ALFABETO – PIPPO BAUDO: “Senza tv sono finito. E a 80 anni divento il nonno di Stato”

pippo-baudoPippo Baudo senza la tv non è un uomo ma una foglia d’autunno.

La televisione è la mia vita. Ho faticato tanto, ma tanto… ho fatto a cazzotti per entrarci e difendo il cursus honorum, la voglia di fare, di esserci, di dire la mia parola.

La sua condizione è, con ogni rispetto, anche però figlia di una sindrome ossessiva. I più bei testi di psicopatologia affrontano questo disagio.

Convengo, sono così, devo ammetterlo. Pippo senza la tv non ha identità, senso di sé. E’ un uomo morto.

Invece Pippo è monumento patrio, storia nazionale e naturalmente leader per acclamazione, in quanto nonno di Stato, del nascente partito della Nazione.

Fui democristiano, ma sempre di pensiero. Mio padre conobbe Sturzo, fu collega di Scelba, e la mia democristianità è stata sempre espressa liberamente. Al centro con lo sguardo rivolto a sinistra. Aldo Moro la mia luce e poi Gianni Marcora. Se Moro non fosse caduto in quell’agguato avremmo avuto il compromesso storico. La salvezza e la speranza.

Se Renzi avesse avuto lei per nonno, sarebbe incorso in minori difficoltà con l’elettorato. Sa che ci sono italiani oramai così diffidenti che dubitano persino quando lui dice: mi chiamo Matteo. Sarà vero? Sarà falso?

In effetti cova questa sospensione di giudizio, l’interrogativo ce lo poniamo. Bisogna ancora vederlo all’opera per bene.

Comunque nel mezzo dell’Italia non c’è Matteo ma sempre Pippo.

Mai voluto candidarmi. Quattro volte me lo hanno chiesto. E a Prodi, che mi aveva proposto di provare a immaginare un mio ruolo da presidente della Regione Siciliana, dissi: mi volete morto? Conosco la mia terra, e so che insomma la mia vita, se mi fossi incartato in un ufficio di governo, sarebbe finita presto.

La sua vita è Domenica In.

Non è un amarcord, ma lo sforzo di seguire il ritmo del tempo, il senso di questa nostra età. Infatti sono accompagnato da donne giovani. Le ho volute io, sa? E domani, per esempio, nel mio programma ospiterò il film di Roberto Faenza sulla vicenda di Emanuela Orlandi. Storia controversa e scabrosa. Attualissima.

Voi vecchi avete fregato i giovani. O perché avevate i soldi che non ci sono più o perché eravate più bravi.

I soldi c’erano, vero. Infatti quando ora chiamo gli ospiti avverto subito: vieni in amicizia perché qua il piatto piange. Li chiamo io e per affetto… Detto questo aggiungiamo…

Diciamola tutta.

I vecchi sono mostruosamente più bravi. Mi fermo al mio campo ed elenco nelle varie specialità: Garinei e Giovannini, Antonello Falqui, Nino Manfredi. Autori o registi o attori. Ovunque muovi il ricordo trovi dei talenti ineguagliati.

Siete troppo forti voi.

Mi sembra di sì.

Fa bene a insistere.

Altrimenti muoio. La morte civile, ricorda il titolo della commedia di Bracco?

Eppure politicamente lei sarebbe perfetto. Un comizio di Pippo Baudo sul referendum spaccherebbe.

La Rai mi ha fatto firmare una postilla contrattuale che mi impedisce di pronunciarmi.

Nessuno però può impedirle, interna corporisContinue reading

LA DEMOCRISTIANA VERGOGNA DEL SÌ

francesca-archibugiÈ sbucato dal computer di Francesca Archibugi, regista intimista, il tweet della trasgressione: “Mi pare che quelli orientati al Sì al referendum non si espongono per non essere mangiati vivi da destra e da sinistra”. Esponendosi quel poco che si è inteso non ha approfondito per non correre rischi ma ha certo scagliato la pietra nella direzione indicata da Fedele Confalonieri qualche giorno fa: “Oggi fa fino votare No. Come al tempo della Dc quando sembrava che nessuno la votasse”.

