M5S, l’onestà non basta. Ecco cosa serve per amministrare bene

di ANTONELLO CAPORALE E FABRIZIO D’ESPOSITO

26062016

 Il grido, ultima evoluzione dell’atavica questione morale, è rimbombato nella notte della vittoria, domenica scorsa: “O-ne-stà, o-ne-stà”. È questa, la pietra miliare su cui poggia il boom del M5s. Però, da sola, l’onestà non basta. Il Fatto ha chiesto a dieci opinionisti di declinare un dizionario politico.

ALDO MASULLO

Che cos’è l’onestà nelle istituzioni

Ancor peggiore della disonestà nelle sue forme volgari è quella del politico, il quale, pur avendo sperimentato la sua incapacità di governo, si ostina per tornaconto o anche solo per vanità a resistere nella carica e continua così a produrre guasti umani irreversibili. Suprema disonestà propriamente politica è infine di chi, eletto, tradisce ideali, programmi e promesse giustificandosi con insormontabili ostacoli o condizionamenti di irrinunciabili alleanze. Il presidio della libertà di chi detiene un potere democratico non viene mai meno: sono le dimissioni pubblicamente motivate.

ISAIA SALES

Corruzione e partiti: dal Pci ai pentastellati

Nei diversi cicli politici che hanno interessato le amministrazioni locali in Italia (1975-1993-2016) la percezione della corruzione e la rivolta elettorale contro di essa hanno giocato sempre un ruolo fondamentale. Ad avvantaggiarsene nel passato è stato il Pci. Se a beneficiarne sono oggi i Cinque Stelle, ciò lo si può spiegare solo con il fatto che è radicalmente cambiata la percezione dell’elettorato verso il Pd (non un partito anticorruzione ma un elemento della corruzione) mentre non è affatto cambiato il bisogno radicale di una politica non corrotta come base della buona amministrazione.

VINCENZO VISCO

Competenza ed esperienza

Per governare un Paese, o anche un grande Comune, l’improvvisazione non è ammessa. Occorrono competenze istituzionali e normative, conoscenza e possibilmente competenza nei problemi tecnici che devono essere affrontati, consapevolezza degli interessi coinvolti nelle decisioni che vengono assunte, capacità di gestire i rapporti con le assemblee legislative, i sindacati, i rappresentanti delle categorie, e anche abilità e serietà nel comunicare le scelte. I filosofi greci, da Socrate in poi, diffidavano della democrazia intesa come gestione assembleare (democrazia diretta) delle città e teorizzavano il governo degli ottimati (dei filosofi, secondo Platone). Nelle democrazie moderne il compito di selezionare le classi dirigenti è stato affidato ai partiti (con qualche successo). Oggi sembrano prevalere per i politici criteri di selezione basati su qualità diverse dalle competenze (età, genere, aspetto fisico). Abbiamo anche assistito al l’elogio dell’inesperienza, dell’incompetenza o addirittura dell’ignoranza. Così non si va lontano.

ERRI DE LUCA

Sporcarsi le mani o tenerle pulite? Continue reading

ALFABETO – MARIANO PARENTE. Il geologo: “La società ha ancora bisogno di carburante, ma è incapace di non farlo esondare”

mariano-parente

Precisazione

Il prof. Mariano Parente, geologo dell’università di Napoli, protagonista dell’intervista che potete leggere più in basso, ha svolto insieme al team dell’ateneo napoletano, attività di ricerca per l’ottimizzazione e lo sviluppo del giacimento di Tempa Rossa di cui è titolare Shell.
Ma Shell ha acquisito i diritti su Tempa Rossa ben prima del contratto di collaborazione con l’università di Napoli.

a.cap.
Mariano Parente accarezza le pietre, conosce il loro disporsi sotto i nostri piedi, sa esattamente le faglie come si compongono, come si fratturano, cosa nascondono, cosa patiscono. Eppure lui è il medico anestesista a cui le compagnie petrolifere si rivolgono quando hanno bisogno di perforare. Insegna Geologia del petrolio all’Università di Napoli, ateneo a cui la Shell si è rivolta quando ha deciso di investire in Lucania, a Tempa Rossa. “Naturalmente faccio parte di un team di ricerca e scovare la linfa vitale del petrolio è come procedere a una caccia al tesoro. Indichiamo alle compagnie l’area, meglio sarebbe dire il perimetro, entro cui concentrare le ricerche”.

