il potere gioca con le parole

 

Bersani fa finta di non intendere bene D’Alema, e D’Alema si compiace di non comprendere il filo del pensiero di Bersani. I due si scambiano parole vuote e le vendono per buone come accade al mercato per le melanzane aspre, già vecchie, messe sul banco come freschissime. La politica ha il compito di utilizzare le parole per comporre un pensiero, sostenere una suggestione, elaborare un progetto di vita. A Largo del Nazareno, sede del Partito democratico, i linguaggi invece si intorcinano al collo dei protagonisti fino a strozzargli la voce. Il dramma di D’Alema, prima che umano, è stilistico. Capisce che è giunto il suo momento, che la scelta di lasciare lo scranno del Parlamento è una decisione improcrastinabile, obbligata dalla realtà delle cose, da questo mondo nuovo. Sono i fatti che lo costringono a prendere in esame l’ipotesi.
PERÒ decide di resistere alla realtà e, per contraddirla, utilizza a suo piacimento le parole. È pronto a lasciare il Parlamento, a far entrare aria nuova nel Palazzo, ma è pronto anche a restarvi se qualcuno glielo chiederà. E chi è che dovrebbe chiederglielo? Non i seicento temerari ma sfortunati firmatari di un appello che, alla fine, fa sfigurare proprio colui che vorrebbe onorare, cioè D’Alema. È il segretario del partito che dovrebbe avanzare la proposta: resta con noi, ancora cinque anni con noi Massimo. “Ma io non glielo chiedo”, dice Bersani. Potrebbe, anzi avrebbe dovuto chiudersi qui la partita, la storia, forse l’amicizia. I due invece di fermarsi, magari di abbracciarsi, perchè la saggezza conduce alla compassione e non alla vendetta, oppure di raccontarsi quale coraggio e determinazione servano per fare fronte alle responsabilità della leadership, iniziano il gioco delle parole. D’Alema si dice d’accordo con Bersani, e figurarsi Bersani. È il partito che deciderà se sarà candidato. “Gli organi dirigenti”, li chiama lui, l’esaminando. E il partito però decide in ragione di una domanda dell’interessato: vorrei ancora restare con voi, posso? Ecco che l’uso smodato delle parole, vuote come melanzane vecchie, trasforma il Pd in una Babele di lingue e conduce il cittadino ai soliti cattivi pensieri. Poteva l’eleganza di un gesto costringere la più malevola delle congetture a farsi da parte, a indietreggiare un po’. Ma sarebbe stato veramente troppo.
da: Il Fatto Quotidiano, 17 ottobre 2012

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