L’evocazione della maggioranza silenziosa, cappelli oltre la linea degli occhi per mimetizzare la cornice del viso e bocche cucite per il timore del nemico (“Zitto, il nemico ti ascolta!”) è tale che alcuni followers della Archibugi si sono fatti coraggio e hanno iniziato a confessare. Uno, si fa chiamare Matt e forse è un pensionato di Forlì che combatte sotto copertura, le ha spiegato nella sofferta discussione che ne è seguita: “Con amici e conoscenti non mi espongo. Grillini e sinistra estrema son pronti con risposte a memoria”. La paura di esporsi per il governo e il suo capo è una novità di cui lo staff renziano dovrebbe prendere urgentemente nota. Perché il silenzio stride con il lifestyle di Matteo, il rumore della sua presenza, lo spaccio quotidiano delle sue parole e del suo ottimismo. Come sia stato possibile in soli due anni ritornare alle abitudini democristiane sarebbe questione da approfondire. Ma il timore serpeggia e solo alcuni coraggiosi, come la scrittrice Elena Stancanelli, si ribellano al clima di terrore che le agita: “Io voto Sì e adesso sbrana temi”, ha detto, e qui l’audacia l’ha avuta vinta.

In effetti la somma aritmetica dei vip che dichiarano il No al referendum costituzionale è maggiore di coloro che invece ammirano le ragioni del Sì. Bisogna dire che per il campo della maggioranza si è schierato un big, Roberto Benigni, che sulla Costituzione (la più bella del mondo, eccetera) ha innestato la sua arte e l’ha fatta decollare verso vette altissime e dunque il corto circuito che poi ha provocato è stato tremendo. Al punto che Carlo Verdone è rimasto terrorizzato: “Uno dà un giudizio e si scatena l’inferno, vedi Benigni. Io vorrei starne fuori”, e ha chiuso la bocca.Continue reading

ALFABETO – In Parlamento così fan tutti: votare e poi dimenticare

parlamentoLa politica, diceva Guido Gonella, democristiano del secolo scorso, è “fatica senza lavoro, ozio senza riposo”. Nella politica affonda la vita, ogni passione e ogni sconcezza. E, come vedremo da qui in avanti, persino la memoria vi annega.

Il legislatore smemorato non è un signore di tarda età affetto da Alzheimer, ma la condizione attuale in cui ogni membro del Parlamento si trova. Così tante sono le leggi, i regolamenti, le mozioni e gli indirizzi da essere sconosciute persino da chi le ha approvate. In questo mini sondaggio, molto approssimato, alcune delle risposte più significative alla seguente domanda: lei quante leggi ricorda di aver votato? Beninteso non il numero, che sarebbe un’enormità, ma almeno il contenuto, una breve illustrazione del testo.

ANTONIO MISIANI, che con Bersani segretario era tesoriere del Pd, ricorda “quelle più note: la riforma del lavoro, la Buona scuola. Diciamo che rammento il quaranta per cento. Di più non credo, non so, davvero non è possibile conoscere. Si va in aula e si accoglie l’indicazione del partito”. Andando ciascuno in aula nell’attesa che qualche altro indichi il voto giusto, il risultato si fa comico. Augusto Minzolini, senatore di Forza Italia: “Tu voti tutto e se ti ripresentano il piatto davanti voti anche il suo contrario. Voti e non t’accorgi perché voti senza sapere. Perché non fai il tuttologo e non ti puoi permettere di approfondire ogni cosa. Avevo perciò proposto di fare una riforma costituzionale che desse alla Camera dei deputati il potere legislativo su tutte le leggi di spesa e al Senato la discussione sui grandi temi di politica estera, difesa, sulla società”.