Lei mette a disposizione il suo sapere a coloro che con le trivelle fanno profitto a danno dell’ambiente. Non è una incresciosa situazione?

Partiamo da un fatto: la nostra società, per come è organizzata, ha bisogno di carburante. L’energia verde non basta, il combustibile fossile è ancora una necessità. Se ne potrebbe fare a meno se la civiltà mondiale mutasse radicalmente stile di vita o iniziasse un percorso di decrescita. Questo è il primo assunto. Secondo: l’estrazione del petrolio è un’attività industriale che se controllata ha un minimo impatto sull’ambiente.

Le vicende lucane la smentiscono.

Non creda che sia stato contento di quel che è venuto fuori. Sto solo affermando una verità: esistono luoghi nel mondo, penso alla Norvegia, dove il petrolio non impatta clamorosamente con l’ambiente. I norvegesi si sono dotati di un’autorità statale che controlla rigorosamente i parametri di sicurezza e li fa rispettare.

Lei vorrebbe essere in Norvegia.

Io vorrei vivere in un Paese che non si facesse male da solo. Non riuscire a imporre le cautele necessarie e conosciute che grazie alla tecnologia permettono di governare il petrolio senza farlo esondare nella nostra vita quotidiana, dentro il nostro corpo e lo trasformi infine in una ossessione è un deficit civile a cui mai mi abituerò. Io so che altrove è possibile fare ciò che da noi non si fa.

E perché non si fa?Continue reading

L’OSSESSIONE “MODERATA” MASCHERA GLI AMBIGUI

L’impresa del moderato Cameron che per regolare giochi di corrente ha messo il mondo sottosopra ci regala una verità strabiliante. Vi sarà capitato credo di ascoltare politici che a ogni piè sospinto si dicono “moderati”. Ogni volta che li ascolto mi chiedo cosa mai vorranno intendere: per caso che chi vota per loro, chi li appoggia sia una persona equilibrata, saggia, prudente, equa? Quindi gli avversari sono estremisti della ragione, furiosi cittadini, elettori ossessivi? Gente per bene contro gente per male?

Il cancelliere inglese Cameron ci ha finalmente regalato la verità: i moderati non esistono, sono una falsificazione, un vero sopruso della ragione. I moderati ci hanno regalato i maggiori guai anche culturalmente. Anzitutto non sono mai capaci di indicare una strada ma scelgono, per prassi e per conformismo, la via di mezzo, la categoria del gnè gnè. Un po’ con l’uno e un po’ con l’altro.

Silvio Berlusconi ha guidato la coalizione dei moderati, e s’è visto. Il tumultuoso Brunetta è un moderato: ma sicuramente! E il felpato Casini? Moderazione fa rima con manipolazione. Per fare un esempio: il ministro dell’Ambiente moderato (noi ne abbiamo uno coi fiocchi) è capace di aumentare le sanzioni a carico degli inquinatori e contemporaneamente i parametri che decidono se si inquina. I moderati amano la doppiezza e giocano sulla percezione caritatevole della parola lasciando intendere, fraudolentemente, che la radicalità delle scelte significhi estremismo. Cameron, tipico politico del nì, è finito a terra sotto il peso della propria ambiguità. E se l’Europa si trova in queste condizioni lo si deve alla permanente compromissione di ogni scelta. Il compromesso come virtù salvifica conduce nelle strettoie degli azzeccagarbugli e alla fine si perde nel suicidio inconsapevole, come oggi Londra pare a noi.

