Letta, quarantenne in fuga “Giù le mani dal Quirinale”

NELLA CONFERENZA DI FINE ANNO IL PREMIER RIVENDICA: HO RINGIOVANITO IL GOVERNO
Enrico Letta profuma d’incenso anche quando scatta, rompe gli argini, avverte che lui c’è in campo. Gli rovina il salto nel futuro quel profilo curiale che sempre lo risistema nel passato, nella curva grigio Londra dell’apparato di Stato. Ieri ha provato, riassumendosi, ad aprire il discorso di fine anno con un ritmo da beat generation: siamo i quarantenni al potere, “un’epocale svolta generazionale”, saremo ricordati dalla storia per aver salvato l’Italia e mandato al macero il potere immobile dei nostri papà. Ecco qui il primo inciampo tecnico Perchè l’Italia ha avuto da quarant’anni un Letta sul capo e si confonde, si attarda, si stufa di ricordare che Enrico non è Gianni. Anzi, odiosissima ricorrenza, sovrappone spesso l’uno sull’altro, sussume il piccolo nel grande, o anche riconduce i due a una sola unità impersonale, dal sorriso glaciale: i Letta.
PERCIÒ QUANDO PARLAVA ai giornalisti di epocale svolta un po’ sembrava fantasy, cinema di questi giorni di Natale. Eppure lui ha insistito testardamente. Lettamente, il meraviglioso avverbio (copyright Grillo) che ritrae l’andatura da pachiderma di colui che si dichiara invece lepre. Prima di Matteo ci sono io, ci ha detto . E oltre Matteo c’è Angelino Alfano che ho tolto dal parrucco berlusconiano, ho liberato le sue energie democristiane facendolo tuffare da solo nel grande mare della politica e delle poltrone. Passeremo alla storia tutti e tre (non abbiamo capito in quale ordine) ha ripetuto una seconda volta, e qui è sembrato troppo. Anche Angelino alla storia? Poi ha continuato introducendo anche l’albero di Natale. Mangia il panettone e lo mangerà anche l’anno prossimo, ha promesso. E dentro la primavera sboccerà la nuova legge elettorale e almeno una prima approvazione della riforma costituzionale. “Chiuderò le Province e casserò quella parola anche dalla Carta”. E darò lavoro, darò speranza. “Sapete quanto è valsa la stabilità? Cinque miliardi di euro. La somma risparmiata dagli interessi sul debito. Erano 86 miliardi l’anno scorso. Oggi sono 81. Fate voi i conti”. Letta ci piace perchè almeno non mitraglia come Renzi, scandisce dovizioso le sillabe e fa un uso moderato del non sense (solo una volta ha detto: chiudo con questo fiocco di pensiero). E poi accompagna le parole con un moto circolare delle braccia che le fanno apparire verità giganti, maestose, incontrovertibili.
IL DISPIACERE ARRIVA subito dopo, quando c’è da riassume nel taccuino: cosa ha detto? Cosa ha fatto? Cosa è successo? Viva la stabilità (dieci volte) la concretezza (cinque), l’Europa (quattro), i conti a posto (tre). Abbasso il populismo (quattro volte), gli attacchi di Grillo a Napolitano (tre volte). Anzi, viva Napolitano (tre volte) e viva, si fa per dire, anche Renzi (due). “Saremo una bella squadra noi” (due volte) e vedrete. Per quindici volte ha coniugato al futuro il verbo vedere, la promessa che qualcosa accadrà, che questa vita “faticosa” gli italiani non la faranno per sempre. Vedrete. Ogni promessa è debito, ma qui è parso che Enrico volesse ipotecare un po’ del suo futuro. Infondo è solo dal 24 aprile che è al comando e a parte la svolta epocale generazionale cosa c’è da ricordare? “Vi ricordo che l’Imu non si paga più”. L’ha detto già Berlusconi, grazie. Gli italiani dopo il suo governo stanno meglio o stanno peggio? Stanno peggio ha detto ma non è colpa mia. Vedrete. Aspettate che Enrico sieda alla presidenza del consiglio europeo e ve ne accorgerete. Aspettate maggio e capirete. E aspettate anche il prossimo dicembre, ritroverete di nuovo lui qua, a discutere delle cose fatte, o solo immaginate. Letta sopisce, ed è un mestiere di famiglia, e dal suo discorso il suo governo di naufraghi si perde come il sole al tramonto. Capricci, ministeriali, guazzabugli normativi, emendamenti furtivi o lobbistici: l’universo dell’esecutivo è stato costellato da ripetute mediocri performances. Un giorno un’idea, il giorno successivo l’idea cassata o corretta. Come questa legge di stabilità, la più precaria e instabile normativa sulle risorse da investire, i quattrini da individuare, le imprese da tassare e quelle da liberare dal giogo del fisco. Una nebulosa permanente, e un indirizzo politico costantemente provvisorio. Ogni ora Renzi che incalza col suo forcino acuminato, e Letta che deve fare due passi avanti, o di lato per non finire inforcato. “Siamo una bella squadra”, e s’è visto. Il volto di Letta si fa faccino timido, riquadro operoso nella foto grande che raffigura il presidente della Repubblica, il suo Re Sole. Nessuno oggi è più convinto di affidare nelle mani di Napolitano tanto potere, e sempre più diradata la schiera dei sostenitori. Resta lui, da solo, a fare scudo. Com’è successo ieri. Prova eterna di gratitudine e anche di buona educazione che non ha mai fatto difetto a un Letta. Enrico ha l’animo nobile ma il corpo allenato a questi cattivi tempi. Renzi vorrebbe mangiarselo, lui prova a non farsi prendere. Chiude la conferenza stampa, corre alla Camera per la fiducia, vola dal carabiniere ferito davanti a palazzo Chigi nel giorno del suo giuramento, e poi dai bimbi a casa, a leggere le favole.

da: Il Fatto Quotidiano 24 dicembre 2013

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