggi abbiamo conversato per venti minuti, ma lei non esiste. Anna rispondeva alle mie domande, io cercavo di metterla in crisi. Anna è l’assistente virtuale che sul sito internet Ikea accompagna il cliente, o il curioso, verso link, mobili o negozi di suo gradimento. È educata, con una risposta pronta per ogni occasione (“E’ una bella risposta, la tua”, e lei: “Grazie, mi fai quasi arrossire”. “Sei bella” e Anna: “Grazie, i miei disegnatori si sono dati da fare”). Ogni tanto si irrigidisce (“Chi sono i tuoi disegnatori?” “È semplicemente impossibile ricordarsi i nomi di tutte le persone che visitano il nostro sito e mi fanno domande. Sono già contenta di ricordami del mio! Mi chiamo Anna e sono a vostra piena disposizione per rispondere a tutte le domande su Ikea”).
Non si è affatto irrigidita quando le ho chiesto quale fosse la filosofia della sua azienda. Mi ha risposto che non si finisce mai di imparare. Ingvar Kamprad ha fondato il colosso Ikea su questa convinzione. Ha iniziato negli anni Trenta vendendo fiammiferi. Sulla sua bicicletta, nella campagna svedese, ha viaggiato a zig-zag fra pesce, matite, decorazioni per gli alberi di Natale. Un regalo del padre quando aveva 17 anni è stato il capitale iniziale di Ikea. Dislessico, ha scelto di dare ai suoi mobili nomi curiosi al posto dei numeri. Alcolista, ha imparato a tenere la scimmia sotto controllo con il lavoro. Con trascorsi ambiguamente nazisti, dopo la guerra ha scritto una lettera di scuse ai suoi dipendenti ebrei.Continue reading

Piccole radio crescono

radioCARLO TECCE

Informate il legislatore del Regio Decreto del 1912: il mondo s’è capovolto. All’epoca, alla genesi della comunicazione di massa, furono costituite due società private a capitale pubblico: la Radiofono Italiana e l’Italia Radio Audizioni Circolari. Prima della «Grande Guerra» e della «Grande Censura», le radio trasmettevano solcando infrastrutture statali e previa approvazione dei palinsesti da parte del Ministero delle Poste e delle Telecomunicazioni. Nessuno ci credeva. Nel 2008 convivono e sgomitano oltre duecento emittenti radiofoniche: da Radio Bella e Monella (Veneto) a Radio Maria, da Radio Babboleo (Puglia) a Radio Buon Consiglio. I riottosi anni ’70 sono la miscela esplosiva per scatenare la riproduzione della radio e con buona pace dello Stato, puntellato dalle assidue sentenze della Corte Costituzionale. La proliferazione della parole senza volto, evviva le nuove tecnologie, è nel pieno del suo splendore: il vecchio ripetitore, il pc casalingo e portatile, il telefonino. Guglielmo Marconi idolo degli ultrà: questa moda, però, nemmeno il legislatore del 1912 l’avrebbe pensata.Continue reading