Botte da orbi: Renzi e Bersani tornano a spaccare i democratici

IL SINDACO: “IL PARTITO MI PUGNALA: ESCLUSO DA GRANDE ELETTORE PER IL COLLE DOPO UNA TELEFONATA DA ROMA” IL SEGRETARIO: “NON SONO STATO IO, CHIEDI A TELECOM”
Il candore di una banale constatazione, confessata qualche giorno fa da Matteo Renzi in trattoria, “più passa il tempo e più mi brucio”, produce in Pier Luigi Bersani il sentimento esausto per le “quotidiane molestie” di cui si sente vittima. Qui è il punto, e da qui si parta per raccontare l’ultima, feroce divisione tra i due blocchi. Il Pd oggi è allo strazio e piange il suo telefono interno. La questione telefonica (su chi abbia bloccato con la cornetta la nomina di Renzi a grande elettore toscano nel prossimo voto per il presidente della Repubblica) ha ieri ricondotto al ruolo di “m o l estatore” il giovane Matteo, alter ego di Pier Luigi, anzi il futuro prossimo del Pd, suo leader ombra. SCATENATO, dunque in perfetta forma e a suo agio in un rapido tour elettorale nel Nord est, Renzi ha spiegato: “Il problemino è che Bersani non ha vinto le elezioni”. Dentro questo problemino l’accusa rovente: “Qualcuno mi aveva detto vai avanti tranquillo, non c’è problema, ti votiamo come delegato toscano per l’elezione del nuovo presidente. Eppoi s’è visto”. Si è visto che c’è stata “una telefonata da Roma”. Ecco la pressione, anzi la ritrattazione, persino il tradimento di Bersani. Veleno puro. Seguito da un breve alleggerimento tattico: “Io mi fido, sono contro la doppiezza, ma va bene”. Ottimo materiale, e tutto magnificamente televisivo: sorrisetti al vetriolo su Sky, dove parlava il giovane, e sorrisetto ammiccante al Tg1, dove si difendeva il segretario anziano: “Chiedetelo alla Telecom!” ha proposto, sfidando chiunque a dire che lui avesse chiamato per stopparlo. “No e poi no”. Tra i due sorrisi lo scavo enorme nell’affresco maligno di un partito sbandato, oramai pieno solo di accidia, con lo sguardo bifronte e il portafogli doppio.

LA DIVISIONE renziana, che può contare a Roma su una settantina di parlamentari, ha colpito duramente ed è passata alla baionetta di un corpo a corpo che ha svuotato l’inchiostro dei cronisti. Nessuno dei deputati si è sottratto al commento dispiaciuto e parecchio incavolato: “È un autogol di cui certamente avremmo dovuto farne a meno”. Oppure: “Non si capisce perchè facciano così. Anzi, si comprende benissimo”. Lui, Matteo, pregustava l’idea di raggiungere Roma. E aveva ogni ragione per ritenerla certa: “Al primo scrutinio avrei votato Giancarlo Antognoni. Il piacere di far entrare nella storia della Repubblica il numero 10 della Fiorentina, la storia della mia città”. Renzi in Transatlantico avrebbe succhiato ogni energia ai giornalisti, ogni attenzione alle telecamere sistemate nel cortile di Montecitorio. E lui non si sarebbe risparmiato. Paroline e parolone. Frasi in scena e frasi per i retroscena. Lui astro ormai più che nascente e l’altro, Pier Luigi, astro più che calante.

ILLUSTRAZIONE plastica del passato e del futuro, abbrivio per condurre il Pd dietro la sigla fiorentina: “L’unica cosa che non farò mai è dividere questo partito. Ci tengo alla sua unità, alla sua forza, alla sua identità”, garantisce Matteo. Aveva avuto assicurazioni che tre consiglieri dalemiani toscani avrebbero concesso il nulla osta per lo sbarco a Montecitorio. Valutazione irrobustita da una iniziale, breve ma certo non insignificante simpatia che Massimo D’Alema, la prima e più illustre vittima della rottamazione, avrebbe fatto intuire per lui. E oggi, proprio oggi, D’Alema sarà a Firenze per tenere un discorso all’università. E lui oggi, proprio oggi, sarebbe dovuto essergli accanto. Non ha deciso ancora, “non so se andare oppure no”. Conoscendolo, e soprattutto conoscendo la cura che porta per la tutela della sua immagine, propendiamo per il no. Oggi è a Roma per l’ennesima apparizione televisiva, si registra Porta a Porta ed è un’occasionissima per lanciare ulteriori fendenti. La guerra è aperta e totale e la corsa al voto, si voti prima che si può, è l’obiettivo principe. Lui non è “per la perdita di tempo”, gli italiani “chiedono un governo oppure se non lo si fa non resta che il ritorno alle urne”, ma Bersani non ha simpatie per “i qualunquisti”. “Mi ha dato del qualunquista”, ha detto Renzi col solito sorriso. È una brutta aria, se Dario Franceschini tirando le somme degli insulti, annota: “Temo la scissione”.
da: Il Fatto Quotidiano, 11 aprile 2013

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