Il Gran Tour: Sicilia tra templi e abusi, il riscatto, anche dai vitigni

grantour_9Siamo in albergo ai piedi dei templi di Agrigento. I turisti vengono deportati qui, lungo i fianchi di questa carreggiata di lamiere in transito, un nodo stradale più che il luogo dove dal mondo si arriva per ammirare quel che altrove nemmeno è possibile immaginare.

È come se Agrigento avesse richiamato – per contrappasso – tutti i siciliani malintenzionati, li avesse convocati ai bordi dell’area archeologica. Come se si fosse voluta compensare la magnificenza di questo presidio della memoria e dell’arte, la sua imponenza, l’affaccio maestoso sul Mediterraneo, con l’asfaltatura di ogni centimetro di terra circostante. La costruzione di passi e sovrappassi, l’allineamento dei cubi cementizi come contrafforte alla creatività, alla cultura di chi quest’isola l’ha abitata nei secoli scorsi è il segno feroce dei giorni tristi e bui che viviamo.

LA STRADA che da Agrigento si allunga fino a Trapani, fasciando la Sicilia occidentale di un manto bituminoso permanente, promuove attività edilizie in continuazione. Imponenti cartelli della Cmc costruzioni, la cooperativa nata dal sudore e dalla militanza dei muratori comunisti emiliani e oggi divenuta un montacarichi di appalti delle più diverse carature, ripete al viaggiatore che i lavori sono in corso. Imponenti, danarosi, straordinari. Passi, sottopassi, mezze bretelle, bretellone intere. Scarichi di cemento in riva amare, oppure – come a Porto Empedocle – centrali termoelettriche sulla spiaggia annunciano la decomposizione civile di questa società.

E un ritratto di quel che è potuto succedere senza che nessuno lo sentisse come insopportabile, lo offre ai suoi abitanti e ai viaggiatori che la attraversano, la comunità di Siculiana, centro di smistamento degli affari dei Caruana Cuntrera, un clan mafioso al top della speciale classifica.

C’è un ponte fermo a metà, costruito a metà, realizzato monco. Un’opera a mezz’aria indiscutibilmente priva di senso, anzi offensiva per i soldi che ha succhiato (magari soldi presi a prestito dallo Stato, finanziati con i notissimi bond?) e che restano lì, sparsi sulla coscienza sporca di una classe dirigente senza dignità e il minimo senso di continenza. Un mostro come un altromentre allungo il passo per raggiungere in tempo (l’appuntamento è per l’ora di pranzo) Petrosino, nei pressi di Castelvetrano, luogo nativo di un altro fuoriclasse della Mafia Spa, Matteo Messina Denaro.

PETROSINO era un quartiere di Marsala, la bellissima Marsala, divenuto poi comune autonomo e ora governato da Gaspare Giacalone, un quarantenne di ottimi studi e ottime speranze. La sua auto, una Bmw strabiliante, con i gommoni da fuoristrada e il motore superpotente, è il risultato di una confisca dei beni che lo Stato ha deciso nei confronti di uno dei tanti mafiosi in attività sull’isola. Gaspare per il comune che guida ha scelto quell’auto nell’autosalone prefettizio e gli ha fatto sistemare sulla fiancata un adesivo: “Petrosino è contro la mafia”.

L’adesivo timbra le auto del comune persino quelle della polizia urbana in modo si capisca ancora meglio da che parte si sta. Le istituzioni qui hanno sempre il volto obliquo del silenzio connivente, e l’Autorità mostra una timidezza esagerata. Il sindaco Giacalone, che fino a due anni fa trattava i finanziamenti ai paesi africani da parte della Banca Mondiale, viveva a Londra, riceveva lo stipendio in dollari.

POI LA SCELTA contraria, un cambiare verso spettacolare. “Ero qui in vacanza, mi chiesero se me la sentissi di candidarmi, dare una mano al mio paese. Ho avvertito una necessità e insieme un piacere. Ho scelto di ritornare in Sicilia sebbene il mio lavoro fosse appagante, il massimo che si possa attendere dalla vita. E qui abbiamo iniziato a lavorare con fervore, sapendo cosa ci aspetta”.

È una giunta giovane, speranzosa, volitiva. Ha ripulito la spiaggia dagli insediamenti storici di chi con la prepotenza utilizzava il demanio, il comune è ben tenuto e bene organizzato. Finalmente c’è un piano urbanistico, un disegno per dare un futuro a chi qua vive.