Da: Il Fatto Quotidiano, 25 giugno 2016

DOPO ILVOTO – Consigli alle sindache M5S

La fatica da condividere e la bellezza del bene comune

Vorrei un assessorato alla responsabilità, e uffici chiamati a curare la bellezza, il decoro, la dignità di chi ci vive. Sono parole bellissime di cui abbiamo perso traccia. Spero perciò che queste due giovani donne saranno capaci anzitutto di dare senso comune al bene comune. E in grado di convincere gli italiani a stimare e non più dileggiare chi si occupa della cosa pubblica. Non è solo una questione di stile. Certo che conta la misura, naturalmente
conta l’onestà, ma più di ogni altra cosa conta la capacità di far condividere a coloro che amministrano la fatica di fare.
Tutte e due, insieme agli altri nuovi eletti (anche di altri movimenti e partiti) hanno debiti da saldare e non miliardi da investire, perciò
la loro impresa più difficile consiste nell’imporre il linguaggio della verità. Vorrei, per esempio, che Virginia Raggi fosse capace di indicare quel che sa fare e quel che non può o non riesce a fare. E indicare, sperabilmente con nome e cognome, chi ostruisce e chi costruisce.

da: Il Fatto Quotidiano, 22 giugno 2016

La timida e la sgobbona, dai banchetti al Comune

appendino-raggiChiara ha trentuno anni, Virginia trentasette. Chiara è una ragazza borghese, casa in centro a Torino e studi di economia internazionale alla Bocconi. Virginia ha studiato Giurisprudenza a Roma Tre, vissuto nell’Appio Latino, a ridosso delle mura, e poi con il compagno si è trasferita ad Ottavia, periferia nord.

Virginia e Chiara sono le due nuove first ladies italiane, due giovani donne che si sono prese tutta la scena, occupando in novanta giorni ogni spazio. Virginia Raggi conquista il Campidoglio con un vantaggio inverosimile per la sua straordinaria ampiezza: trenta punti quasi su Roberto Giachetti. Un distacco, secondo i primi dati, che non ha pari nella storia della Capitale e tinge l’Italia di un colore nuovo: l’arcobaleno pentastellato. Chiara Appendino in quindici giorni ha recuperato venti punti a Piero Fassino bruciando – oltre ogni aspettativa – le attese che erano tutte a favore dell’antica roccia del Pd: l’usato sicuro che non ti lascia mai per strada.

CHIARA E VIRGINIA non sono gemelle siamesi. La prima ha venti centimetri in più della seconda, ha quaranta di piedi, capelli a caschetto e viaggi in mete lontane e pericolose. “Non sono moralista, non sono populista, non ho chiamato Casaleggio, non dico bugie”, ha spiegato presentandosi.

La bugia, l’omissione è invece stata la corda a cui è stata impiccata Virginia Raggi. Dapprima per non aver ricordato di essere stata praticante nello studio Previti, la seconda volta, poche ore prima del voto, accusata di aver omesso gli introiti ottenuti come legale dell’Asl di Civitavecchia. “Voi giornalisti siete come Pm: non ascoltate le risposte. Continuate a fare la stessa domanda, sempre quella, solo quella finché uno non cede”. Virginia ha liquidato come “fango” le accuse e la sua campagna elettorale è stata molto più dura di quella che è toccata in sorte alla sua amica Chiara. La torinese sorride e fa comunella con tutti, la romana diffida anzitutto: “Ho questa difficoltà e la riconosco. Se non ho confidenza non riesco a trovare il feeling giusto”.Continue reading

ALFABETO – BRUNO BARBA: Pensare con i piedi serve a capire l’anima di un popolo

calciologiaIl calcio è un miracolo perché si gioca con i piedi, nel modo più innaturale possibile. La palla scivola, s’intorcina, impone di non rotolare su di lei. Perciò gli americani preferiscono gli sport che hanno nelle mani il centro di tutto: le mani sono i nostri migliori arti, precise, affidabili, sicure.

