di ANTONELLO CAPORALE E FABRIZIO D’ESPOSITO
Il grido, ultima evoluzione dell’atavica questione morale, è rimbombato nella notte della vittoria, domenica scorsa: “O-ne-stà, o-ne-stà”. È questa, la pietra miliare su cui poggia il boom del M5s. Però, da sola, l’onestà non basta. Il Fatto ha chiesto a dieci opinionisti di declinare un dizionario politico.
ALDO MASULLO
Che cos’è l’onestà nelle istituzioni
Ancor peggiore della disonestà nelle sue forme volgari è quella del politico, il quale, pur avendo sperimentato la sua incapacità di governo, si ostina per tornaconto o anche solo per vanità a resistere nella carica e continua così a produrre guasti umani irreversibili. Suprema disonestà propriamente politica è infine di chi, eletto, tradisce ideali, programmi e promesse giustificandosi con insormontabili ostacoli o condizionamenti di irrinunciabili alleanze. Il presidio della libertà di chi detiene un potere democratico non viene mai meno: sono le dimissioni pubblicamente motivate.
ISAIA SALES
Corruzione e partiti: dal Pci ai pentastellati
Nei diversi cicli politici che hanno interessato le amministrazioni locali in Italia (1975-1993-2016) la percezione della corruzione e la rivolta elettorale contro di essa hanno giocato sempre un ruolo fondamentale. Ad avvantaggiarsene nel passato è stato il Pci. Se a beneficiarne sono oggi i Cinque Stelle, ciò lo si può spiegare solo con il fatto che è radicalmente cambiata la percezione dell’elettorato verso il Pd (non un partito anticorruzione ma un elemento della corruzione) mentre non è affatto cambiato il bisogno radicale di una politica non corrotta come base della buona amministrazione.
VINCENZO VISCO
Competenza ed esperienza
Per governare un Paese, o anche un grande Comune, l’improvvisazione non è ammessa. Occorrono competenze istituzionali e normative, conoscenza e possibilmente competenza nei problemi tecnici che devono essere affrontati, consapevolezza degli interessi coinvolti nelle decisioni che vengono assunte, capacità di gestire i rapporti con le assemblee legislative, i sindacati, i rappresentanti delle categorie, e anche abilità e serietà nel comunicare le scelte. I filosofi greci, da Socrate in poi, diffidavano della democrazia intesa come gestione assembleare (democrazia diretta) delle città e teorizzavano il governo degli ottimati (dei filosofi, secondo Platone). Nelle democrazie moderne il compito di selezionare le classi dirigenti è stato affidato ai partiti (con qualche successo). Oggi sembrano prevalere per i politici criteri di selezione basati su qualità diverse dalle competenze (età, genere, aspetto fisico). Abbiamo anche assistito al l’elogio dell’inesperienza, dell’incompetenza o addirittura dell’ignoranza. Così non si va lontano.
ERRI DE LUCA
Sporcarsi le mani o tenerle pulite?
Si sporcano le mani i volontari che assistono i derelitti, i pescatori che salvano dal naufragio i migranti, il contadino che zappa, il fabbro che curva il ferro. Sporcarsi le mani è una attività materiale. Chi deve governare una città o ambisce a governare un Paese le mani le deve tenere pulite, altroché! Le mani sporche comportano sempre un deficit di efficienza perché essa è asservita al l’utilità del singolo e non all’interesse generale. E sotto questo punto di vista il voto al Movimento 5 Stelle mi sembra una scelta anzitutto di igiene politica, come fosse un disinfettante per debellare la corruzione.
MARINO NIOLA
La paura di governare è un sentimento positivo
La paura è il motore della politica. Hobbes insegna che la politica nasce dalla paura di difendersi dalle aggressioni degli altri. La società si forma comprimendo spazi di libertà individuali attraverso il rispetto di obblighi: sono le famose regole. La paura dunque è un sentimento legittimo, è ansia da prestazione che può far bene. Ricordo che i protagonisti della Rivoluzione francese erano tutti giovani, dunque inesperti. Nessuno di loro aveva pratica politica. Questo movimento raccoglie istanze generazionali nuove, con linguaggi finora sconosciuti. L’importante è che non assecondi forme di razzismo, questo sì repellente.
LUCA BIANCHINI
Gli odiatori del web e la maggioranza silente
C’è una frangia di militanti pentastellati che imbracciano la tastiera come fosse una mitragliatrice. Del resto il computer è la loro unica arma, e lo usano come un esercizio di voto quotidiano. Non gli basta andare in cabina, devono votare ogni giorno! Sono una minoranza rumorosa, quindi si avverte di più la loro presenza. Sui social, che frequento molto, ci sono dei temi che immediatamente scatenano la rissa. Parli male di Napoli, dici qualcosa sui gay oppure fai una critica ai Cinque Stelle e il risultato che avrai è scontato. Resta che sono una minoranza rispetto ai tantissimi pacifici e silenti (mamma mia quanti sono!) che hanno deciso di votare il Movimento.
LUCIANO CANFORA
La trappola dei poteri forti
Il concetto di poteri forti può essere declinato su molti piani: 1) le grandi concentrazioni bancarie; 2) i mega-burocrati che le dirigono; 3) le associazioni più o meno segrete tipo Trilateral e Bilderberg (spesso le stesse persone si trovano in tutte e tre le caselle sopra ricordate); 4) i poteri locali diffusi, ad esempio i proprietari agricoli del meridione d’Italia, grazie ai quali la legge contro il caporalato è bloccata dal gennaio 2016 nei meandri parlamentari e neanche il fintamente cinetico Renzi si è ricordato che potrebbe far ricorso al decreto legge.
