Di Pietro: padre padrone cade insieme a Berlusconi

 

Mettiamo da parte le case, i terreni, i fienili e il grano in senso proprio e figurato di Antonio Di Pietro. Ha titoli per difendere la legittimità dei suoi acquisti e documenti per attestarne la liceità. Fa bene ad esibirli fin nelle più intestine descrizioni e siamo dunque d’accordo con lui: il partito non è una privata abitazione. Forse non se n’è accorto, ma in quest’ultima settimana Di Pietro ha chiuso il partito, somministrandogli l’estrema unzione, e poi l’ha riaperto, decretandone la resurrezione, proprio come fosse la sua porticina di casa. Lunedì Italia dei Valori era morta, mercoledì il leader viaggiava, su proposta di Grillo, verso il Quirinale, giovedì era pronto un altro logo e forse un altro movimento dal nome impressionista (“Basta!”), ieri è invece ritornato sia il gabbiano che la sigla Idv, il partito è risorto e già gode di ritrovata ottima salute. Quel che Di Pietro non ha percepito è la deflagrazione della sua leadership per come si è espressa in questi anni. Il potere assoluto sul movimento e l’insindacabilità delle scelte, anche quelle più misteriose e confuse, degli uomini ai quali era chiesto di issare il vessillo della legalità, fondava sul presupposto dell’emergenza democratica, nella ribellione alla tirannide berlusconiana, nel contrasto alla quotidiana devianza dalle regole, dai doveri e dal diritto. È stata una battaglia campale nella quale il dipietrismo si è fatto carne e spirito, è divenuto linguaggio sempre più comune, intendimento che ha raccolto consensi via via più vasti, dispiegando una non trascurabile forza attrattiva. È stata premiata la caparbietà dell’ex magistrato in una lotta parsa sincera anche se impari, e il coraggio col quale ha sfidato il più forte, la determinazione ad evitare compromessi, a spalare da solo il fango, gli hanno concesso la più ampia delle facoltà: dire e fare in casa sua a proprio piacimento. Persino la scaltrezza, somministrata in dosi massicce, è parsa come un elemento costituente la personalità: il tipo è furbo, più furbo di Silvio. Che bellezza! Ma il Tonino nazionale non sapeva che la furbizia, portata all’eccesso, sarebbe divenuta una devianza dell’intelligenza. E il potere, se non mitigato da una visione di governo, si sarebbe convertito in semplice mastice familistico. Simul stabunt simul cadent. L’oblìo del berlusconismo ha condotto anche il dipietrismo alla resa dei conti. Lo ha scoperto nel suo punto più debole: la strategia politica. Un partito per la legalità vive anzitutto di regole al suo interno, ed esse sono subito parse molto al di sotto del minimo indispensabile. Per non ridursi a un partito a tempo ha bisogno di illustrare anche il mondo nuovo che immagina e propone. E indicare i volti e le alleanze per condurci oltre la crisi, insieme civile ed economica. E qui anche la fisiognomica ha giocato da nemica. Sono comparsi a un tratto, messi in fila come sette nani, i piccoli uomini del grande leader, le loro pance, la gracile grammatica e infine i conti in banca. Il più grandioso avversario del dipietrismo si chiama Maruccio, che non è il diminutivo di Mario, ma il cognome emblema del carrierista di provincia, acquisitore di cravatte e compensi, sterminatore di bucatini all’amatriciana, fustigatore dei costumi altrui. È SALITA a galla, come un titanic sottratto alle acque, la scelta fatta negli anni da Di Pietro. Entrava nel partito e saliva i gradini della gerarchia chi aveva più copertura di voti, chi trasformava l’urna elettorale in oro, chi aveva dimestichezza con le preferenze e le clientele. Ne usciva il militante sfigato ma forse integerrimo. Nel Molise, la sua terra, il modello vincente è stato un mix di Democrazia cristiana e berlusconismo in avanzato stato di decomposizione. Così Di Pietro ha mandato al consiglio regionale, ora sciolto, suo figlio Cristiano (e perchè?), un immobiliarista piuttosto chiacchierato, e non si direbbe una scelta felice, e un ex calciatore, un bravo figlio dal pensiero gnè gnè. Idv ha sostenuto alle passate elezioni regionali un candidato presidente che aveva navigato a lungo nelle acque di Forza Italia e l’attuale segretario provinciale di Di Pietro è stato nominato dal governatore uscente, il berlusconiano Michele Iorio, nel consiglio di amministrazione della finanziaria regionale. Basta questo piccolo inserto del dipietrismo di provincia per rassicurare il nostro: nessun complotto è stato ordito, è tutta farina del tuo sacco.

da: Il Fatto Quotidiano, 6 novembre 2012

Share Button

1 Comment

  1. Credo che il tuo ragionamento su Di Pietro e il dipietrismo sia giusto, ma l’analisi del declino politico dell’IDV deve comprendere anche la repulsione,a livello di pubblica opinione,di un giustizialismo becero, a tratti fascistoide, unito a mentalità generalizzata in tuitto il partito da “questurini”che vorrebbero vedere tutti in galera,indipendentemente dalla presunzione di innocenza.L’ossessivo e quasi patologico agitare il tintinnio delle manette, per tutti, ha provocato una crisi di rigetto dopo l’ormai ricca collezione di ruberie, di scandali, di manovre e giochetti vari che ha messo in campo l’IDV nell’ultimo anno. Non si possono più accettare lezioni di moralità da chi non è più in grado di darle e ha preteso falsamente di dettare le regole della legalità a tutti.

Comments are closed.