Col piede devi mostrare un talento superiore.

Restare dritto carezzando con la caviglia la palla, tenendola verso di te col tallone. Il calcio è gloria per i derelitti.

Garrincha, Maradona, Cassano, Messi sarebbero stati uomini diminuiti, ai margini.

Il loro riscatto passa attraverso uno stratagemma della fisica, è una qualità superiore del loro corpo. Infatti i migliori hanno spesso radici sociali modeste, hanno avuto infanzie difficili, percorsi di studi insufficienti, famiglie spesso inabili alla cura.

Bruno Barba, che lavora all’università di Genova, facoltà di Scienze politiche, è professore di calciologia.

Il campo riproduce l’identità nazionale, lo stile di vita, la filosofia con la quale ci esprimiamo. Giochiamo come campiamo.

L’Italia di Machiavelli.

Guarda come è stata con la Svezia. Bruttina, utilitaristica, negli ultimi minuti perfino moralmente riprovevole con quei passaggetti, quelle ostruzioni, quei bacini che si incurvavano. E felicemente furba. Cos’è il contropiede se non un fendente a viso coperto, una freccia che ti entra in corpo quando meno te l’aspetti? E quello è stato il tocco di Eder: una freccia nel cuore all’improvviso.

E la difesa, il catenaccio?

Il campo ci dice come siamo fatti noi, i nostri valori, e i nostri disvalori. Tentiamo di spendere poche energie, reagire ma non attaccare. Infatti Arrigo Sacchi, l’allenatore teorico del calcio d’attacco, del pressing incessante, a cui piace il confronto a viso aperto, è definito eretico. È fuori dai nostri canoni, e sarà sempre così.

Il colonialismo inglese.

Perfettamente riprodotto: calcio espansivo, aggressivo, che impone il ritmo. Calcio spavaldo, fisico. Attaccano da destra, da sinistra. Il gioco si espande. Sono colonialisti nell’anima.

Magari non sempre vincenti.

Magari no, ma si muovono sul rettangolo esattamente come la storia ce li rammenta. Partono dal primo minuto e corrono fino alla fine. Attaccano anche se vincono, corrono anche se hanno le gambe molli.

Per voltare pagina e andare all’arte bisogna raggiungere il Sudamerica.

I brasiliani hanno nell’Africa il loro progenitore. E col calcio ballano, danzano, fanno teatro. Futbol arte o futbol bailado. Conta esprimersi esteticamente, riuscire a stupire, carezzare la pelota, che è femmina, e condurla con i piedi lì dove nessuno mai potrebbe immaginare.

Il Brasile però vince di più quando è concreto.

Ma i loro tifosi soffrono molto di più se li vedono giocare male. La vittoria è importante, ma decisivo è dare una lezione di calcio. Non a caso la squadra che perse con noi ai mondiali dell’82 ha fatto sognare, piangere e amare molto di più dei compagni di squadra che poi avrebbero vinto. Cerezo, Zico, Falcao hanno pochi trofei in casa ma una popolarità sconfinata.

E poi c’è il melange.

L’ibrido argentino. Classe e fisico, arte e praticità, espedienti tattici fantastici e forme di gregarismo italiano. Il mix che li conduce in vetta. Un calciatore argentino, di regola, non è mai un cattivo acquisto.

Il calcio dunque è l’esatto specchio sociale, il nostro doppio che si riproduce in campo.

Non c’è altro sport che perfettamente illustri lo spirito nazionale quanto il calcio. Quando si dice: quel giocatore si è trasformato in campo, si dice una grande fesseria. Il campo è disvelatore, è il luogo in cui tu esprimi quello che sei. Non puoi essere una persona perbene se poi sugli spalti gridi sporco negro.

