I numeri uno dei giornali lastricati d’oro

Se i giornali fossero un’opera di intelligenza collettiva, l’intelligenza di tutti si metterebbe per tempo all’opera e si impunterebbe davanti a ogni furbizia e reagirebbe quando il potere nelle redazioni esonda oltre i confini naturali. Fa impressione la drammatica decisione presa dal comitato di redazione del Sole 24 Ore di proclamare uno sciopero ad oltranza. Cioè fino a quando la società editrice non avrà rimosso dalle funzioni il direttore Roberto Napoletano, coinvolto nell’indagine della magistratura relativa proprio ai conti del giornale e indagato perciò di “false comunicazioni sociali”. I direttori passano mentre i giornali restano, ma mica è sempre vero? A volte i giornali non resistono ai propri direttori.

Fa ancora più impressione leggere il contratto top secret nel quale l’ex presidente e l’ex amministratore delegato del Sole pattuiscono con il direttore una indennità extra pari a due milioni e 250 mila euro (non comprensiva delle altre indennità stabilite per legge) nel caso di suo licenziamento e una indennità extra di un milione e mezzo di euro (oltre a tutto il resto) nel caso di volontarie dimissioni. Vero, Napoletano ha rinunciato da tempo a far valere ogni pretesa su quel patto ma resta forte questo odore di soldi che annerisce le pareti delle redazioni e la coscienza di chi le frequenta.

Di soldi parlano da giorni Vittorio Feltri e Maurizio Belpietro, direttori rispettivamente di Libero e de La Verità , in una contesa che – in nome dell’on ore che ciascuno invoca per sé – conduce purtroppo in un mesto altrove . Vagano –come le poltrone direttoriali scambiate fino a ieri – milioni di euro da una tasca all’altra proprio mentre la crisi che ha investito l’editoria si è fatta così profonda e feroce da condurre migliaia di colleghi alla disoccupazione, molti altri a decurtazioni significative dello stipendio tutta la categoria e a un impoverimento progressivo e purtroppo inarrestabile, con i più giovani costretti a raccogliere oramai solo briciole da una fatica quotidiana che non trova più gratificazione. Vagano tra Feltri e Belpietro montagnole di quattrini (“Dieci milioni di euro in sette anni”, accusa Feltri. “Tu a Libero hai il mio stesso stipendio”, replica Belpietro), ora corrisposti per il lavoro svolto, ora ottenuti a prestito (due milioni e ottocentomila euro dagli Angelucci a Belpietro, rivela Feltri) e viaggia su un binario parallelo anche la scelta orribile dei due di pensionarsi anticipatamente: il primo a 55 anni e il secondo a 58 anni. Certo, tutto è a norma di legge. Ma tutto sproporzionato, terribilmente ingiusto per chi ha il talento di poter lavorare con passione fin quando crede e ai livelli più alti, e proprio per questa ragione remunerato così lautamente.

Poi si dice: vatti a fidare dei giornalisti…

Da: Il Fatto quotidiano, 12 marzo 2017   

RENZI, DENTRO LA MATRIOSKA IL NULLA

Esiste una relazione tra andamento politico del leader e suo giro vita? Matteo Renzi vive su di sé il principio dell’inversione proporzionale osservando l’aumento della distanza che separa il suo peso fisico da quello politico.

Scusate il dettaglio, ma i chili guadagnati durante la forzata vacatio dagli impegni di governo, frutto evidente di un esercizio quotidiano alla pastasciutta, corrispondono quasi esattamente ai punti percentuali che il suo partito ha perso dal 4 dicembre ad oggi, e sempre grazie alla tenacia di Matteo. Un po’ più grasso di ieri si è presentato al suo popolo, ritrovato – per l’appunto – un po’ più magro di ieri. Quattro chili fa, eravamo ad ottobre, Matteo Renzi – taglia 48 immaginiamo – governava il partito e dominava l’Italia con il pugno di ferro. Infatti sbucava da ogni dove, in tv a ogni ora del giorno e della notte e preparava l’appuntamento della vita: il 4 dicembre o si fa l’Italia o si muore. La dieta invernale, ricca di carboidrati, ha iniziato a farsi sentire nei sondaggi quando il Sì – dapprima indicato quasi alla pari col No – è andato franando. Fino alla tragedia di dicembre, con l’arrivo del panettone.