IL DEPUTATO a sua insaputa è interpretato meravigliosamente da Gianfranco Rotondi, democristiano di antica specie, che si è trovato a dare l’assenso a norme del codice penale che gli fanno ribrezzo. “Non so cosa mi è successo, ma ho detto sì alla criminalizzazione del voto di scambio e del traffico di influenze. Se avessi riflettuto per bene avrei dovuto considerare che la politica è un permanente voto di scambio, senza il quale non esisterebbe la rappresentanza. E così pure il traffico di influenze. Dire che si condanna il traffico illecito è pura castroneria. Lecito e illecito sono come il mare che si increspa e un’onda surclassa l’al tra. L’acqua si mischia sempre e per sempre. Quindi, riepilogando: non soltanto noi parlamentari non conosciamo ciò che facciamo, non ricordiamo buona parte delle leggi che approviamo, ma addirittura ci infiliamo nel cul de sac di licenziare norme che non condividiamo. L’idea maestra su cui si fonda questa speciale inettitudine è che il legislatore ritiene che la legge valga solo per gli altri. Me ne sono accorto quando un procuratore della Repubblica mi ha confessato: ma lo sa che con la nuova normativa sul voto di scambio vi potremmo incriminare tutti? Allora mi son detto: ohibò!”.

L’OHIBÒ, lo stupore per quello che si fa senza saperlo, è il sunto di una nazione che già per suo vezzo rifugge dalla memoria. Non ricorda, e se rammenta non riflette, e se riflette poi si stanca e cambia strada. Il Parlamento di una Nazione smemorata poteva essere diverso? “Provi soltanto a conoscere le cose più importanti, i testi fondamentali. Tutto il resto è un fiume in piena che si ingrossa automaticamente”, dice Cinzia Bonfrisco, che guida i senatori fuggiti da Berlusconi ma non confluiti dentro le tasche di Denis Verdini.

HA RAGIONE il Financial Times: il problema del Parlamento italiano è la quantità delle leggi che si approvano, perché di lentezza non pare che soffrano le due Camere bensì di ipertrofia. “Azzanniamo ogni cosa, buttiamo in aula e facciamo finta di discutere e di approvare migliaia di mozioni, di documenti di indirizzo. Esageriamo, ci abbuffiamo di norme e poi, certo, magari ci mettiamo nella condizione di essere svillaneggiati perché non le ricordiamo”.

La smemoratezza è tratto comune, elemento costituente di un mestiere che si compone di parole, e sulle parole costruisce la propria fortuna. Vai poi a rintracciarle una per una! Se il giovane Simone Valiante afferma che è in grado di ricordare più o meno tutto (“ma sono solo tre anni che sono qui dentro e ho la memoria ancora fresca”) il suo compagno di partito David Ermini (Pd) tenta di tenere a freno l’enorme confusione attraverso un taccuino: “Mi segno nell’agenda per tentare di avere chiaro quel che devo fare e che ho fatto. Ma in tutta sincerità, cosa vuole che ricordi, cosa vuole che sappia di tutto quel che si fa?”.

Da: Il Fatto Quotidiano, 8 ottobre 2016

PONTI&PILONI: DELRIO MINISTRO SIGNORSÌ

graziano-delrioLa trasfigurazione di Graziano Delrio da ciclista buonista, ministro pragmatico e prudente in uno chansonnier renziano è divenuta certa ed evidente quando all’inizio dell’estate il presidente del Consiglio convocò i corrispondenti delle testate di tutto il mondo per annunciare che una delle vergogne italiane, i lavori infiniti per l’ampliamento dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria, era stata smacchiata. A dicembre, disse, vi consegneremo quel tratto completato. “Inutile che sorridete”, avvertì Renzi nient’affatto intimorito del pericolo che le sue parole contenevano.