L’hooligan che è in noi.

È più in loro. E c’è un perché.

Inglesi e maledettamente colonialisti.

Guerrieri dallo spirito animalesco. Avanzano, debordano, conquistano, feriscono.

Calciologia.

Dimmi come giochi e ti dirò chi sei.

Da: Il Fatto Quotidiano, 18 giugno 2016

A Bologna una triste contesa in cui vincerà il meno peggio

voto-emiliaNon arriveranno le ruspe a Bologna e la città rossa resisterà malgrado la noia. Lucia Borgonzoni, estrosa interior designer, cuore donato all’arte e foulard verde al collo, è la Maria Elena di Salvini: caruccia, spigliata, dal linguaggio contro. Naturalmente contro i rom, contro gli immigrati, contro i centri sociali, di cui in gioventù è stata pure una frequentatrice assidua.

L’ANIMA CONTRO che altrove vince o coalizza un vasto sentimento, nel capoluogo dell’Emilia, la capitale di ciò che resta del Pci, consolida un buon risultato tanto da raggiungere il ballottaggio che, a leggere i sondaggi, è la linea del Piave. Oltre non potrà andare il centrodestra a trazione leghista. “La Lega è forte, è presente a Bologna, ma lontana dall’identità della città. Io voterò No al referendum costituzionale, ma non ho il minimo dubbio a sostenere e far votare Virginio Merola”, ha detto la politologa Nadia Urbinati a Repubblica.

“Sono onesto”, ha dichiarato il sindaco uscente, il più debole tra i figli del Pci che – eccezion fatta per l’esperienza di Guazzaloca – hanno ininterrottamente governato la città. Merola annoia, non stupisce, non ha visioni, non scalda i cuori, non promette rivoluzioni. Ha il fisico del geometra, la storia del militante che ha trovato lavoro nella Lega delle autonomie locali (“ritornerò lì se sconfitto”) e poi ha fatto carriera a passettini. Uno per volta: dalla sezione alla poltrona di sindaco. È il meno peggio, e questo già può bastare. “Il Pd ha ottenuto il 35 per cento dei voti, ancora un primato italiano”. È vero, malgrado gli undici punti percentuali che separano l’affluenza alle urne tra le scorse amministrative e queste (71 per cento cinque anni fa, quasi il 60 per cento questa volta) il voto è andato meglio della grande paura. Scendere sotto la soglia del 40 per cento, rendere permanente la debacle politica delle ultime Regionali che videro il presidente Stefano Bonaccini vincere nel deserto delle urne, sarebbe stata la fine.

La paura era tanta, e gli appelli ad andare a votare, soprattutto nei quartieri periferici dove l’adesione al partito era principio e fine della vita, non sono mancati. Visti i risultati, qualcosa di meglio della sciagura paventata è accaduto. Se Merola vince è perché l’opposizione ancora non riesce ad esprimere una alternativa credibile, il centrodestra praticamente a ruota del movimentismo salviniano che ha proposto alla città questa giovane donna, la Lucia appunto, dall’aspetto gradevolissimo ma poco più.Continue reading

Marco Cappato. A Milano i Radicali scelgono Mr. Expo, nonostante il ricorso

marco-cappatoIl radicale Marco Cappato prova a illustrare i motivi che lo hanno portato a sostenere Beppe Sala, candidato che un mese fa Marco Cappato riteneva ineleggibile e dunque da estromettere per eccesso di bugia e un multiplex di interessi dalla competizione elettorale milanese.

Alt, è qui che sbaglia. Io non insinuavo o dubitavo.

La storia dei Radicali è fatta di battaglie laiche e a viso aperto.

A viso apertissimo mi sono rivolto al l’Autorità della concorrenza.

E lo ha denunciato.

Un semplice esposto corredato da una domanda: non è per caso ineleggibile?