Consumato tutto quel ben di Dio di zuccheri Matteo ha allungato – si era appena dopo la Befana – di una tacca la cintura. Appesantito di qua e puntualmente alleggerito di là. Infatti sotto la neve il fermento scissionista ha preso forma, e in febbraio –quando la dieta è andata totalmente fuori controllo – la separazione si è resa ufficiale. Ad ottobre premier e segretario, a dicembre solo segretario, a gennaio segretario a tre quarti.

La scissione è coincisa con le sue dimissioni. Il peso forma, già difficile nei giorni di festa, è andato a farsi benedire con l’inaugurazione del congresso. Matrioska Renzi: aveva un governo e un partito a dicembre, a gennaio solo il partito, ma di circa due terzi rispetto all’originario. A febbraio si è ritrovato ulteriormente assottigliato, essendo in campo altri due concorrenti, Orlando ed Emiliano. Il notevole fuggi fuggi dall’area renziana che ieri il presidente del Piemonte Chiamparino ha bollato come segno di viltà, ha reso alla perfezione la tesi dell’inversione proporzionale. Al Lingotto, dunque nella metà di un partito già purtroppo ubbidiente a metà, il pingue Renzi sta conoscendo i disagi del dimagrimento politico, giacché i sondaggi ora dicono nientemeno che rischierebbe alle prossime primarie addirittura di andare al ballottaggio. Siamo forse in presenza del noto dualismo anima-corpo? Fossimo in Renzi chiederemmo consiglio a Platone.

Da: Il Fatto quotidiano, 12 marzo 2017  

LORENZO SOMMO – AD di Saint Vincent: “Web e slot hanno spedito i Casinò nel dimenticatoio”

saintvincentAddio croupier. Anche il tavolo verde finisce nello scantinato del Novecento e il Casinò, simbolo della belle époque, slargo capitalista, recinto nel quale era permesso ai ricchi di consumare i soldi attraverso altri soldi, bruciarli vivi sotto la sorveglianza ineffabile, compassionevole o comprensiva del croupier, declina verso una fine attesa e purtroppo giunta. Dei quattro Casinò funzionanti in Italia, non a caso posti agli estremi geografici del settentrione (Sanremo, Saint Vincent, Campione e Venezia) quello valdostano è messo peggio.

Lorenzo Sommo, lei è l’amministratore delegato.

Sono stato chiamato un anno e mezzo fa quando la crisi era già avanzata.

Organico appesantito dalle amicizie, e sempre meno ricconi – veri o presunti – a sedersi al tavolo.

Il nostro bilancio oggi è di 64 milioni di euro. E il 70 per cento è assorbito dagli stipendi. Una cifra troppo elevata. Dobbiamo scendere da questo tetto e pure di corsa.

In dieci anni il cash si è dimezzato: negli anni d’oro Saint Vincent faceva 125 milioni. E lei ha dovuto firmare la lettera per 264 licenziamenti. Tanti se si tiene conto che i dipendenti sono 648.

Faccio l’avvocato, e sono qui per tentare di tenere i conti in ordine.

L’hanno chiamata quando il tavolo verde è rimasto al verde.

Subiamo la crisi del gioco online, la forza immateriale e violenta delle macchinette.

Nel Paese della ludopatia a chiudere sono i Casinò. Oggi si gioca in casa, si perde in casa, si piange da soli. Tutto online, e anche il vizio si smaterializza.

