Sparatoria Palazzo Chigi: i commentatori dell’odio

Bisognerebbe fare un lungo respiro e riordinare il pensiero prima di commentare i fatti accaduti stamane davanti a Palazzo Chigi. Avere la prudenza di indicare le circostanze conosciute e finora accertate senza agevolare il galoppo della fantasia. Tre ore fa due carabinieri sono stati feriti da uno sparatore la cui biografia, stando a quel che finora si conosce, contiene null’altro che la disperazione di una vita senza più lavoro e senza più famiglia. Disoccupato da mesi e divorziato. Ha sparato nel momento in cui il nuovo governo giurava fedeltà alla Costituzione. Non sappiamo se la coincidenza, così tragica e suggestiva, sia stata voluta. Quel che è certo è che la connessione dei due momenti ha fatto uscir di bocca ai numerosissimi commentatori istantanei, alcuni per obbligo (i giornalisti) altri per passione (gli schiavi di twitter) tesi ardite o ridicole.

“Chi semina odio…” è stato il concetto più banale e più diffuso. Subito dopo si è passato alla ricerca delle responsabilità. A chi toccasse portare la croce: se alla Fornero, da oggi ex ministro, o a Enrico Letta, da questi minuti nuovo premier, oppure a Beppe Grillo, fomentatore di odio, o ancora ai critici delle larghe intese, aizzatori di violenza.
Non c’è nulla di più criminale che indicare un bersaglio per scrollarsi di dosso la propria responsabilità. L’ha fatto persino Gianni Alemanno, il sindaco di Roma, che ha immediatamente intravisto nella scena il risultato della contrapposizione di queste settimane. Meriterebbe, per aver parlato a sproposito, di subìre per contrappasso la pena di stare in silenzio per tutta la campagna elettorale di Roma.
Alcuni mesi fa un signore disperato si dette fuoco davanti al Parlamento. Non sparò, non attentò alla vita altrui. Decise lui di farla finita denunciando così la propria disperazione. Quando la crisi economica è così acuta e si somma a una crisi politica senza pari, si infragilisce sia la rete sociale che la prudenza, l’equilibrio, la continenza delle parole e dei gesti.
La politica è chiamata a portare la responsabilità delle sue azioni e non ad affogare in un bla bla. Facciano vedere cosa sanno fare, e noi saremo felici, se le scelte saranno giuste, eque, opportune, di registrarle e prenderne atto. Però si sappia che in questo tempo di pensiero unico, le larghe intese non autorizzano alle larghe scemenze. Parlare di meno, e possibilmente cum grano salis.
Dal blog di Antonello Caporale su Il Fatto Quotidiano, 28 aprile 2013

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