ALFABETO – INNOCENZO CIPOLLETTA: Il 2009 come il 1989. È caduto il muro del capitalismo

innocenzo-cipollettaLa lista degli incarichi di Innocenzo Cipolletta è lunga quanto un foglio A4. Analista, economista, direttore di Confindustria, poi presidente delle Ferrovie, ora di Ubs Italia e anche dell’Università di Trento. La lista dei suoi errori non è acclusa al curriculum.

Quanto sbagliano gli economisti? Quanti errori fanno coloro che s’impancano, giudicano, censurano, indicano la retta via?

Le previsioni si possono sbagliare, ma non bisogna fraintenderne il senso: non sono strumento per indovinare il futuro ma una griglia delle cose da fare e di come farle perché il sistema reagisca a un rischio, rintuzzi un pericolo, mostri equilibrio.

C’erano stati anche errori ciclopici sulla valutazione della dimensione della crisi del 2009…

Bisogna dire però che alcuni colleghi avevano esattamente previsto la portata della crisi, e lo hanno fatto con un anticipo sui tempi della implosione assolutamente rispettabile.

Voi somministrate medicine quotidiane per tenere vivo e vegeto il capitalismo. Mai ricordate però che questo sistema ha in sé istinti suicidi.

Ogni sistema lasciato a se stesso, messo cioè nella condizione di debordare, mostra istinti suicidi. L’economia di mercato non esiste in natura. Un complesso di leggi, di regolamenti, di azioni e provvedimenti dell’uomo fanno sì che si sviluppi con un ordine compatibile, gestibile. Il mondo si è arricchito con il capitalismo. È emersa un’area del globo, il lontano Est asiatico, che grazie al mercato è riuscita a vincere la fame. Se questa non è una conquista, se non ritiene che l’emersione di milioni di cittadini dal mondo del sottosviluppo e della fame sia una conquista di civiltà e insieme il titolo di merito più grande del nostro sistema economico…

Nell’89, con la caduta del Muro, l’economia socialista, l’idea di un modo di produzione e di distribuzione della ricchezza alternativo al capitalismo, è stata riposta nel cassetto e dichiarata defunta. Ma la crisi terribile del 2009 non ha sollecitato analisi di pari severità. Tutto perdonato.

Invece no. C’è un paper preparato dal Fondo Monetario Internazionale, frutto di una riflessione impegnativa da parte dei dirigenti di quella istituzione, che è un implacabile atto d’accusa.

L’Fmi che si autoaccusa?

Esatto. Convengono che le azioni messe in campo sono state frutto di una sudditanza al pensiero dominante secondo il quale il capitalismo fosse autoregolamentabile. Non è vero, se l’uomo non l’aggiusta, se non lo contiene nelle sue dinamiche, tutto va in malora.

Siamo più poveri.

Sono aumentate le diseguaglianze, ma diminuite le povertà.

Sarà come lei dice, ma il lavoro perde valore, Internet mangia i salari, aumentano le braccia e anche i cervelli che non trovano una remunerazione possibile. Perché sbeffeggiate chi immagina che la crisi si possa combattere anche con un altro tipo di vita?

Lei mi sta parlando della teoria della decrescita felice?

Sì.

È l’equivalente della rassegnazione e statuisce che il mondo sia in crisi. Ripeto: saranno aumentate le diseguaglianze, non i poveri. Poi ciascuno è libero di vivere una vita di privazioni, aderire a uno stile sobrio. Ma sono scelte individuali, non è questo il tema sul quale si possa trovare una condivisione. Ricordi che l’espansione genera diseguaglianze, ma che sempre di espansione si tratta. Ricchezza più larga, più diffusa, più universale.

Il capitalismo ha una sua particolare forma di idiozia. La questione dei migranti è esemplare: si spendono miliardi di euro per recintare i profughi, farli vivere da appestati, creare una nuova forma di schiavitù. Quel denaro potrebbe servire a costruire nuove vite, a dare a chi scappa la possibilità di resistere.

Su questo mi trova d’accordo. Anzi le aggiungo: i soldi, se bene indirizzati, potrebbero aiutare a costruire altre fortune per il Vecchio continente. Davanti a un calo demografico così netto l’opportunità di sviluppare e stabilizzare una integrazione virtuosa sarebbe da afferrare al volo. Invece niente.

Ecco l’idiozia.

Abbiamo instillato la paura nell’altro che fugge e adesso la paura ci presenta il conto.

Da: Il Fatto Quotidiano, 4 giugno 2016

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