Spending e merito, il Potere bugiardo

Il tagliatore di poltrone perde la poltrona. Per Carlo Cottarelli è previsto il rimpatrio negli Usa nel prossimo ottobre. Non è una magnifica notizia? Nel Paese dove lo spreco è elevato a istituzione, l’inutilità a fabbisogno quotidiano, quale altro destino poteva avere il mitico Cottarelli? Non essendovi in circolazione un numero sufficiente di palloni gonfiati, abbiamo sperimentato la gioia dell’uso delle parole gonfiate. Tra queste, su tutte, la spending review. Si recita in inglese per dargli un decoro, una sua personalità. Oramai ci siamo talmente affezionati al concetto che abbiamo iniziato a troncare una delle due parole: per confidenza, e anche perché siamo divenuti degli specialisti della questione, spesso diciamo e scriviamo soltanto spending. Per comodità, per non perdere del tempo inutile, giacché il problema verte proprio sull’utilità dei nostri comportamenti, sulle virtù che devono manifestare, ci fermiamo prima del fischio finale. Centinaia di politici ci hanno illustrato l’imperativo categorico della spending, l’improcrastinabile decisione di far partire la spending. Di pari passo è cresciuto nel Paese la sete di spending, la voglia di spending e anche il bisogno della spending per guardare al futuro con maggiore fiducia, con un minimo di responsabilità e di ottimismo. E per merito del renzismo, della generazione dei giovani, la consapevolezza che d’ora in avanti bisogna puntare al merito, appunto. Chi ha merito ottiene e chi non lo ha sta a casa. Il merito è il marito e la spending sua diletta sposa. Insieme formano una coppia formidabile. Si taglia – attraverso la spending – l’inutile (e quindi il demerito) e si dà forza all’utile (al funzionario, all’ente, al ministero che merita). Da qui il regime che si sta instaurando di meritocrazia.
ABBIAMO anche sperimentato che non è decisivo fare le cose, dare un senso alle nostre azioni per vederle compiute. Lavorando di fantasia sappiamo capire che l’annuncio, se ripetuto in sequenza, produrrà i medesimi effetti. Infatti, senza muovere foglia, molti meritevoli stanno andando avanti. Lasciamo da parte i meriti della ministra Boschi. Sappiamo tutto di lei e non per niente in due mesi è riuscita a portare a casa la riforma della Costituzione che è anche un po’ spending. Direte: ma quella è merito di Verdini! Ingiusto limitare al duo fiorentino la Carta rivista (review!). Bisognerebbe aggiungere almeno Roberto Calderoli, statista padano e nel 2009 teorico della semplificazione burocratica. Impegnato a snellire la Pubblica amministrazione, nell’ottobre di quell’anno annunciò: “Per fine mese succederà una cosa mai vista. La ghigliottina scatterà sugli enti inutili”. Li aveva contati e in tutto facevano 34 mila centri della fannullonaggine nostrana. Trentaquattromila. Dopo una revisione approfondita, durata circa un anno, Calderoli giurò che 714 erano inutilissimi. Gli altri forse. Per vicende politiche sopravvissero sia i primi che i secondi ma, magicamente, sembrò che fossero spariti. Chiamato nell’agosto del 2013 a dire la sua, l’allora presidente dell’Inps Mastrapasqua – esperto di poltrone e affini – spiegò: “Iniziamo a tagliare i 30 mila enti inutili”. Quattromila in meno della prima stima Calderoli e senza che si fosse mossa foglia. Sembrò già una notizia lieta. L’imperativo però restava tal quale: senza tagli alla spesa non c’è crescita, senza crescita non c’è Pil.
CHIUSA LA stagione del cerchiobottismo (il governo Letta stava tra l’utile e l’inutile) è arrivato Matteo Renzi che nei primi cento giorni ha annunciato una legge chiamata “Sforbicia Italia” (moglie dello “Sblocca Italia”). “Interverremo su tutte le sacche di micropotere e sottopotere”, disse. E i primi a essere presi di mira sono stati i consorzi di bonifica. 137 in tutto. Il signor forbice si è messo all’opera e i risultati parlano da soli. 

da: Il Fatto Quotidiano 10 settembre 2014

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