FRANCO CARDINI
Il pragmatismo è creazione di valori
Il termine pragmatismo gode in generale di piuttosto cattiva stampa: e, in quanto frainteso, viene spesso anche condannato a torto. Può darsi che una certa responsabilità di ciò risieda anche nelle differenti personalità dei due massimi esponenti della scuola pragmatistica, entrambi statunitensi, C. S. Peirce e W. James. Nonostante l’americanismo volgare che percorre tanti aspetti della vita sociale e civile del nostro paese, il pensiero filosofico statunitense è in generale molto sottovalutato: ed è un vero peccato. Il pragmatismo non va confuso con la filosofia marxiana della prassi attraverso la quale Karl Marx fondò il materialismo storico rovesciando le categorie hegeliane e ponendo la trasformazione del mondo anziché la sua contemplazione a fondamento del nuovo sapere filosofico. Nel suo famoso libro del 1907, Pragmatismo, James radicava la sua visione del mondo in un atto spirituale di volontà consistente nel porre l’interpretazione delle realtà al centro di una serie di azioni vòlte a realizzarne l’essenza sulla base di un progetto eminentemente soggettivo. James influenzò Miguel de Unamuno e la sua persuasione che la volontà e la fede fossero forze spirituali creatrici di valori concreti. Se l’onestà insegna a rispettare la realtà delle cose, il pragmatismo tende a trasformarne l’essenza immettendovi una volontà esegetica (l’interpretazione della realtà) che conduce all’energia del fare, del costruire, del trasformare. Coniugato con il senso dell’opportuno e del possibile, il pragmatismo costituisce il fondamento dell’agire politico in quanto non attuazione di valori precostituiti, bensì creazione di valori nuovi.
DOMENICO DE MASI
Facce e parole di una classe dirigente
Diciamolo subito: i 5Stelle non sono pronti a governare. Per essere classe dirigente prima di tutto ci vuole la faccia giusta: quella rapace di La Russa, quella greve di Salvini, quella stitica di Monti, quella paracula di Mastella. A paragone, quelle di Appendino o della Raggi sembrano facce di cresimande. E, comunque, la faccia non basta. Per essere classe dirigente ci vuole anche la parola alata di Vendola, quella sibillina di Moro, quella cafona di De Luca. E, dietro le parole, ci vogliono le idee: quelle sgangherate di Alfano, quelle perfide di Ichino, quelle variopinte di Gasparri. Insomma, per diventare classe dirigente occorre l’ingenuo candore di Andreotti e l’adolescenziale stupore di Scajola, la santità di Previti e la trasparenza di Gianni Letta, il giovanile coraggio di Napolitano, la pluridecennale esperienza governativa della Boschi e la specchiata onestà di Ciancimino. I 5 Stelle non hanno nessuna di queste virtù. Con quale faccia tosta possono pretendere il governo di un Paese come l’I t alia?
Nei salotti, al bar, echeggia già un refrain che abbiamo udito mille volte: li seguivo da tempo. Oppure, la sua variante più nota: mi sono sempre piaciuti. Gli scalatori al Walhalla grillino sono habitué del riposizionamento (intellettuali e imprenditori in testa), o eterni camaleonti del nuovo, tipi che hanno il vizio di mettersi in marcia solo a urne scrutinate, e che, seppure timidi e riservati, dissimulano nel sacrosanto appello alla purificazione, una pulsione che va oltre la politica, e sfiora lo psichico. Li si potrebbe definire degli insicuri, o, a scelta, dei situazionisti. Li accomuna un indistinto, quanto vago, esibizionismo civico, e una tenera, ancora inesplorata, inquietudine morale. Ma, questa volta, sul carro dei vincitori, un’insegna di cui non è citato l’autore, porrà loro – a intermittenza, quasi fosse un monito – un annoso interrogativo: è pensabile un potere che rinunci ad essere potente? Per alcuni, il quesito potrà innocuamente restare insondato, per altri, prima o poi, potrebbe costituire l’origine di un rovello che inocula i germi di un tetro inappagamento. Gustave Flaubert direbbe che è un carro di cui non sono ancora state diffuse le regole. Il conduttore – o i conduttori? – stanno valutando i requisiti da richiedere a chi vuole saltare a bordo. La durata del viaggio è limitata. Non sono previste ammende, solo espulsioni. Destra e sinistra sono abolite.
Da: Il Fatto Quotidiano, 26 giugno 2016
Per amministrare bene non servono parole e frasi ad effetto, disquisizioni tecniche e/o pseudo-intellettuali, ma fatti. Per produrre fatti servono soggetti che agiscano semplicemente con onestà e competenza. Attualmente detti soggetti in Italia sembrano introvabili, mi chiedo perchè chi parla con cognizione di causa di onestà, corruzione, competenza, sporcarsi le mani, paura di governare, web, poteri forti, pragmatismo, volti nuovi, carro dei vincitori, mostrando di avere le idee chiare, non provi a scendere in campo, invece di criticare comodamente seduto dietro ad una scrivania.