SE IL PREMIER ha una confidenza approssimata con la verità, invece non si può dire per il suo ministro delle Infrastrutture. Ma Delrio curiosamente non fiatò. Non disse quel che sapeva, e cioè che alcuni tratti della rete autostradale non erano stati neanche messi in cantiere per assenza di quattrini. Nel silenzio lasciò che alla stampa fosse venduta una notizia parziale, fosse annunciata per compiuta l’incompiuta, trasformando la A in B, il sopra in sotto.

Da quella data, la barba di Delrio ha iniziato a incresparsi e anche la sua memoria a fare cilecca. In breve: a divenire il ministro Signorsì. E sempre facendo finta di non ricordare quel che aveva detto, ha fatto da spalla al premier quando all’improvviso ha messo al l’ordine del giorno la costruzione del Ponte.

Adesso c’è da dire una cosa: per il Sud, Delrio s’è dato da fare più dei suoi colleghi. Ha sbloccato i lavori per l’hub dell’Alta velocità ad Afragola e finanziato il tratto ad Alta capacità Napoli-Bari. Quel poco che poteva l’ha fatto. Comunque ha dovuto lasciare la Sicilia con i ponti a mezz’aria, le strade franate, le autostrade interrotte e in Basilicata la Basentana, l’unica via che la attraversa, allo stato di colabrodo, in Calabria la famigerata statale ionica in un cantiere interminabile. Delrio poteva fare suo il motto sudista: amici, senza soldi non si cantano messe!Continue reading

Poltroncine in faccia e meno soldi per D’Alema

dalemaFascicolo D’Alema. È il tempo della “rabbia e dell’odio” e il mondo renziano, montando l’ansia per l’esito incerto del referendum, colpisce il principale nemico interno del No con le mani rudi del più fisico tra i suoi rappresentanti. Poltroncina in faccia. Ma anche l’embargo economico alla Fondazione Italianieuropei, la struttura organizzata della quale D’Alema è presidente.

Iniziamo dalla poltroncina. Ieri nella battaglia campale anti-dalemiana è comparso Luca Lotti, nome potente e silente. Come si sa Lotti non parla, bofonchia. Ieri invece ha azzannato D’Alema ricordandogli la furia cieca (infatti ha scritto “accecato”) con la quale l’ex segretario del partito ed ex presidente del Consiglio si scaglia contro il Sì, una ritorsione “per non aver ottenuto la sua poltroncina di consolazione”. Riferimento all’ufficio di commissario europeo delegato agli Affari esteri a cui D’Alema teneva così tanto che alla fine Renzi non ha concesso, preferendogli Federica Mogherini. Lotti, abituato come detto alle frasi brevissime, questa volta è comparso non in voce ma con un lungo e accurato scritto nel quale, senza un filo di sgrammaticatura (è purtroppo accaduto che parlando a braccio incorresse in devianze lessicali sia pure di modesta entità) gli ha illustrato i demeriti della propria azione politica. Gli impegni presi ma non evasi, le leggi annunciate e abbandonate, le riforme avanzate ma poi abortite. Su tutto è però, l’accusa più feroce: D’Alema è un ritorsivo e fa pagare al Pd il prezzo della sua mancata nomina. Per una “poltroncina” si fa “accecare” dall’odio.

L’ATTACCO così puntiglioso e plateale, di cui Lotti è esecutore e non mandante, si completa con un lavoro, sotterraneo, di moral suasion nei confronti dei finanziatori e sostenitori della Fondazione. La quale ha sempre avuto un enorme numero di amici e di imprese, molte di esse partecipate dallo Stato, molte altre proprio nelle mani del governo. Capitale economico necessario per permettere al think tank di liberare le energie intellettuali di cui dispone. Ventaglio veramente vasto dentro il quale, per dire, figurano anche le menti di Giulio Napolitano, figlio di Giorgio, e di Pier Carlo Padoan, ministro dell’Economia di Renzi. Mps, Enel, Unicredit, Rai, Aeroporti di Roma hanno scelto di vedere i loro loghi sulle pagine della rivista della Fondazione. E tanti amici, anche di opinioni politiche differenti, hanno sostenuto lo sforzo dalemiano di dare all’Italia una cultura europea. Angelucci e Merloni, Marchini e Guidi, Coop e Pirelli. Amici, amici e amici.Continue reading

