Draghi si dimette, ora le elezioni. Sicuri di sapere tutti i nomi dei colpevoli?

Si può, anzi si deve dire tutto della goffaggine dei Cinquestelle, di questo loro eterno dilettantismo che è a metà tra il furbesco e l’ipocrita, e il nuovo corso piuttosto indecisionista di Giuseppe Conte.

Si può, anzi si deve dire tutto dell’eterno conclave, delle liti e delle invidie, della mancanza di rispetto dei propri impegni da parte dei tanti, troppi parlamentari che scelgono la via breve della poltrona come destino finale.

E si può, anzi si deve dire tutto del centrodestra che come sempre ha due volti. Uno di governo e uno di opposizione. Mostrando questo o quello a seconda della coincidenza dei propri interessi, altro che di quelli dell’Italia.

Tutto quanto premesso non riduce ciò che ieri abbiamo visto.

Un premier che non solo non fa nulla per tenere unita la sua maggioranza ma gestisce in modo ora sprovveduto ora sprezzante una crisi politica che invece sarebbe potuta rientrare.

Mario Draghi non manca la consapevolezza del proprio prestigio, ed è infatti vero che è l’italiano che gode di migliore reputazione all’estero. Ma anche se è incontestabilmente il Migliore, aver accettato di fare il presidente del Consiglio gli avrebbe dovuto consigliare di armarsi anche un po’ degli strumenti del nuovo mestiere.

Esempio: offrire, o anche accettare che si immaginasse soltanto, manleva politica all’operazione scissionista di Luigi Di Maio nei confronti del partito di maggioranza a sostegno del governo non è stato un atto di grande acume politico. Lasciare il ministro degli Esteri al suo posto (ruolo ottenuto in nome del Movimento che oggi sputtana) è stata una decisione politicamente compromettente. Perché ha indotto quel partito a filarsela prima che finisse masticato in un sol boccone.

Adesso ci sono le elezioni. Siamo sicuri che abbiamo in mano tutti i nomi dei colpevoli?

 

da: ilfattoquotidiano.it

Eugenio Scalfari, gigante dall’anima d’inchiostro. Mi accolse ragazzino per un incarico delicato

Foto Fabio Cimaglia / LaPresse

 

Incredulo per la montagna di soldi che il dopo terremoto della Campania e della Basilicata ingoiava senza che si vedesse l’ombra di un mutamento delle condizioni di vita, immaginai che l’unico modo per scorticare quella massa di mangiatori di prebende, affittacamere della coscienza collettiva, piccoli podestà a cui tutto era concesso, fosse bussare alle porte di un grande giornale ed elencare le malefatte, gli sprechi, le ruberie.

Così feci. Misi piede a Repubblica la prima volta come denunciante degli sprechi e delle ruberie. Qualche tempo dopo mi ritrovai redattore di quel giornale, incaricato dal direttore di seguire i lavori della commissione parlamentare d’inchiesta sugli scandali e le ruberie del terremoto in Campania e Basilicata.

Nelle pieghe di questi dettagli la misura di quel gigante del giornalismo che è stato Eugenio Scalfari. Il direttore di un grande giornale nazionale, a quel tempo (siamo a cavallo tra gli anni 80 e 90) influente, coraggioso, veloce a percepire l’umore della società, affidava a un giovanotto digiuno sia di esperienza che di competenze, un incarico delicato e un tema che negli anni avrebbe messo a soqquadro le classi dirigenti dei partiti dominanti, in special modo la Dc e il Psi.

Di Scalfari tanti di noi sanno molto, e tanto di quel molto l’hanno appreso leggendo i suoi articoli, gli editoriali e i giornali e i settimanali che ha diretto e anche, per i fortunati come me, ascoltando le sue cosiddette “messe cantate”, le interminabili riunioni di redazione del mattino dove fustigava o premiava chi di noi – a suo avviso – avesse meritato.

Scalfari è stato direttore, dittatore, padre padrone ma anche consigliere, papà illuminato, collega prestigioso dal quale raccogliere ogni consiglio speciale (“la toilette è il posto dove si raccolgono meravigliose confidenze. Quindi non avere fretta di pisciare. Resta e ascolta, chiedi, saluta quando ti dirigi nei cessi di Montecitorio, che sono anche molto spaziosi. Vedrai quante notizie porterai a casa”), o subire bacchettate di varia entità.

Ho avuto la fortuna di vederlo all’opera nei migliori anni della sua vita professionale, con un giornale così grande (avevamo sorpassato il Corriere) il cui successo doveva fare i conti solo con la limitatezza della stampa tipografica (poco oltre il milione delle copie potevamo riuscire a stampare il giovedì notte per il venerdì, giorno di massima diffusione).

Un giornale che stava avanti un passo a tutti gli altri. Incursore micidiale e travolgente.

Di inchiostro l’anima di Scalfari, di inchiostro la sua spada. Ha raccontato un secolo e dieci mondi diversi.

 

da: Il Fatto Quotidiano, giovedì 14 luglio 2022