ALFABETO – MASSIMO BRAY: “La conoscenza va certificata, non c’è digitale che tenga”

massimo-brayStaff oppure team. È lo staff che sorveglia, il team che censura, l’ufficio stampa che risponde. Non ci sono nomi ma ombre. Di Facebook si conosce il proprietario, il giovane milionario Zuckenberg. Il giovanotto gestisce la vita, le passioni, i segreti e le idee di un miliardo e settecento milioni di persone. Un grande continente. La libertà di ciascuno è sorvegliata e i suoi limiti decisi dallo staff o dal benedetto team. Chi siano, e soprattutto dove siedano, quali i loro curricula, è mistero della fede digitale. Di qualche giorno fa l’avventura del regista Daniele Vicari che ha chiesto conto per una settimana e più della censura subìta per aver manifestato il suo (documentato) pensiero sulla mattanza poliziesca al G8 di Genova. Ha dovuto imbucare la sua protesta alla cieca, confidando che qualcuno la leggesse e giudicasse. Qualcuno, chissà chi e chissà dove.

Massimo Bray, da poco presidente del Salone del libro di Torino, è direttore generale della Treccani, prima ancora è stato ministro della Cultura nel governo Letta. La Treccani è stata la pietra angolare del sapere, lo status symbol dell’elite, il segno, con i suoi diversi chili d’inchiostro posizionati al centro della biblioteca di casa, dell’affrancamento dall’ignoranza.

Cominciamo dall’attualità: la direzione del Salone del Libro, una bella gatta da pelare…

Preferisco non parlarne ancora, sono appena stato nominato e c’è solo da lavorare.

Allora parliamo di Treccani, che sta a Facebook come la terra sta alla luna.

Sono sempre più convinto che questi ultimi due decenni abbiano segnato l’umanità assai più che in tutti i secoli addietro. C’è da spaventarsi? Io dico di no.

Eppure al tempo della conoscenza istantanea e orizzontale la nostra libertà è devoluta a un’entità distante, nascosta, liquida, inconsistente.

Facebook è grande quanto un continente. I social coinvolgono miliardi di persone in un flusso indiscriminato di notizie. La cosa che mi inquieta è la loro assenza di validazione. Giovanni Gentile si sforzava sempre di spiegare che la Treccani per formare la classe dirigente aveva bisogno del contributo dei migliori intellettuali: fossero antifascisti, ebrei, musulmani. Il fascista Gentile apriva il suo mondo antico al sapere molto di più di quanto si faccia oggi.

Ma allora il sapere passava solo per l’enciclopedia. Il potere era affidato alla proprietà di quei volumi. Lì iniziava il mondo (e l’avanzata verso il potere) e lì finiva.

La Treccani è storia e costume italiano. Ma io tengo anche a Facebook. L’unico problema è questa moda ossessiva della disintermediazione, questo cruento epilogo di un sapere che si alimenta in modo barbarico e si trasmette sregolatamente.

Io dico a, tu dici b. Facebook è il mercato nero della notizia, ciascuno ne scambia un pezzettino, e alla fine con il mucchietto di like e commenti costruiamo la nostra individuale verità. E siamo tutti utenti (clienti?) non cittadini.

Anche a me la parola utente mette paura. Il pericolo maggiore l’assenza di qualunque certificazione. Il trasferimento di dati incontrollati, la sfiducia nella competenza.

Tutti scriviamo, opiniamo, giudichiamo.

La politica ha scoperto il giochetto e gli piace assai: arrivare alla gente direttamente, senza nessuno che controlli, contesti, obietti. Sembra che il giornalismo sia un mestiere inutile. È la più grande e pericolosa delle mistificazioni in atto. E il libro fatto passare per un oggetto d’antiquariato: pesa, ingombra la casa. Al massimo l’e-book! Io non ho niente contro l’e-book, però diamine…

La carta è dell’uomo primitivo.

Diceva Canetti che nei libri c’è tutta la sostanza del nostro tempo. È ricordo, memoria, gioia, sentimento. La grammatura del foglio, il tipo di font, l’odore della carta non è tema da secolo scorso. Ha visto quanti festival letterari si fanno in giro? Un aumento portentoso. C’è necessità di leggere, di sapere. Bisogno di una conoscenza certificata.

Vendete ancora l’enciclopedia?

Sono circa ventimila gli italiani che ogni anno comprano Treccani e scelgono oramai in un catalogo che conta una ventina di enciclopedie tematiche oltre ai dizionari. È gente dell’età digitale, non gente che disprezza il computer. Hanno bisogno della qualità, e la cercano dove la trovano.

Sulla rete un mondo di notizie e un mondo di bufale.

Non morrà la scrittura, non morrà l’inchiesta giornalistica né perirà il libro. Il talento e la competenza sono materie prime della conoscenza e del sapere. Facebook con tutte le sue cose buone è anche il grandioso mondo dell’apparenza, il mercatone della notizia affrettata, a volte manipolata, a volte mistificata. Tutto si trova ma vai a sapere la qualità.

Resta la Treccani.

La conoscenza certificata, la cultura doc. Non c’è digitale che tenga.

Da: Il Fatto Quotidiano, 6 agosto 2016

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