Alfabeto: HACKER. Mille euro al giorno e li chiamano “smanettoni”

hacker1Finalmente degli hacker in carne e ossa. Francesco Perna ha 31 anni, Stefano Chiccarelli 46.

Pescara è la capitale degli smanettatori, i cosiddetti nerd. Tipi umani che digitano in ogni luogo e in ogni tempo. Mangiano e cliccano, parlano e cliccano. La loro vita è dentro il computer. Ogni quattro anni organizzano il MOCA, Metro Olografix Camp, raduno internazionale di hacker.

Stefano: Vero, siamo stati conquistati al punto da restare quasi ossessionati dalla rete. Ma la nostra passione ha trovato uno sbocco positivo. Noi siamo hacker buoni.

Lei Stefano è il Ceo di Quantum leap.

Una società che verifica la sicurezza, l’attendibilità dei sistemi informatici.

Vi chiamano le banche, le multinazionali, le grandi istituzioni e vi chiedono di testare i loro sistemi. Metterli alla prova.

Francesco: Naturalmente spesso ci troviamo di fronte a dei colabrodo. Bastano pochi minuti per capire che piattaforme rilevantissime alla prima prova di resistenza collassano.

Siete degli hacker prezzolati.

Stefano: Ah ah. Il luogo comune immagina che esistano dei pazzi forsennati. La traduzione corretta di hacker è smanettone. Un soggetto conquistato dalla tecnologia e che è attrezzato però a dominarla, a non subirla. Gli hacker servono per garantire la sicurezza nel transito dei dati.

Francesco: Sorvegliamo, organizziamo, indirizziamo, consigliamo. Testiamo la sicurezza altrui.

Vi fate pagare profumatamente.

Stefano: Il mercato è in espansione, la qualità del lavoro dev’essere retribuita.

Il costo?

Stefano: Siamo sui mille euro a giornata/uomo.

Supercapperi!

Francesco: Contano le competenze, l’esperienza, la capacità di analizzare sistemi anche delicati. Conta la capacità di garantire l’assoluta riservatezza dei dati che utilizziamo per testare il prodotto, qualificare l’offerta, renderla imperforabile.

Gli hacker cattivi chi sono?

Francesco: Non esistono hacker cattivi. Esistono gli hacker e basta. E poi i criminali . La rete è un mezzo privilegiato per compiere reati. Nell ’immaginario collettivo emerge la figura del giovane caucasico, oppure rumeno, che chiuso nella sua stanzetta buia s’attrezza, avvita dati, scassa le cassaforti altrui. Oggi sappiamo che la criminalità informatica è soprattutto americana. I primi sono loro, quelli che abitano negli States.

È facile entrare nelle nostre tasche attraverso il computer?

Francesco: Dipende.

Stefano: Pochi sono i fortilizi inespugnabili. La nostra è una società appena alfabetizzata, quando va bene. Usa il computer con superficialità e disamore. Tratta le notizie che immette con una tale approssimazione…

Sono tutte porte spalancate…

Stefano: Basta un cambio di una lettera, da asterisco a dollaro, una minuzia davvero, e il criminale raccoglie il prodotto della sua speranza.

Soldi…

Francesco: Attraverso la manipolazione dei codici si ha accesso a segreti rilevantissimi.

Sai le estorsioni…

Il criminale gioca sull’ingenuità altrui, sull’ignoranza. La maggioranza degli utilizzatori di questi sistemi sono analfabeti o quasi.

Allora entra in scena l’hacker buono.

Francesco: Fa capire al committente quali rischi corre.

Voi testate i rischi…

Francesco: Documentiamo se è possibile e in quanto tempo si possa perforare la rete di sicurezza di quel sistema. Analizziamo e poi indichiamo la soluzione.

Apprezzano molto?

Stefano: Assolutamente sì.

Siamo così fragili e vulnerabili?

Francesco: Lei non ha idea di come i modem e i router, chiavi d’accesso a sistemi sofisticati, possano essere conquistati con un clic.

Diverrete milionari…

Francesco: Se pagassero sempre le fatture in tempo…

 

Da Il Fatto Quotidiano, 18 luglio 2015

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