Si dice sempre della robotica che rimpiazza. Nel gioco il mondo nuovo è già arrivato. Tutti a comprare slot machine. L’investimento iniziale è salato, poi però i soldi che si ricavano garantiscono il sacrificio iniziale e lo compensano. Ne compri cinquanta e ti basta una sola persona a gestirli.

È l’età della solitudine. Al poker i gomiti si toccavano. I pokeristi sono stati una classe sociale. Resteranno i film a ricordarceli.

Internet cambia il mondo e noi ce ne stiamo accorgendo per primi. Dalle slot ricaviamo il 75 per cento degli introiti da gioco. Solo un quarto si fattura sui tavoli, dove c’è organizzazione, struttura e lavoro. Dove si esplica principalmente la qualità del croupier.

Una professione allettante fino a dieci anni fa.

Economicamente piuttosto considerata.

Quanto guadagna in media un bravo croupier?

Sui 4.000 euro mensili. È un lavoro di alta specializzazione. Ma qui da anni non si assume più, l’età del croupier volge al termine.Continue reading

Il Vernacoliere, Il direttore Cardinali: “Bistecchine e potere, gli ‘Amici Miei’ di Matteo”

mario-cardinaliIn Toscana tutto nasce e tutto muore, prima si fa poi si disfa e si sbeffeggia. Il Giglio magico ricondotto a un piccolo territorio, il quadrilatero che cuce Rignano (di babbo Tiziano e mamma Laura) con Pontassieve (casa di Matteo), Laterina (Boschi family) ed Empoli (Lotti and Co.), e lo sberleffo più cruento e sapido al potere costituito lanciato dalla vicina Livorno, patria di Mario Cardinali, fondatore ed editore e naturalmente direttore del Vernacoliere. È un po’ commedia all’italiana, un po’ impiccio di provincia, un po’ consorteria politica. In una parola: è genius loci. “Sa quante cattedre universitarie ci hanno offerto? Ma noi siamo gente perbene”. La prossemica ha cospirato contro Matteo Renzi quando ultimamente ha raccontato il rifiuto per l’alto incarico accademico che sembra sia giunto a lui e persino a sua moglie Agnese. Non sappiamo dove e non sappiamo quando, ma ci crediamo. Infatti da Livorno – al tempo in cui Matteo era über alles – il Vernacoliere titolava: “Lecca anche te il culo a Renzi”. Satira eccedente la misura, espressività di certosina trivialità, linguaggio decisamente greve, con una percussione semantica stabile sul sesso e le sue virtù.

Lei ha ottant’anni, Matteo neanche la sua metà.

Chi, il Bomba? I fiorentini sono gradassi per costituzione. Diciamoci la verità: i Medici erano arroganti fino al midollo e i toscani, che hanno imposto all’Italia la lingua, hanno ereditato questa particolare amicizia con l’eccesso di sé. Renzi è stato un perfetto interprete della toscanità come anche la sua corte.

Il renzismo ha il quartier generale nel quadrilatero che lambisce Firenze senza però toccarla, lontano pure dal vostro mare livornese.

Ha fatto cose da Amici miei. Sembra una pellicola del cinema degli anni Settanta, lo vogliamo dire?

Ma il Vernacoliere quanti titoli gli ha riservato.

Non moltissimi, ma quel che bastavano.

Lei usa un linguaggio che non ha paratie.

Non commetta l’errore di giudicare volgare la nostra espressività che invece è popolare, forse plebea, sicuramente antipotere. Il Vernacoliere usa la lingua del popolo che non conosce altre modalità e altre parole.

Il Vernacoliere è di sinistra?

Sicuramente di sinistra e sicuramente libertario. Antifascista e antirazzista. Renzi cià rotto il cazzo noi l’abbiamo titolato a caratteri cubitali. D’altronde era un sentimento popolare. Noi non lo traduciamo. Ha stufato con la sua arroganza, e la teoria della velocità al governo – come diceva? Una riforma al mese? – noi l’abbiamo tradotta con Troppa velocità: Renzi s’è cagato addosso.Continue reading