Così Monti divenne senatore e commissariò la politica

9 NOVEMBRE 2011: UN ANNO FA NAPOLITANO INSIGNIVA IL PROFESSORE DEL LATICLAVIO, PREPARANDO LA SUCCESSIONE “TECNICA” A BERLUSCONI
Anche l’anno scorso c’era il sole di ieri, caldo a mezzogiorno malgrado novembre. Il 9 novembre di un anno fa Roma è tiepida e assediata dall’ansia. Dal Quirinale quella sera arriva la mossa del cavallo. L’Ansa batte la notizia flash con le rituali stellette dell’emergenza: il professor Mario Monti, presidente della Bocconi, è stato nominato senatore a vita. Sono le 19:22 e passa un’ora per un primo commento ispirato dal Colle: l’ipotesi che la nomina a senatore contenga in sé l’annuncio che Monti guiderà un governo tecnico è pura fantasia. “Fantasticherie”, fanno scrivere. La politica è un’arte che ha bisogno della simulazione come il bambino in fasce del biberon. Quel giorno a quell’ora Giorgio Napolitano forse non poteva dire altrimenti. Ma Bossi, una settimana prima, avrebbe potuto evitarsi la pernacchia, una lunga e un po’ sfiatata pernacchia con la quale aveva liquidato il licenziamento prossimo venturo di Silvio Berlusconi? SIMUL stabunt e infatti simul cadent. Umberto è tramortito e Silvio – livido e disperato – giunge alla Camera l’8 di novembre, dove consegna lo scettro del potere. Conta i voti che gli mancano per stare ancora a galla, reggere tra i tradimenti dei più, sostenersi con le acquisizioni, tutte a titolo onerose, dei cosiddetti responsabili: un gruppetto di deputati che offre servigi.
Sono dieci voti meno del necessario. Aveva chiesto la conta dopo un consiglio di guerra tenuto in famiglia: lui, il solito Ghedini, la solita Marina, figlia prediletta e guerriera indomita: “Vai avanti papà”. Il governo in verità era già morto, e l’improvvisazione, la paura, lo sbandamento toccavano picchi mai visti, quasi quanto lo spread che il giorno dell’incoronazione politica di Monti raggiunge i 570 punti. “Tutto si è compiuto in dieci giorni, dopo soli dieci giorni siamo in un altro universo”, dice Pier Luigi Bersani nel discorso alla Camera. L’altro mondo, sì. Regista e programmatore della rivoluzione tecnica, asettica, chirurgica è Napolitano: “Il suo stemma araldico dovrebbe essere un coniglio bianco in campo bianco” disse di lui all’atto dell’investitura, e sbagliando clamorosamente pronostico, Giuliano Ferrara. Il coniglio si è trasformato in leone per la grave necessità di non morire di fronte al dirupo berlusconiano. E già il 1 novembre, come soccorre la cronaca di Fabrizio d’Esposito in “Re Giorgio” (Aliberti Editore, 2011) annuncia la mossa che una settimana dopo avrebbe cambiato segno al settennato e in qualche modo tenuto nei confini democratici una crisi insieme civile ed economica. Il giorno di Ognissanti Napolitano inizia pubblicamente a preparare il terreno per l’avvicendamento. La nota del Quirinale è netta: “Dinanzi all’ulteriore aggravarsi della posizione italiana nei mercati finanziari europei il presidente della Repubblica considera ormai improrogabili l’assunzione di decisioni efficaci”. Anche doversi esponenti dell’opposizione “gli hanno manifestato la disponibilità a prendersi le responsabilità necessarie”. La mano finale della partita a scacchi con Berlusconi è iniziata e si sarebbe conclusa il mercoledì successivo, quando Napolitano procede alla nomina di Monti a senatore a vita e contestualmente comunica che “non esiste alcuna incertezza sul fatto che Silvio Berlusconi si dimetterà nel giro di alcuni giorni”. Gli aveva concesso di “guardare in faccia i traditori” e di fare un lungo respiro prima di quella traversata, sabato 12 novembre, verso il Quirinale.
QUELLA SERA fu straordinaria, certo assai più solenne e tragica dell’altro giorno che pure segna l’ultima tappa, quella della liquefazione, a un anno esatto della caduta del governo, del partito di una destra italiana dai tratti somatici ineguagliabili. Insieme tragica e comica, furba e spietata, inconcludente e insieme pericolosa. Alleluja cantarono, e intonarono il Dies irae e anche il Va’ pensiero, e Bella ciao. Arrivava Monti, il governo dei tecnici. Doveva essere una parentesi, sembra invece anche il futuro prossimo. L’emergenza che si fa sistema, il potere alla sua radice quadrata.

da: Il Fatto Quotidiano, 10 novembre 2012

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