Il Sud Italia, linea di confine tra chi conta e chi invece no

il_sud_deve_morireLA RINASCITA della discussione sul Ponte dello Stretto è la perfetta anteprima di questo libro. Perché il Ponte, usato soltanto per mischiare le carte della ragione e della logica, serve a far capire che del Sud non frega più niente a nessuno. Appendice oramai stanca e afona, terra che non è più nemmeno di conquista ma soltanto linea di confine tra chi conta e chi no, chi esercita diritti e avanza pretese e chi assiste da sconfitto alla vita che scorre. I tremila chilometri che Carlo Puca ha compiuto dentro il reticolo delle vergogne ma anche delle mirabilie di cui il Mezzogiorno è custode e testimone, sono la via maestra che completa la carta d’identità di chi si è reso responsabile dell’omicidio. Il Sud deve morire (Marsilio) è titolo adeguato, giusto, perfino prudente. I luoghi visitati, e sono tanti i paesi e le città, gli episodi e le malversazioni prese in esame, rappresentano la scena, il teatro del crimine. La forza di un saggio sta nel documentare i fatti ed essere inesorabile ad indicare i motivi, le responsabilità, i nomi e i cognomi. Quello di Puca è un compendio mirabile, anche se scabroso, di ciò che accade quando la responsabilità annega in mare e giace, come quei corpi di migranti che tentano di raggiungere Lampedusa, tra i fondali incustoditi della nostra smemoratezza.

Da: Il Fatto Quotidiano, 5 ottobre 2016

TEATRO. Buttafuoco e la Sicilia pazza d’amore

buttafuoco-fotoDella storia si fa un canto, della vita un vizio, dell’amore il piacere. Gli anni dentro i quali Pietrangelo Buttafuoco inghiotte il suo cammino e lo trasforma in teatro sono quelli trascorsi in Sicilia, la terra a cui tributa questa dolce ninna nanna. Il dolore pazzo dell’amore (in scena a Roma al teatro Vittoria fino al prossimo 9 ottobre) è insieme tributo e speranza, racconto e fantasticheria, promessa e ricordo.

È potente e fisica la prova teatrale di Buttafuoco che racconta l’esistenza, la nostra e la sua, quando fiorisce e quando tramonta, quando si imbelletta e quando piange. Stana dal suo omonimo libro, pubblicato nel 2013 da Bompiani, il senso della sua scrittura e deve dire grazie a Mario Incudine, il menestrello di palcoscenico, se il racconto si accompagna al ritmo nervoso del tamburello e si fa pressante, vorticoso come la vita. Dall’amore di carne, che è segno dell’ardore, fino al tempo grigio ma vigile della vecchiaia, il pendio fragile, come fossero fianchi di una collina, da cui ci si incammina per scendere verso terra e farsi coprire da essa.

La musica aiuta Buttafuoco e il suo cunto sulla vita. Gli offre un sentiero e lo accompagna, fisarmonica e chitarra e tamburo, nei luoghi della memoria e anche della fantasia sicché chi ascolta, benché del siciliano comprenda poco, trova una traiettoria personale, come fosse dal sarto per un vestito su misura, e gode dei propri vizi ascoltando le virtù anche sconce dell’altro e accoglie il vizio capitale e perfettissimo, l’amore di sangue e di carne, ospite conosciuto e apprezzato.Continue reading

ALFABETO – DANIELE VICARI: “Facebook e i social servono a farci rimanere ignoranti”

daniele-vicariSuccede a tanti ed è successo anche a lui alcune settimane fa. Postava su Facebook le ragioni che lo avevano spinto a trattare i fatti del G8 di Genova nel modo in cui poi al cinema abbiamo visto. E certo Diaz è stato il film più popolare e apprezzato di Daniele Vicari. Il post improvvisamente scompare, sottoposto a censura. Lui dapprima non sa che fare, poi sceglie di protestare.