Lei è l’unico uomo al mondo a perire sotto la mole delle sue stesse ragioni.

Se ho ragione, ho ragione.

La disgrazia è che nemmeno dubita della sua ragione.

Non dubito, non insinuo. Sto ai fatti.

I fatti dicono che si è apparentato con Sala.

Persona che non ha espresso un solo rilievo su di me e il mio esposto. Di una eleganza assoluta.

È veramente un sant’uomo. Lei farà l’assessore?

Se si dovesse vincere, se ritrovassimo un comune sentire, direi che sarebbe una eventualità possibile.

Allora speriamo che sia eleggibile e che lei abbia torto.

Ma infatti io ho presentato un documento aperto all’accertamento della verità, voglioso della verità.

Era parso che denunciasse l’imbroglio.

Ricasca nell’errore. E comunque non sa quante ne ho fatte a Sala durante l’Expo, quante richieste di accesso agli atti. Sono stato una spina nel fianco.

Sala si sta affezionando alla spina.

Lei pensa…

Cappato, come spina fa parecchio dubitare.Continue reading

DE LUCA, INSOSTENIBILE ARROGANZA DEL POTERE

Dov’è il lanciafiamme che deve ripulire il Pd dallo sporco e dagli inetti? La foto che ieri raffigurava Matteo Renzi tra le ecoballe – la vergognosa filiera di immondizia che in Campania si è costruita ed ha avvelenato per via della disgrazia di una politica inetta – insieme a Vincenzo De Luca, il governatore che libererà la Terra dei fuochi dalla vergogna, sarebbe perfetto allo scopo. Il governo, questo è un fatto positivo e bisogna darne atto, ha impegnato circa 600 milioni di euro per bonificare i territori inquinati e trasferire in inceneritori o discariche autorizzate, la montagna di sudiciume. Avendolo a fianco, Renzi avrebbe però fatto bene a chiedere a De Luca le ragioni per cui la Campania non ha il secondo inceneritore dopo quello di Acerra, che si sarebbe dovuto realizzare proprio a Salerno, e che avrebbe permesso di bruciare in loco una gran quantità di ecoballe. Come mai De Luca, appena gli fu revocata la nomina dal governo Berlusconi di commissario ad acta per la costruzione dell’impianto, cambiò repentinamente la destinazione d’uso del terreno già individuato per la costruzione, contribuendo così alla melina successiva (in cui naturalmente furono coinvolti e attivi i rappresentanti del centrodestra) che ha poi prodotto il nulla? L’inceneritore sarebbe costato 300 milioni di euro, meno della metà di questa opera di pulizia straordinaria. Se Matteo non lo sa, glielo diciamo noi: a Salerno tutto ciò che non viene consegnato al dominio totale del potere deluchiano equivale a un’opa ostile, un’azione di sabotaggio da respingere con tutti i mezzi. Renzi lo sa? E sa che il governatore ha appena nominato suo figlio assessore al bilancio e allo sviluppo del comune di Salerno, senza che una voce emettesse anche un solo sibilo di imbarazzo? E sa che l’altro figlio, Piero, è in attesa di incarico? È vero, resta ancora da sistemare il cane. Dov’è il lanciafiamme?

