“Rottamare i capi tribù, Renzi compreso”

DA PESARO FINO ALL’EMILIA ROSSA, LA RIVOLTA DI “OCCUPYPD” CONTINUA: FORLÌ, ALBINEA E LA MITICA SEZIONE DELLA BOLOGNINA


Prima di giungere al Piave dello sgomento che è la Bolognina – il centro del centro della storia della sinistra italiana, il luogo dove sono accorsi, nelle ore della disfatta del Pd, furenti e disperati, i militi estranei alla guerra degli odi e delle correnti – c’è bisogno di percorrere tutta la via Emilia verso la Romagna. Con una lieve e dolce retromarcia da Rimini giungere a Pesaro, dove il presidente della Provincia Matteo Ricci pensa che un partito che si rispetti al primo posto metta un sentimento che si rispetti: “La felicità sarebbe un bel punto programmatico e noi che qui ci facciamo un festival diciamo che esiste un aspetto pubblico di questo sentimento prevalentemente privato. La radice di un buon governo è il buon vivere, dunque la felicità possibile, praticabile, raggiungibile. Un partito come quello che intendo io non avrebbe avuto alcuna remora a usare questa parola così limpida e così dolce, delicata, riformista, radicale. Il fatto è che io sono figlio del Pd, loro, quelli di Roma, sono figli di due ex partiti che non ci sono più”. C’è quest’altro Matteo, di 38 anni, a voler resettare, chiudere in cantina la vita e le opere dei protagonisti della disfatta. “Non ne salvo nessuno. Le correnti ci hanno ucciso e il ceto dirigente patisce una malattia autoimmune. Rigenera cellulemalate e con i loro rancori, gli odi, le vendette e i tradimenti tragici stanno facendo la pelle a questo partito che non sentono loro, e che infatti non è loro”.
COVA e prende vigore dalle ceneri questa falange degli invisibili, dirigenti affermati nel territorio ma assenti a Roma, decisivi nella loro provincia, snobbati nella capitale. “C’è una spiegazione oggettiva del perché siamo ai margini: l’indipendenza di giudizio, la ribellione a qualunque cordata, la voglia di non essere incapsulati. Se si parla in libertà, dunque si contesta in libertà e si propone in libertà il risultato è che sei fuori linea e i dirigenti ti dicono: ma così ti isoli!”. Un altro renitente alla leva è Roberto Balzani, sindaco di Forlì, il zitadon , il cittadone romagnolo. Un paesone più che una città, agricoltura intensiva e sezioni a sviluppo intensivo: molti iscritti (anche se molto meno del tempo glorioso), pochi disubbidienti. L’anestetico di cui soffre questo partito è il risultato della sovrapposizione di due doppie separazioni, due lutti non ancora elaborati, due mega cordate che si rincorrono senza mai incontrarsi. Gli eredi del Pci e quelli della Dc. “Non hanno capito che è finita, che sono dirigenti del secolo scorso e non possono inventarsi un’altra vita e un’altra storia. D’Alema e Veltroni e con loro un mucchio di altra gente, sono stati spremuti come limoni. Non c’è nessuna cattiveria ma amore e passione per il futuro del Pd. È un brand che vale molto ancora e per questo temo che si accapiglieranno”. Balzani trasferirebbe gli inquilini del Nazareno in un torpedone, cambierebbe le chiavi alle porte e forse i quadri alle pareti. “Bisogna solo liberare le energie, non c’è formazione politica che possa vantare più numeri del Pd, più persone in gamba, più amministratori capaci”. Se Antonella Incerti, neo deputata bersaniana, già sindaco di Albinea, nella bassa reggiana, pensa alla disfatta con commiserazione (“La nostra gente capisce che questo governo è figlio di uno stato di necessità. Certo, le assemblee si fanno più turbolente, è un periodaccio”), altri vogliono iniziare a dar legnate, e a far sul serio. Matteo il rottamatore si guardi le spalle, perché potrebbe finire rottamato presto e perire della sua stessa sciabola. “Renzi non può immaginare di trasformare l’Italia senza impegnarsi a trasformare il Pd. Se ha le capacità e le forze si candidi a segretario, esponga il suo pensiero e inizi a lavorare”, dice Ricci, il Matteo di Pesaro.

È IL CALCO dell’operazione reset con cui alla Bolognina è stata issata la bandiera della vendetta. La sezione che chiuse tra le lacrime la vita del Pci apre tra i dolori il nuovo corso. “Azzerare i capi tribù. Far tornare il partito alla sua essenza costitutiva: l’ascolto delle istanze dei cittadini, il governo dei sentimenti collettivi e la trasformazione dei bisogni in atti amministrativi e politici”. Parla Benedetto Zacchiroli, consigliere comunale di Bologna, renziano (“anche Renzi è un capo tribù”) e promotore, insieme ad altri amici e compagni bersaniani del principio rivoluzionario che ha come assunto: “Lasciare il Pd ai nativi. A chi non è stato dei Ds e a chi non ha incontrato in vita sua la Margherita. Lasciare la guida di questo partito al futuro”. “Siamo noi il futuro”, ha detto Giorgio Prodi, figlio di Romano, nell’infuocata assemblea che diede vita, all’indomani del tradimento, all’insurrezione. Resettare, provare con un antivirus.


da: Il Fatto Quotidiano, 7 maggio 2013

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