Contro chi ha protestato?

Contro un’entità immateriale: lo staff del social network . Staff immagino stia per direzione, governo, gestione dei problemi.

Staff, non un nome e un cognome.

Tutto assolutamente avvolto nell’anonimato, tutto imperscrutabile. L’angoscia di vedere diritti elementari, conquiste oramai consolidate, quali la libertà di espressione, venute meno perché gruppi organizzati, nemmeno un gran numero, segnalavano come “indesiderato” il tuo pensiero, la tua opinione. E un luogo indefinito che giudicava e decideva.

Ai tempi della conoscenza orizzontale, istantanea, popolare che dovrebbe far immaginare una democrazia più forte, condivisa, allargata a chiunque, una regressione dei diritti così plateale, evidente, esagerata.

I social hanno apparentemente dato la voce a chiunque volesse o voglia averla. E il potere della parola, prima appannaggio dell’élite, è divenuto patrimonio di ogni ceto, di ogni classe. L’irruzione sulla scena pubblica di miliardi di persone.

Facebook è il più grande continente al mondo: più di un miliardo e seicento milioni di persone lo abitano.

È una cosa così grande da divenire anche, come il mio piccolo caso, pericolosa assai. Consegniamo la nostra vita, i nostri affetti, i nostri segreti e la nostra parola, la nostra libertà a un’azienda privata che gestisce nel modo che crede quei dati e la nostra libertà e poi ci vende alla pubblicità.

Come può essere che non badiamo al rischio enorme di una esposizione così svincolata da ogni limite, vincolo, dovere?Continue reading

Stefano Schwarz: “Il No può vincere solo se non trattiamo gli elettori da babbei”

stefano-schwartzTra tanti nonni che battagliano per il No finalmente spunta un portabandiera giovanotto. Giovanotto è una parola grossa. Vado per i 33 anni e il grigio assassino nei capelli lei lo vede?

Stefano Schwarz è un tardo giovane. Ha l’aspetto di un faggio in autunno: longilineo, cresce dritto fino ai capelli che poi però si sviluppano a ombrellone. Sarà il portavoce del No al referendum.

Sarò portavoce del comitato presieduto dall’avvocato Guido Calvi.

Cioè D’Alema.

Sono andato da lui e gli ho detto: eccomi qua. Non lo conoscevo, l’ho visto all’appuntamento del mese scorso in piazza Farnese. Apprezzo il suo impegno, ma sono convinto che chi sta sotto ai 40 e viene chiamato a votare debba anche avere il diritto di confrontarsi con un suo contemporaneo. Lui ha apprezzato ed eccomi qua.

A D’Alema piacciono solo i dalemiani. Meglio se adulti.

Sono stato anche favorito dalla fiducia che mi ha accordato l’avvocato Grande Stevens.

Più che un comitato sembra un Rotary.

Sa che la maggior parte dei giovani è con noi? Che le simpatie referendarie al No provengono dai ceti popolari?

So che ci sono molti professoroni in campo. Terza età, ma di prestigio.

Senza i nonni l’Italia sarebbe già con le toppe al culo e in piazza a fare a botte. I nonni ci aiutano a pagare il mutuo, ci pagano le tasse all’università, le bollette della luce, a volte la ricarica del cellulare.

Capito, anche lei – benché piemontese e di buona famiglia – è squattrinato.

Avevo delle consulenze con l’Onu. Ma l’impegno politico non consente la prosecuzione del contratto che infatti è in stand by.

Con Matteo Renzi, con cui simpatizzò nel 2010, avrebbe forse avuto più fortuna.

Uno che scrive così la riforma della Costituzione!

Sarà sgrammaticato, ma politicamente è un fulmine.

La forma è sostanza. Il testo è un obbrobrio.Continue reading