Da: Il Fatto Quotidiano, 12 giugno 2016

RESILIENZA. Provano a scomparire, ma sono lì

berlusconi-meloni-salviniNon sarà mica che il partito della Nazione lo stanno facendo quelli del centrodestra? Non sarà che dopo questi due anni abbondanti di renzismo ipercinetico l’unico a essersi rovinato è il Pd? E non sarà che le parole d’ordine del ventennio berlusconiano, la triade della perfetta lotta di classe italiana (alle tasse, ai migranti e al borseggio da strada) sia l’ideologia sempiterna del vero partito della Nazione? Perché quasi ritornano, come se nulla fosse accaduto, le cifre del ventennio. Sono cambiati gli azionisti della coalizione, sono diversi gli addendi ma il totale sembra quasi identico. Perfino a Roma, dove Forza Italia si squaglia fino a divenire l’ombra di se stessa (4,23%) la destra arretra ma non scompare, si divide ma non si suicida. Con un Berlusconi mummificato, la Lega di Salvini ridotta al Sud alla inconsistenza, e i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni che invece al nord hanno il peso della carta velina, il centrodestra piazza sedici candidati al ballottaggio nei venticinque comuni dove si va al secondo turno, ne prende uno quasi con un plebiscito al primo, ed eguaglia sostanzialmente le performance – almeno nel cerchio delle città capoluogo – del centrosinistra.

FORZA ITALIA che ha sottoscritto il patto del Nazareno, agevolando in ogni modo il governo Renzi con l’invio di truppe e viveri in Parlamento, riesce a stracciare il partito del premier a Napoli, città sulla quale l’esecutivo aveva appena scaricato qualche centinaio di milioni di euro per la bonifica di Bagnoli, e svergognare (con un tondo 60%) la muta di deputati e possidenti renziani a Cosenza, uno snodo del potere calabrese e residenza di uno dei pitbull del nuovo corso, il deputato Ernesto Carbone, meglio conosciuto come l’onorevole “ciaone”. Che Matteo o chi per lui (Guerini? Lotti?) per buffo che possa sembrare aveva ritenuto di inviare come tutor della già disperatissima Valeria Valente, candidata napoletana, consegnandola così alla sicura sconfitta. C’è una ragione per cui Denis Verdini fa vincere il governo in Parlamento e lo fa perdere nelle città. Questo nome, che al tempo del regno di Arcore compilava le liste di promozione e proscrizione interna, teneva i conti degli ingaggi politici, delle new entry, delle compensazioni e dei risarcimenti, ora è corpo senza casa, galleggia nell’aria, nuvola che passa e oscura. Da solo Verdini, il suo fantasma o la simbologia ostruttiva che il suo nome propone, è riuscito a spingere a sinistra del Pd la costruzione di una modesta ma pur sempre fastidiosa presenza organizzata (intorno al 4%), a far perdere l’alleato ovunque avesse costruito un patto elettorale (Napoli, Cosenza e Grosseto), ma soprattutto a far fuggire una moltitudine di elettori verso altri lidi. Parte di quei fuggitivi hanno però contribuito a far guadagnare ai 5 stelle il podio di una realtà oramai tripolare, primo partito a Roma e a Torino, e a costruire il drenaggio che è servito al centrodestra moribondo, senza leader e senza idee, per restare in piedi malgrado le cadute, le defezioni, i tradimenti e gli accordi sottobanco col Pd, affermando una sua singolare capacità inerziale, una spiccata propensione alla resilienza politica.

IL RITRATTO di un tempo che ritorna a dispetto della realtà, degli anni e delle scempiaggini passate, sono, per andare a nord, le foto milanesi di Ignazio La Russa sorridente, dell’intramontabile De Corato che brinda, della falange leghista di complemento che si accoda. Il segno che un miracolo al contrario si è realizzato. Il centrodestra, o nuovo partito della Nazione, conserva i voti e anzi qualcosa di più lì dove è nato. Per la leadership sarebbe forse da spendere il nome di Stefano Parisi, l’imprenditore scaltro che è riuscito a reggere e a governare l’alleanza milanese. Dipende, e anche questa è la prova che il mondo va alla rovescia, dalla performance di Beppe Sala, il tecnocrate che Renzi ha ingaggiato e imposto al centrosinistra. Tutto sembra immutabile, pure se dai dettagli apprendiamo il tempo che passa: proprio ieri, dopo una svogliata e inconcludente campagna elettorale, Silvio Berlusconi s’è ricoverato per uno scompenso cardiaco.

Da: Il Fatto Quotidiano, 8 giugno 2016