I vitigni del Grillo sono il motore fondamentale di una economia che sente di poter avanzare: “Il nostro mare è unico, la costa bellissima, produciamo un vino eccellente e abbiamo voglia di ricreare un tessuto sociale che respinga ogni bisogno dell’appoggio mafioso.

Dire no alla mafia, anzi scriverlo sui muri del municipio, sulle fiancate delle auto pubbliche, è un modo per simboleggiare la nostra scelta di campo irrinunciabile, definitiva. Sono felice di aver accettato di fare il sindaco, e felice che qualcosa si stia muovendo. Non è stata fatica sprecata…”.

Al tramonto si riprende la via verso nord, ma all’altezza di Mazara del Vallo decido di piegare verso Gibellina, il luogo in cui una tragedia, il terribile terremoto del 1968, si trasforma, per volere del suo sindaco visionario Ludovico Corrao, in uno sceneggiato d’arte contemporanea.

Schifano, Cascella, Pomodoro, Paladino. I più grandi artisti vennero convocati per farvi il ritrovo del meglio che c’era. Sembrava la rivoluzione e invece era un atterraggio di marziani che incombevano sugli sfollati di Gibellina vecchia.

OGGI IL CRETTO di Burri apre la visione a un paese fatto di anime morte, imbullonati dentro il maestoso sistema delle piazze e delle altre opere (la torre civica, l’auditorium, la chiesa madre) ma non coinvolti. Stanno lì e guardano chi arriva. Mirano l’altrove che scorre davanti ai loro occhi.

Si riparte! Messina, altra città fallita grazie alla speciale “cura” dei suoi vecchi amministratori, imbarca chi lascia l’isola.

Direzione Reggio Calabria, da lì sulla famigerata e tragica statale 106 (in vetta alla classifica per morti per incidenti stradali) verso Policoro, che il governo vorrebbe s’affacciasse sulle trivelle, e che il suo mare sputasse petrolio invece che cozze.

 

Da Il Fatto Quotidiano, 19 luglio 2015

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2 Comments

  1. Sig. Caporale, mi chiedo come le sia sfuggita la circostanza che il nastro d’asfalto che corre lungo la costa meridionale dell’isola, non è altro che la versione moderna, ma non certo all’altezza, della viabilità di età classica. Le rammento che, già 2500 anni fa, esisteva una via di grande comunicazione tra Siracusa e Selinunte, passante per Eraclea ed Akragas. La S.S. 115 odierna, pure famigerata e tragica, collega le città nate su quelle rovine ed altre sorte successivamente, e proprio non si capisce perché, secondo lei, dovrebbe essere ridotte allo stato trazzerale o, come dite voi al nord, di ‘strade bianche’, quand’erano pavimentate già millenni fa, a differenza che in Padania. A mio avviso, anzi, si dovrebbe subito metter mano al completamento dell’anello autostradale siciliano completando la Mazara del Vallo – Siracusa, oggi interrotta tra Castelvetrano e Rosolini. Chissà che una quota dei milioni di turisti che oggi percorrono le autopistas andaluse tra Siviglia, Granada e Cordoba, ( costruite mentre da noi tutto si fermava )magari non si decidano a visitare, nel corso di piccoli, naturali tours, le bellezze di Siracusa, Agrigento e Selinunte, il più grande parco archeologico d’Europa che Lei non ha nemmeno citato. Sa, di qualche cosa, da queste parti, bisogna pur vivere. Anche per cominciare a smantellare strutture come quella di Porto Empedocle, che non piace neanche a me, come quelle di Gela, Milazzo o Priolo.

  2. Per linee generali il discorso calza, ma su Petrosino, sulla fascia costiera tra Mazara del Vallo e Marsala, sui vigneti eccedenti, sul “ponte fermo a metà…”, sugli “insediamenti di chi utilizzava il demanio”, ti hanno fatto scrivere un sacco di inesattezze. La situazione è più grave di quella di Agrigento. Il “ponte fermo a metà” (Soprelevata ANAS), per esempio, è stato completato, ma giorni ancora più bui sembrano addensarsi sul litorale di Tonnarella di Mazara. Chiedilo al Commissario regionale al rischio idrogeologico.

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